In Italia la pubblicazione da parte del New York Times della rivisitazione della carbonara, grande classico italiano e specialità romana, con la proposta della ricetta “Smoky Tomato Carbonara”, cioè la carbonara di pomodoro affumicato, nelle sue pagine rivolte ai lettori gourmand e dedicate ai suggerimenti di cucina, ha suscitato indignazione nei social e una dura reazione in Italia da parte di Coldiretti che scrive di “agropirateria internazionale”. Cioè l’abitudine di utilizzare impropriamente parole, colori, località, immagini, denominazioni e ricette che si richiamano all’Italia ma che non hanno nulla a che fare con la realtà nazionale.

La critica culinaria del quotidiano statunitense, Kay Chun, nel presentare il piatto ha comunque precisato che la specialità romana è “tradizionalmente fatta con parmigiano, uova, guanciale (maiale stagionato) e pepe nero” e che “i pomodori non saranno tipici nella carbonara ma danno a questo piatto un gusto brillante e la pancetta al posto del guanciale conferisce una nota affumicata”.
Il rischio quindi è che sulle tavole dei newyorkesi si radicano versioni inventate della tradizione italiana.
“C’è una campagna del New York Times di promuovere ricette che non sono italiane però con il nome della tradizione” ci spiega Gianfranco Sorrentino, proprietario del ristorante Il Gattopardo a New York, “hanno pubblicato anche un’altra ricetta, quella della pasta alla bolognese senza carne, con aggiunta di noci, salsa di soia e marmite, la crema spalmabile inglese”.
Differenti sono quindi le specialità diversificate della cucina italiana e la falsificazione del Made in Italy a tavola supera i 100 miliardi di euro con gli Stati Uniti al primo posto.
La mancanza di chiarezza sulle ricette contribuisce alla proliferazione di prodotti falsificati all’estero, e l’invenzione deriva dalla mancata educazione alla nostra cultura, i nomi delle ricette infatti racchiudono il significato del mix degli ingredienti che si mangiano.

Gianfranco Sorrentino, oltre ad essere un ristoratore è anche Presidente del Gruppo Italiano e ci spiega: “In America non conoscono la vera cucina italiana. Noi abbiamo il compito di educare senza arroganza ma solo per permettere di conoscere la nostra storia e il nostro rapporto con il cibo. È importante che negli istituti culinari gli studenti siano educati non solo ai prodotti italiani, ma alla cultura culinaria italiana e quindi alla semplicità delle cotture, alle tecniche e all’unione dei pochi e preziosi ingredienti”.
In realtà le origini della carbonara sono oscure e potrebbero esserci di mezzo proprio gli americani, comparve infatti quando nei mercati romani apparve il bacon portato dalle truppe alleate e l’idea della vera ricetta si è sviluppata proprio grazie ai soldati americani che combinavano gli ingredienti a loro più familiari che riuscivano a reperire, e cioè uova, pancetta e spaghetti.

“Il newyorkese sa benissimo che la carbonara è fatta con il guanciale il pecorino e uovo a crudo, solo il tuorlo. Questa è la carbonara che apprezza ma ama anche la sua rivisitazione” ci dice Luigi Scarpelli, proprietario del ristorante la Villetta di New York. “La carbonara con la panna e le cipolle piace al newyorkese perché sono quei sapori italo-americani con cui è cresciuto. Sono delle memorie che si portano da bambini e per tutta la vita, almeno una volta alla settimana le mangeranno”.

I piatti imbastarditi della cucina italiana diventano quindi un piatto tradizionale del newyorkese e le nuove rivisitazioni culinarie pubblicate dal New York Times che noi italiani giudichiamo con grande severità, vengono invece cucinate e commentate positivamente dai lettori della ricetta, tanto che risentiti scrivono: “Non capisco la necessità di criticare questa ricetta così spietatamente. L’ho preparato la scorsa notte e la salsa era perfettamente setosa, esattamente come dovrebbe essere la carbonara. Volevo più pomodori, quindi li aggiungerò la prossima volta. La rifarò sicuramente”.
Comunque sia, la carbonara è considerata ormai un piatto italiano con le sue ferree regole e la ricetta del New York Times, non è altro che una delle tante note stravaganze culinarie statunitensi, e gli italiani quando si tratta di cucina saranno sempre inorriditi per le devianze della tradizione.