I dati appena sfornati da Frontex, l’agenzia europea per la gestione della cooperazione internazionale alle frontiere esterne degli stati membri dell’UE, dicono che gli arrivi in luglio di emigranti e richiedenti asilo in Italia sono risultati in numero più alto dello stesso mese dello scorso anno: 25.300, +12%. Al tempo stesso il totale dei primi sette mesi, 95.000, è definito “in linea con quello dell’anno precedente” che, peraltro, non dava valori sostanzialmente diversi dal 2013. In questa fase stanno arrivando soprattutto nigeriani ed eritrei, mentre scende nettamente il numero di siriani.
Tenendo conto degli attesi fattori stagionali, a fine anno dovremmo registrare un totale di ingressi tra 130.000 e 150.000, numero comunque inferiore ai 153.600 del 2015. Per la cronaca, lo scorso anno gli altri picchi di sbarchi sud europei furono dati da Grecia e Malta, con rispettivamente 851.319 e 105.000 arrivi.
Per gli scenari a venire, circolano in Italia due ipotesi. La prima, catastrofista, guarda al rischio turco e libico. La seconda, possibilista, tiene conto dei dati di stabilizzazione accumulati negli anni più recenti.
La catastrofe verrebbe dalla concomitanza di due eventi possibili: il rigetto turco dell’accordo sugli emigrati sottoscritto recentemente con l’UE, il peggioramento della situazione umanitaria libica come effetto dell’eventuale allargamento delle operazioni belliche. Sono due fatti che appartengono all’imponderabile, e sui quali l’Italia non ha alcuna capacità di controllo.
E’ certo che l’Erdogan furioso del dopo golpe, mentre mostra rispetto e moderazione con Washington pur accusando settori dell’amministrazione di aver collaborato coi golpisti e chiedendo l’estradizione del predicatore moderato Fethullah Gulen, usa toni sprezzanti verso l’Unione Europea che gli rimprovera l’adozione del regime di violazione dei diritti umani e la ventilata restaurazione della pena di morte. Nella logica del padrone della Turchia, gli Stati Uniti sono la superpotenza da temere, gli europei la congerie di paesi mollicci da ricattare.
E’ altrettanto certo che l’avventura avviata in Libia, senza alcun apparente coordinamento dell’Unione Europea, da corpi britannici francesi e italiani appoggiati dall’aviazione statunitense, con obiettivi diversi e talvolta contrastanti, potrebbe risultare in ulteriori divisioni e anarchia in quello che fu lo stato retto con pugno di ferro da Mu’ammar Gheddafi. Se così fosse, salirebbe ulteriormente sulle nostre coste la pressione migratoria pilotata dai trafficanti di esseri umani installati in territorio libico: il prodursi di maggiori ostilità da un lato farebbe salire la quantità di migranti e richiedenti asilo, dall’altro diminuirebbe la capacità di autorità locali e internazionali di dissuadere e colpire i trafficanti.
La seconda ipotesi, condivisa dalle organizzazioni non governative cattoliche e laiche impegnate nell’assistenza a immigrati e richiedenti asilo, si fonda su dati e analisi inconfutabili che parlano di un fenomeno immigratorio in calo, e di un fenomeno rifugiati transitorio e comunque gestibile. Il punto di partenza è che l’Italia ospita oltre 5 milioni di non italiani, senza che si manifestino squilibri o tensioni particolarmente significativi nel paese. Da qualche anno il totale non subisce movimenti significativi, grazie anche al fatto che è piuttosto alto il numero degli stranieri, già residenti, che abbandonano l’Italia: intorno ai 200.000 l’anno, un numero destinato a crescere sia a causa dell’infinita crisi italiana, sia per il fatto che i figli di immigrati non amano restare in Italia. Ben il 46,5% di essi, in una recente inchiesta ha dichiarato di volersene andare appena possibile.
Complessivamente, la massa di immigrati dà allo stato, sotto forma di tasse e imposte, più di quanto riceva. Denota inoltre una curva ascendente di imprenditorialità, superiore a quella manifestata da imprese con titolare italiano. In questo modo l’imprenditoria straniera in Italia si caratterizza per il significativo contributo all’occupazione, all’innovazione, alla creazione di ricchezza. In quest’ultima funzione supera il 6,5% del prodotto interno lordo, per una cifra di prodotto pari a 95 miliardi di euro.
