I vicoli intorno a San Gregorio Armeno, a Napoli, sono una trappola per topi natalizi. Nulla di queste strade fa pensare alla conclamata crisi dei consumi. Una volta infilatisi lì in mezzo è difficile uscirne e soprattutto uscirne a mani vuote. Le luminarie pendono sul mare di folla, i mercatini scintillano di chinchillame e bigioterria di ogni genere. C’è di tutto, se non si sa cosa regalare ci pensa la fantasia dei napoletani a trovare una soluzione: si sono inventati persino la carta igienica con lo stemma della squadra di calcio rivale, ma anche, volendo, con la faccia di Salvini. Tra le lucette a tema non si sono dimenticati del loro idolo neanche in quest’occasione: Maradona. La sua sagoma luminosa è appesa in cielo, sta calciando un pallone. Un bimbo guarda in su, incuriosito chiede al padre come mai quel babbo Natale non assomigli affatto a quello che ha sempre visto. Con l’orgoglio del genitore che può iniziare il figlio a un mondo ancora più magico di quello delle renne e degli elfi, gli risponde entusiasta: “No a papà! Quello non è babbo Natale! Quello è Maradona! Il più grande giocatore della storia del Napoli”.
Buste e bustine di ogni dimensione nelle mani dei passanti non rendono in immagine quanto accertato dalla confcommercio: è un anno di magra, come lo è stato quello passato. Stando all’indagine Confcommercio-Format Research, la spesa media per italiano sarà di 171 euro, in linea con lo scorso anno, ma il 40% in meno rispetto al 2009. Tra gli articoli più acquistati primeggiano i beni alimentari e i giocattoli, mentre tutti gli altri acquisti sono in forte decrescita. Volendo decifrare lo studio, si continua a mettere al primo posto i bambini, tenendoli al riparo dalla percezione di crisi, ma se c’è da regalare qualcosa a un amico meglio una bottiglia o un buon prosciutto piuttosto che un dopobarba. Si guarda alla necessità, tranne per chi ci sta proprio a cuore: in quel caso, l’oggetto più richiesto è lo smartphone (+ 3,5% rispetto allo scorso anno). In generale, si è speso di più per prodotti elettronici rispetto all’anno precedente, tablet e elettrodomestici in testa. Quelli che più di tutti hanno ridimensionato la spesa sono i giovani fino a 24 anni, soprattutto residenti nel Mezzogiorno e nelle grandi aree metropolitane. I commercianti appaiono affranti: “Quest’anno proprio niente. Si vendono solo cose da dieci, 15 euro” – racconta Loredana, titolare di un negozio di abbigliamento in via Scarlatti – “Portachiavi, foulard, collane, si vendono solo accessori. Con l’abbigliamento siamo a zero, rispetto all’anno scorso sempre meno. Anzi, Natale dopo Natale sempre meno”.
Siamo nel cuore del Vomero, luogo di shopping per antonomasia a Napoli. Poco più avanti c’è un negozio di oggettistica per la casa, il cui titolare, Antonio, è della stessa opinione: “Con gli acquisti andiamo non bene, diciamo normale, una via di mezzo, ma comunque meno dell’anno scorso. Facciamo un quarto in meno. Spesa media 20, 30 euro a cliente, per ogni regalo si spendono dieci euro a persona”.
