Dopo il durissimo The Road e il meno riuscito Lawless, il regista australiano John Hillcoat sceglie la strada del genere più esplicito e sforna uno dei migliori crime-movie visti ultimamente al cinema. La ricetta di Triple 9, pietanza cinematografica decisamente speziata, è in realtà estremamente semplice: andare dritti al punto, lasciare che sia l’azione a determinare il modo in cui verrà messa in scena.
In una Atlanta scarnificata e livida, il gioco al massacro tra criminali e poliziotti è rappresentato in tutta la sua ambiguità, senza fronzoli. Hillcoat gira in maniera nervosa, concitata, eppure permette comunque allo spettatore di non perdere mai di vista lo spazio e il tempo dell’azione, errore in cui molti action-movie spesso cadono. In Triple 9 invece tutto è chiaro, decifrabile, pur se immerso in un’atmosfera di angoscioso realismo. La trama è ben scandita dall’alternarsi di colpi di scena e delineazione dei caratteri. La storia funziona in perfetta armonia con il montaggio, permettendo così all’estetica quasi brutale scelta da Hillcoat di appoggiarsi alla narrazione senza invaderla. Il risultato è davvero un film notevole, che ricorda in alcuni momenti il senso di predestinazione che possedeva uno dei più grandi crime-movie dell’epoca moderna, Heat di Michael Mann.

Per quanto riguarda il nutritissimo gruppo d’attori che compongono il cast, il migliore a nostro avviso risulta Chiwetel Ejiofor, mai visto in precedenza capace di esternare tale carisma e presenza scenica. È lui il cuore pulsante del film, febbrile e umano nella sua brutalità. Ma non vanno di certo dimenticati anche Casey Affleck, Anthony Mackie, Clifton Collins Jr. Norman Reedus e la grande Kate Winslet in vesti decisamente insolite. Una spanna sotto gli altri Aaron Paul, più che altro perché visto in un ruolo che a tratti ricorda troppo da vicino il Jesse Pinkman di Breaking Bad, che l’attore aveva interpretato a meraviglia.
Il vero, grande cinema d’autore americano da sempre passa attraverso le regole del genere per proporne una versione personale, elevandosi in questo modo grazie alla simbiosi di racconto e immagine. Triple 9 percorre questa strada con decisione e lucidità, sia narrativa che estetica. Volendo trovare a tutti i costi un neo al lungometraggio, forse nella parte finale, una volta scoperto il gioco al massacro di cui i personaggi si rendono protagonisti, la trama indulge troppo nell’abbracciarlo. Ma è veramente un appunto quasi insignificante a un’opera potente, sanguigna, capace di far trattenere il respiro al pubblico. Promosso in pieno il lavoro di Hillcoat.
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