Per spiegare la presidenza Trump in tre parole potremmo semplicemente dire: “Worst presidente ever”. Nella parola “worst” oltre a tanto altro, si racchiude anche la sua mediocrità, la sua totale incompetenza, che ha cercato di nascondere e compensare con continue bugie e diffamazione nei confronti degli avversari.
Nel 2016 Trump parlava di muri, di “America First”, raccontava, come fanno tutte le destre populiste, di passati gloriosi, che sarebbero potuti ritornare, più grandi e più gloriosi, solo con lui. Giocava sulle paure, sui timori della globalizzazione, sull’odio per la Cina, vista come pericolo comunista e allo stesso tempo come avversario economico. Le sue parole erano talmente semplici, dirette, infarcite di slogan, da risultare banali e trite. Degne di un ragazzino delle medie, più che di un candidato alla presidenza, anche nella forma, oltre che nei contenuti.
Ma queste parole facevano incredibilmente presa su conservatori, estremisti religiosi, su popolazioni bianche e decentrate, sulle donne dei sobborghi, come anche sui ricchi che con lui speravano di conservare i loro privilegi e magari pagare meno tasse. La sua base infatti non è composta solo di “proletari affamati ed arrabbiati”, come han detto anche eminenti politici italiani sia da sinistra e da destra, ma è molto variegata, o almeno lo era. In quattro anni la sua base si è radicalizzata ed estremizzata. Trump e la sua poderosa macchina della propaganda è all’origine di ogni sentimento anti-democratico, anche a livello internazionale.
Fin dai tempi di Mussolini, che creò appositamente l’Istituto Luce, la propaganda è stata usata per glorificare governi, dittature e creare veri e propri culti della personalità. Berlusconi usò le sue reti private, Trump, oltre a fare affidamento su Fox TV e alcuni dei suoi anchormen, ha usato e abusato i potenti mezzi social e del web. Ma c’è un aspetto particolare della sua propaganda, che la contraddistingue dalle altre e che ne rappresenta un’ evoluzione. Oltre a glorificare i suoi successi economici (discutibili, visto che il suo predecessore aveva lasciato in eredità un’economia solida e che era stato lo stesso Obama a dover affrontare la crisi del 2008) la sua propaganda si concentra maggiormente sul diffamare e demonizzare gli avversari, facendo apparire nel contempo il presidente come una vittima. Visto che le sue prestazioni sono mediocri, lo libera da ogni responsabilità accusando gli avversari di volerlo rovinare e di creare appositamente false accuse su di lui. La diffamazione su larga scala già era stata messa in atto contro Obama, il presidente che più odiava, perché sapeva di non avere neanche un grammo della sua bravura e intelligenza politica. Così il suo team composto da loschi personaggi come Steve Bannon o Roger Stone inizia a pompare tantissimo denaro nella diffusione di fake news che dubitavano del fatto che Barack Obama fosse nato in USA, oppure che fosse addirittura un terrorista islamico, insieme a sua moglie Michelle.
Poi, durante la campagna elettorale del 2016, le fake news si evolvono in vere e proprie cospirazioni per distruggere Hillary Clinton, avversaria molto più preparata e capace di lui. Perché se non puoi battere gli avversari con le tue capacità, allora devi cercare di gettargli fango addosso. Iniziano a circolare voci di un “pizzagate”, che vedeva Hillary implicata addirittura in un “giro” di pedofili, e si diceva che usasse sangue di bambini per rimanere giovane. Sembrano delle follie alle quali nessuna persona di buon senso potrebbe credere ma dopo averle lette e rilette, un uomo del North Carolina imbraccia un fucile e si reca in una pizzeria di Washington chiamata “Comet Ping Pong”, iniziando a sparare. Dopo la vittoria di Trump la macchina inizia ad ingrandirsi e perfezionarsi, sui social il pizzagate evolve in Qanon e Trump cosa fa? Ritwitta le fake news, usando il suo account e il suo brand: quello di presidente della più potente nazione del mondo.
Trump è stato il presidente più sopravvalutato e al contempo quello che se ne va con il più basso indice di gradimento di tutti i presidenti prima di lui.
Quello che dovrebbe servire da monito alle altre democrazie è proprio la sottovalutazione della sua pericolosità, soprattutto da parte del suo stesso partito, che ora si ritrova con la minoranza sia in Camera che in Senato e con un cancro metastatico al suo interno: i trumpiani, che sono diventati un vero e proprio culto.
Trump è stato il primo presidente USA che da subito ha detto ai suoi elettori: “Non leggete giornali, non guardate la Tv, sono tutte fake news. Ascoltate solo me”. Ha cercato di corrodere le istituzioni democratiche per propagandare il suo “mito”, che altro non era che fuffa. In verità è stato il presidente USA più inadeguato al comando, come hanno anche affermato due anni fa 350 psichiatri, in una lettera di avvertimento per il Congresso, dove lo han definito “Unfit” (inadatto). Trump è un bugiardo patologico, un narcisista, che crede che se detta da lui, ogni bugia possa essere creduta, ogni azione giustificata.