Nei dati di fine 2014, più di mezzo milione di imprese registrate in Italia appartenevano a stranieri (9% del totale), con incremento del 5,6 per cento sul 2013 (15,6 per cento sul 2011). Il dato, interessante per sé, diventa anche più significativo quando si apprende che i lavoratori autonomi e imprenditori immigrati nel territorio dell’Ue non arrivano a 2 milioni: sono cresciuti negli ultimi dieci anni in media del 56,3%, un tasso di quasi venti punti sotto la crescita italiana de 76,1%.
Eppure in Italia è ancora forte il pregiudizio che identifica in immigrati e rifugiati il rischio più che l’opportunità. E si assiste, come accaduto anche negli scorsi giorni, a vicende al limite del paradosso. A Ventimiglia, cinquanta migranti al confine di Ponte San Ludovico, respinti alla frontiera francese, mettono in crisi le nostre procedure di identificazione, concessione di asilo o espulsione: questo perché gli arrivi sulla rotta su-nordovest risultano superiori ai ricollocamenti. Anche dalle frontiere di Brennero e Chiasso, i sigilli apposti da svizzeri e austriaci dirottano le centinaia di disperati che arrivano dal nostro sud, dopo sbarchi in Puglia o Sicilia, verso città come Como e Milano, apparentemente incapaci di adeguate soluzioni, vista anche la posizione ostile della Regione Lombardia, in mano leghista.
Premesso che non si può dare risposta adeguata alla sfida che all’Europa arriva dalle masse di disperati in fuga da bisogno, oppressione politica, rischio di vita, senza la responsabilizzazione di tutti i paesi membri, così alti sono i numeri del fenomeno (lo scorso anno 1.321.560 i richiedenti asilo; nei primi cinque mesi del 2016 solo gli arrivi via Mediterraneo 206.500), bisognerà pure fare i conti con il pregiudizio che alberga in casa nostra. E questo senza nulla togliere alla problematicità del fenomeno immigratorio che non si risolve certo a suon di ideologie contrastanti.
Un recente autorevole sondaggio pubblicato dai maggiori quotidiani italiani racconta che il 74% degli intervistati non condivide la politica di Renzi sull’immigrazione, giudicata troppo morbida. Al tempo stesso solo il 17% si dice d’accordo sui muri anti immigrati alzati da Ungheria e Bulgaria e il 77% si dichiara nettamente contrario, dicendo con il 52% che richiedenti asilo e immigrati vanno accolti e non respinti. C’è probabilmente un po’ di confusione sotto il sole: da un lato funzionano le emozioni scatenate dalle immagini degli emigranti che muoiono in Mediterraneo (almeno 3.000 nei primi cinque mesi del 2016, seicento al mese, venti al giorno), dall’altra le paure aizzate da precisi partiti e movimenti.
Va aggiunto che su questo tema, anche più che su altri, si sta verificando la spaccatura tra classi di età. che può preludere a ben altri bradisismi sociali e politici nel prossimo futuro. Il 41% degli interrogati dice che gli immigrati costituiscono un pericolo per la nazione e i suoi abitanti, ma tra i 18 e i 24 anni a dirlo è solo il 28%.
Così come va sottolineato che i colpi assestati dal terrorismo al senso di sicurezza degli europei, e l’obiettivo pericolo che commando di terroristi o singoli potenziali assassini di massa si mescolino a rifugiati o emigranti, stanno facendo crollare la fiducia nel grande patrimonio della libera circolazione europea delle persone (accordo di Schengen).
Richiesti se sono favorevoli, per accrescere la sicurezza del loro paese, all’abolizione o alla pesante riduzione delle garanzie per la libera circolazione delle persone in Europa, risponde che si debbano mantenere le attuali regole solo il 26% dei tedeschi, il 23% degli spagnoli, il 13% degli italiani, il 10% dei francesi. A parte la Spagna, anche qui i giovani risultano meno timorosi degli anziani.