Inizia un nuovo anno di cinema, si guarda indietro e, al solito, è tempo di bilanci e di classifiche. Ecco le mie top 5 del 2016. Il criterio adottato è la data della première: non ho tenuto quindi in considerazione la distribuzione del film in sala, in Italia, negli Stati Uniti o in altri paesi, ma ho scelto come condicio sine qua non per entrare nel lotto degli eleggibili il fatto che la prima proiezione sia avvenuta nel 2016. Ciò ha determinato l’esclusione di alcuni film che si sono visti in sala nel corso dell’anno solare ma che in realtà sono apparsi nel circuito dei festival l’anno precedente e ha favorito invece l’inclusione di titoli che saranno, per chi legge, una sorta di invito a non perdere film che transiteranno nelle sale nei prossimi mesi o a recuperarne altri che purtroppo non saranno nemmeno distribuiti.
La top 5 è triplice, infine, perché vuole rispecchiare lo sguardo multiplo de La Voce di New York: un ponte tra l’Italia e gli Stati Uniti, senza però mai perdere di vista ciò che accade nel resto del mondo.
Top 5 States
1 – La La Land, di Damien Chazelle
Quale genere è più appropriato del musical per giocare a intermittenza sui lati della faglia ideale che separa immaginario e reale, la faglia abitata dai sogni? In quello che per noi è il film dell’anno, l’autore di Whiplash racconta l’amore dei sognatori Sebastian (Ryan Gosling) e Mia (Emma Stone), e lo fa usando i numeri musicali nei momenti in cui il ‘peso’ della realtà diventa grave e insostenibile, come se improvvisamente la forza della costruzione immaginaria intervenisse per rendere più sopportabile il reale. Divertente, commovente, denso.
2 – Paterson, di Jim Jarmusch
Quando si dice il cinema delle piccole cose: Jarmusch racconta il non-raccontabile, le piccole, piccolissime cose, il quotidiano vero. Non succede quasi nulla, nella vita di Paterson, eppure succede tutto: guida un bus, porta a passeggio il cane, condivide la sua casa con la bella moglie Laura, annota qualche poesia che nessuno leggerà. In altre parole, vive. E questo cinema che sottrae e riduce all’osso commuove profondamente.
3 – Hell or High Water, di David Mackenzie
Il miglior western (contemporaneo) americano degli ultimi anni lo gira uno scozzese, David McKenzie, che racconta di due fratelli rapinatori in fuga da un anziano ranger (Jeff Bridges). Dolente, teso e intenso, ha un grandissimo finale e un ritmo che incanta e seduce.
4 – Jackie, di Pablo Larrain
Altra definitiva consacrazione: Pablo Larrain porta nei grandi festival due biopic e tutti ora si accorgono giustamente che il cileno è un grande autore. La non biografia della first lady più elegante d’America è complementare a Neruda: il senso dell’operazione è che non importa ciò che succede davvero, ma ciò che si racconta. Anche nella Storia.
5 – Rogue One – A Star Wars Story, di Gareth Edwards
Un war movie in una galassia lontana lontana, ruvido, sporco, che riconcilia con l’universo fantastico ideato da Lucas dopo la mezza delusione di Episode VII. Lo firma Gareth Edwards, che qualche anno fa con Monsters ci aveva regalato un disaster movie fra i più intelligenti degli ultimi anni.
Top 5 Italia
1 – Fai bei sogni, di Marco Bellocchio
Bellocchio parte da Gramellini ma realizza il suo miglior film degli ultimi anni. Intenso e scuro, è un’immersione suggestiva e composta nelle profondità dell’assenza e della perdita, quella della madre di Massimo (Valerio Mastandrea), morta quando aveva solo 9 anni e mai lasciata andare. Non ha avuto il giusto risalto, è un grande film, da non perdere.
2 – Fuocoammare, di Gianfranco Rosi
Orso d’oro a Berlino, il documentario di Rosi sugli sbarchi dei migranti a Lampedusa riesce a riempire di senso atroce le parole vuote con cui ci viene raccontato quotidianamente l’orrore – a cui ci siamo ormai assuefatti – del Mediterraneo come immensa fossa comune.
3 – Liberami, di Federica di Giacomo
Documentario coraggioso e intelligente, è l’esordio di Federica Di Giacomo, che filma gli improbabili esorcismi siciliani di Padre Cataldo. Il film funziona soprattutto grazie alla solidità dello sguardo della giovane regista, che sospende qualsiasi forma di giudizio ma si limita – e non è poco – a spalancare gli occhi su una questione spinosa e problematica.
4 – Lo chiamavano Jeeg Robot, di Gabriele Mainetti
Lo chiamavano cinema di genere, eccolo qui. Intrattenimento intelligente, confezione efficace, successo al botteghino, plausi della critica. La rinascita dell’industria cinematografica italiana passa da questo superhero movie insolitamente (e ottimamente) ambientato tra le borgate romane dal quasi-esordiente Mainetti.
5 – Veloce come il vento, di Matteo Rovere
Cinema di genere, parte 2. Accorsi ex pilota drogato, una stellina come Matilda De Angelis e ottime scene di corse automobilistiche, in un mix efficace e divertente.
Top 5 Mondo
1 – Toni Erdmann (Vi presento Toni Erdmann), di Maren Ade, Germania
In un concorso di livello stellare come quello di Cannes 2016, Toni Erdmann era il candidato di molti (anche il mio) per la Palma d’oro. Un oggetto indefinibile, una commedia lunghissima (quasi tre ore), in cui si ride, si piange, si vede, ammirati, grandissimo cinema. Uno spettacolare, intenso inno al desiderio. Da non perdere.
2 – Ang babaeng humayo (The Woman Who Left), di Lav Diaz, Filippine
Il 2016 ha consacrato Lav Diaz, che finalmente è stato accolto nei concorsi principali di Berlino e Venezia. Con Ang babaeng humayo, il regista filippino vince un meritatissimo Leone d’oro, con un film bellissimo sul tempo e la vendetta.
3 – Neruda, di Pablo Larrain, Cile
Larrain racconta Neruda attraverso una caccia all’uomo, quella del prefetto Oscar Peluchonneau, poliziotto inventato che bracca il poeta nel Cile del Dopoguerra. Sullo sfondo, un racconto più grande: quello della parola che, in ogni stato totalitario, si fa progressivamente vuota. Raffinato e complesso.
4 – Juste la Fin du Monde (È solo la fine del mondo/It’s Only the End of the World), di Xavier Dolan, Canada
La consacrazione dell’enfant prodige Dolan: melodramma familiare a intensità altissima, con la consueta sfrontatezza nel travolgere tutto e tutti, limiti, stereotipi e convenzioni.
5 – Personal Shopper, di Olivier Assayas, Francia
Accolto da ululati di disapprovazione a Cannes, l’horror high style di Assayas, con una splendida personal shopper Kristen Stewart, è in realtà un grande film sulla frammentazione del soggetto.