Novanta chiomentri più a Nord la situazione non migliora. Cassino, nel basso Lazio, è un centro urbano che può rendere l’idea di cosa accada in provincia. Bar pieni, negozi vuoti. Non sembra neanche la vigilia, niente file alla cassa, nessuna corsa all’ultimo regalo. Il traffico congestionato come sempre, ma più per fare la spesa che per lo shopping. Barbara lavora in un negozio di bigiotteria in centro, l’hanno assunta proprio per il periodo natalizio: “Non si può dire che il negozio sia vuoto, specialmente in questi ultimi giorni” – spiega – “ Quello che mi fa riflettere è che i clienti comprano qualunque cosa sia sotto i 10 euro, anche di minor qualità rispetto al costo, purchè non superi quella cifra. Ci sono cose che costano leggermente di più, ma che varrebbero il triplo, eppure se si superano i dieci euro la gente non ne vuole sapere”. Percorrendo il corso principale, anche qui si spende tra le luci bianche, che gli stessi commercianti hanno finanziato per invogliare i consumatori. Alessia fa la commessa in un negozio di abbigliamento sportivo/casual e ha notato una particolarità: “Se i regali sono per una persona cara non si bada a spese, mentre quando si allontana il grado di parentela nessuno vuole tirar fuori più di dieci euro” – poi aggiunge – “Come lo so? Perché tutti specificano chi è il destinatario del regalo, quasi a volersi giustificare per quanto spendono”.
Sarà anche un Natale poco dispendioso, ma Cassino è una città con un passato speciale, che non può ignorare. Ha ospitato la seconda battaglia più sanguinosa della Seconda Guerra Mondiale, subito dopo Stalingrado, e chi ricorda quelle sofferenze non può che sorridere al pensiero che c’è chi oggi si lamenta. Il 2014 è stato l’anno del settantennale della sua distruzione totale, inclusa quella dell’abbazia di Montecassino, alle cui pendici nasce e si staglia. Odette ha 76 anni, è stesa su un letto di ferro battuto perché ha di recente subito un’operazione. Sorride, è serena, ha due figli col posto statale, dice, e tanto le basta per ritenere questo un bel Natale, anche se lei parteciperà a stento al pranzo. Quando era Natale in tempo di guerra, Odette era una bimba di sei anni, ma non le è sfuggita una sola immagine di quegli otto lunghissimi mesi passati sotto i bombardamenti. “Eravamo nascosti in una grotta d’argilla, con la chiusura in legno, che avevano scavato a mano mio padre e mio zio” – racconta. “Le bombe facevano saltare per aria gli animali, che andavamo a raccogliere di corsa, e per fortuna che mio padre li sapeva macellare”.
Le sue pupille si dilatano, gli occhi adesso sono più umidi, ma non bagnati, sono lucidi di ricordo. Dentro quel nero vedo lo specchio della certezza di chi sa che non potrà mai dimenticare, neanche volendo. “Mia mamma era altezzosa, non mangiava senza sale manco in tempi di guerra. Così mio zio, suo fratello, andava giù dai tedeschi a scambiare qualche informazione col sale”. Gli americani erano poco più giù, dall’altra parte del fiume. Furono i tedeschi stessi a sfollarli dalle loro case e lasciare che si rifuggiassero alla meglio tra le montagne, dove pure c’erano i combattimenti. “Ricordo che i tedeschi erano più furbi, ma gli americani dall’altro lato erano di più. Continua Odette – “Per questo hanno vinto. A noi non importava nulla di chi fossero i cattivi, volevamo solo che finisse”. Ricorda con lo stesso candore di quando era bambina, nelle sue parole c’è l’innocenza di chi dice la verità perché non sa possa suonare strana all’orecchio melenso delle generazioni future.
Di quel Natale ricorda soprattutto che non fosse freddo. “L’ha voluto la provvidenza” – è la sua spiegazione. Ricorda qualche mese prima i tedeschi in ritirata passare stremati chiedendo dell’acqua. La guerra crudele come solo la guerra sa essere è stata però anche livellatrice e forse unico evento in grado di restituire un senso all’Evento che il Natale pretende d’essere. Non c’erano più divise, nessun nemico, solo sete e fame e il sollievo di sapere che non era poi così freddo. Non più bandiere, niente stemmi, una guerra finita che nessuno aveva più voglia di combattere. Natale in guerra, ma senza ideologia, che la morte e gli stenti avevano fatto dimenticare all’oppressore come all’oppresso. Non è più un soldato, non è un tedesco quello che si avvicina biascicando qualcosa. Un uomo assetato guarda un altro uomo: “Acqua! Acqua!”. È solo un uomo, pensa quell’altro mentre gli porge la brocca.