Con l’arrivo della pandemia le bugie si moltiplicano, le conferenze giornaliere diventano solo un modo per propagandare la sua leadership, che nel frattempo si mostra sempre più fragile, inesistente, monca. Fallisce nel trovare una strategia a livello nazionale per contrastare la pandemia, quindi scarica sugli Stati ogni responsabilità, politicizza stupidamente anche l’uso della mascherina, contribuendo a dividere le persone in “pro mask democratici” e “anti mask trumpiani”. La gestione della pandemia ha segnato l’inizio del risvegliarsi di qualcuno dei suoi elettori, colpiti dall’assoluta mancanza di empatia di fronte ai morti, dal suo evidente fastidio nei confronti del virus, che vive come un ostacolo al suo delirio di onnipotenza. Incolpa la Cina, non risponde neanche alle domande dei giornalisti al riguardo. Ma presto si aggiunge per lui un altro enorme problema: i disordini civili e le centinaia di manifestazioni che coinvolgono una larga parte della popolazione, dopo che diventa virale lo sconvolgente video in cui George Floyd muore soffocato dal ginocchio di un poliziotto e nella complicità di altri suoi colleghi. Non era il primo né sarà l’ultimo di una serie lunghissima di abusi perpetrati dalla polizia ai danni delle minoranze, ma è forse l’episodio più orrendo, che scatena un forte ondata di indignazione che coinvolge ogni città americana.
Anche davanti al grande tumulto civile sugli irrisolti problemi razziali, Trump è palesemente incapace sia umanamente che moralmente di affrontare questa nuova sfida e sceglie sempre la parte “sbagliata”, condannando tutti i Black Lives Matter, marchiandoli come “Antifa” e come pericolosi saccheggiatori. Sa infatti che la sua forza sta solo nella divisione e nella radicalizzazione, anche perché è incapace di fare altro.
Ma la bugia più grande di tutte, la madre di tutte le bugie, la riserva per le elezioni: se Trump perderà vorrà sicuramente dire che ci saranno brogli, perché lui non può perdere. Verrebbe da pensare che sia assolutamente fuori da ogni regola democratica un leader che non solo non accetta di perdere, ma che afferma -prima delle elezioni- che nel caso dovesse perdere ciò accadrà solo perché gli avversari hanno barato. Questo è stato di gran lunga il veleno più pericoloso che ha iniettato nei suoi elettori. Quello di farli credere nella sua invincibilità, già da prima del risultato. Trump a novembre invece perde, e perde anche male. Nel 2016 lui stesso definì la sua vittoria contro Hillary come “landslide”, come una valanga, be’ nel 2020 Trump perde con gli stessi numeri a parti invertite e perde anche 7 milioni di voti popolari, che vanno a Biden.
Ma il veleno ha fatto ormai effetto e i suoi sostenitori, galvanizzati, credono di essere stati scippati dalla vittoria. Trump, per continuare a portare avanti la sua enorme bugia, intenta cause su cause e ne perde ben 60, rigettate a livello statale, federale e di Corte Suprema (a maggioranza repubblicana). Nel frattempo si vendica del capo della Cybersecurity che dichiara che sono state le elezioni più sicure della storia americana, licenziandolo, insieme al capo dell’FBI. I brogli sono l’unica cosa di cui si occupa l’amministrazione Trump in piena seconda ondata di pandemia, mentre gli Stati affrontano la crisi sanitaria negli ospedali e la crisi economica. Trump twitta frasi senza senso come “I WON” a lettere maiuscole e sparge disinformazione anche dopo che i risultati delle elezioni sono certificati da ogni Stato. Cerca di far pressioni sul suo vice Mike Pence, che comunque non ha la possibilità di sovvertire le certificazioni dei grandi elettori, lo chiama in causa in comizi, facendolo anche passare per “traditore”. Addirittura chiama anche il Segretario di stato della Georgia, per chiedergli di falsificare i risultati nel suo stato. Viene registrato e il suo tentativo di ricatto viene diffuso su tutti i giornali e online, ma neanche se ne vergogna. Ormai ha perso ogni parvenza di dignità, è ossessionato, cerca qualsiasi modo per bloccare il processo democratico che vedrà Biden come il nuovo presidente.
E’ un presidente che da una parte condanna Antifa e parla di “Law& Order”, dall’altra incita i suoi “patriots” ad assaltare e saccheggiare il Campidoglio. L’impeachment sarà adesso importantissimo per evitare che Trump possa ricandidarsi alle prossime elezioni, occupare qualsivoglia carica statale o avere diritto ai privilegi collegati a questa carica, dopo aver messo in pericolo non solo la democrazia ma anche i singoli deputati e senatori che hanno vissuto ore di terrore. L’eredità che viene lasciata a Biden e Harris è una valle di lacrime: un paese invaso dal Covid, vaccinazioni che tardano ad arrivare, diviso al suo interno anche dal razzismo endemico e con una economia da rilanciare.
Dopo l’inaugurazione, che si spera avvenga in sicurezza, potremo finalmente sperare che vengano ristabiliti valori di umanità, verità, decenza, razionalità e, soprattutto, di vera leadership.
Leadership significa unire, non dividere, avere il coraggio delle proprie azioni, riconoscere gli errori e le sconfitte. Un leader ispira le persone, con le sue parole e con le sue idee, spinge sempre a fare il meglio, non il peggio. Un leader non costruisce il consenso su bugie, paure e odio. Non fornisce una rappresentazione falsata della realtà per nascondere i propri fallimenti. Non cerca sempre scappatoie e capri espiatori, ma ha il coraggio di dire la verità ai suoi cittadini. Chi cerca di apparire sempre come un “uomo forte” non è che un mediocre che vive nel bisogno di continue conferme. Fortunatamente il megafono del “worst president ever” presto tacerà per sempre. Amen.