È sempre una bellissima sensazione essere sorpresi da un regista e dalla sua opera: A Most Violent Year. Giunto al suo terzo film in quattro anni, J.C. Chandor è riuscito sempre a regalarci qualcosa di nuovo. Prima un film tutto parlato e febbrile come Margin Call (id., 2011), poi il silenzio drammatico di All Is Lost (Tutto è perduto, 2013). Film con personaggi contraddistinti da un fortissimo senso del dovere, pronti a sfidare situazioni più grandi di loro con soltanto la propria forza interiore. È questo il filo conduttore che lega i precedenti lavori di Chandor al suo nuovo A Most Violent Year, anche quest’ultimo capace di sorprendere.
Ci si aspettava infatti di assistere a un crime-movie ispirato magari dal primo cinema di Martin Scorsese o di Abel Ferrara – l’ambientazione è la New York cupissima del 1981 – e invece l’impalcatura del film è quella di un dramma morale, dove la violenza è assolutamente tangibile, ma mai gratuitamente esibita.
Protagonista della storia è Abel Morales, immigrato con grandi ambizioni deciso a fare successo senza scendere a compromessi, anche quando si tratta di combattere la criminalità dilagante che ne ostacola l’ascesa. Un personaggio coraggioso proprio perché integerrimo, capace di fronteggiare la tentazione delle scorciatoie illegali proprio perché ben conscio di cosa lo aspetterebbe alla fine di quel percorso. La forza di questa caratterizzazione sta soprattutto nel fatto che Chandor non lo rende un paladino senza difetti o peggio ancora retorico. Al contrario lo immerge in una realtà perfettamente delineata con pochissimi, raggelanti tratti. L’ambiente che circonda Abel e la sua famiglia è freddo, ostile, pronto a colpire. Il senso di tensione che pervade A Most Violent Year è tangibile, l’atmosfera messa in scena da Chandor potentissima. Ne fa parte fondamentale anche Anna, moglie di Abel, figlia del criminale da cui lui ha rilevato la ditta che adesso gestisce, e che gli sta dando così tanti problemi. La donna condivide le ambizioni del marito, non la sua volontà ferrea di osservare le regole. Lo scontro tra i due è prima di tutto ideologico, e nel corso del film scatena una battaglia magnificamente condotta da due attori di razza, come Oscar Isaac e Jessica Chastain. Se i due non arrivassero alla candidatura all’Oscar per le loro interpretazioni (soprattutto lui) si potrebbe legittimamente parlare di errore da parte dei membri dell’Academy.
A Most Violent Year è senza mezzi termini uno dei migliori film del 2014, asciutto nella gestione dei toni e precisissimo nella delineazione di caratteri. Mai sopra le righe eppure sempre efficacissimo nel plasmare la drammaticità degli eventi, il film di J.C. Chandor è cinema fatto e concepito con estrema intelligenza. Ancora una volta chapeau a questo cineasta che, puntando sempre sulla semplicità del discorso filmico, riesce a variarlo film dopo film ottenendo risultati esaltanti.
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