In un anno in cui grandi nomi del cinema americano come David Fincher, Paul Thomas Anderson, Clint Eastwood o Tim Burton non hanno di certo realizzato le loro opere migliori – seppur molto interessanti sotto più punti di vista – ecco che a imporsi sono stati allora nomi forse meno noti, ma comunque capaci di regalarci cinema sfaccettato, sensibile, in grado di scuotere. Ecco quelli che secondo noi sono i dieci lungometraggi meritevoli di essere ricordati nel 2014. L’ordine è rigorosamente alfabetico.
The Boxtrolls di G. Annable e A. Stacchi
L’ultimo prodigio della Laika è un capolavoro di stop-motion (presentato a Venezia) che si concede personaggi di contorno in grado di dissertare sull’esistenza umana e la ricerca di un significato ultimo. Capolavoro di ingegno ma anche poesia del racconto. Imperfetto ma dolcissimo, capace di rimanere impresso nella memoria.
Boyhood di R. Linklater
Da un’operazione così sperimentale – lavorazione durata dodici anni per testimoniare il tempo che passa – ci si poteva aspettare un film complesso. E invece il miracolo è la semplicità, il racconto verissimo della vita di tutti i giorni. Bellissimo affresco di una gioventù qualunque, forse il capolavoro di Linklater.
The Drop di M. Roskam
In una Brooklyn plumbea come non mai una tragedia annunciata si consuma all’insegna dell’ineluttabilità. Poderosa e viscerale la tensione sprigionata da ogni singola scena, che si tramuta in lampi di misurata violenza. Eccezionale la prova di Hardy, senza dubbio la sua migliore in carriera.
Foxcatcher di B. Miller
Una messa in scena magnifica, elegante e glaciale, per raccontare una storia (vera) di ossessione e straniamento. Un trio d’attori magnifico, in cui spicca il capolavoro di verità messo in scena da Mark Ruffalo. Magnifica rappresentazione del lato oscuro dell’animo umano, incarnato nel ghiaccio di un film memorabile.
La sorpresa di vedere in un western i più dolorosi ritratti femminili della stagione, disperati eppure umanissimi. Un film dalla densità emotiva a tratti insostenibile, che dimostra ancora una volta la grandezza del suo autore. Cinema di sentimenti lontani, laceranti, impossibile da non amare.
A Most Violent Year di J. C. Chandor
Piccolo grande racconto morale ambientato in una New York ormai lontana eppure tangibile, ambigua, in cui le ombre del chiaroscuro nascondono segreti e violenza. Un Oscar Isaac da antologia in un dramma asciutto e costruito con estrema intelligenza. La conferma di un regista che ormai è più di una promessa.
Only Lovers Left Alive di J. Jarmusch
Quando il più grande degli indipendenti americani decide di essere romantico, il suo cinema si infuoca. Racconto di un amore senza tempo, dove tutto intorno muore e rimane solo la verità del sangue. La Swinton e Hiddleston perfetti come vampiri immortali, il resto lo fa una grande colonna sonora.
Il film più nichilista degli ultimi anni, perfetto nello sfruttare i paesaggi senza limiti (e speranza) dell’Australia. Storia post-apocalittica senza effetti speciali, costruita su personaggi allucinati e tesissimi. Cinema di confine, prima di tutto mentale. Indimenticabile la prova di Guy Pearce.
Film carcerario come quelli che si facevano una volta, durissimo senza essere inutilmente sensazionalistico. Rapporto padre-figlio raccontato con pennellate folgoranti. Grazie anche alla bravura di Ben Mendelsohn e della “scoperta” Jack O’Connell. Cinema di genere, ma elevato all’ennesima potenza.
L’esordio più folgorante dell’anno. Un film prima di tutto di regia e montaggio, perfetti nel mostrare un duello senza quartiere tra due anime ossessionate dall’eccellenza. Musica da capogiro, luci soffuse, Miles Teller e J.K. Simmons che si sfidano a colpi di bravura. Forse il film-sorpresa del 2014.
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