Il podio è quello più alto, più ambito da ogni chef. Stiamo parlando del White Guide Global Gastronomy Award, per intenderci, il Nobel della gastronomia. Giunto all’ottava edizione ha premiatto quest’anno uno chef che ha fatto del talento e dell'innovazione la propria bandiera. E che, a 52 anni, si è portato a casa riconoscimenti da vera superstar. Massimo Bottura era già in vetta nella guida Espresso, con un punteggio 19.75/20, nel 2013, si è aggiudicato le 3 ambitissime stelle Michelin, nel 2013 si è aggiudicato il terzo posto nella World’s 50 Best Restaurants, ed è stato nominato International Chef of the Year da quella che è considerata la bibbia gastronomica americana, la rivista The Daily Meal.
Lui è il sognatore con i piedi per terra, quello che si è fatto le ossa con Georges Cogny Alain Ducasse e Ferran Adrià. Il suo stile di cucina è contemporaneo, ma con lo sguardo sempre rivolto alla cucina del territorio. Crede fortemente nel grande valore delle tradizioni gastronomiche italiane, è il cultore della precisione tecnica e ha creato nel tempo un rapporto indissolubile con i più eccellenti artigiani italiani. E non smette mai di sognare. Perché, come lui stesso dice, “per arrivare da qualche parte nella vita devi avere un sogno. Sono quelli che ci tengono vivi dentro. Io non sarei qui, né lo sarebbe l’Osteria Francescana, se io non mi fossi tenuto ben stretto i miei sogni e non avessi fatto tutto quel che potevo per realizzarli”.
L’abbiamo incontrato nel suo regno, la Francescana, dodici tavoli nel cuore di Modena, il laboratorio da cui escono il tortellino inserito in una geniale capsula di brodo o l’anguilla che risale il Po. E che è allo stesso tempo un inno all’arte, con una galleria da fare invidia ad un museo d’arte contemporanea. Ecco che cosa ci ha raccontato, a pochi giorni dall’incoronazione e in partenza per i suoi amati States:

Five ages of Parmigiano Reggiano in different textures and temperatures. Foto di Paolo Terzi
Una grandissima soddisfazione questo ennesimo riconoscimento. Come si è sentito sul palco di Stoccolma, anche in virtù della situazione in cui è l’Italia in questo momento?
Cosa posso dirvi, salire per un premio internazionale è sempre una grande emozione, un riconoscimento che non è solo a me, ma anche ai miei ragazzi e all'Italia intera con la sua costellazione di artigiani vignaioli, casari, allevatori e pescatori.
Tre stelle Michelin e terzo posto nella classifica dei World's 50 Best Restaurants Awards. Si considera “arrivato” o c’è ancora spazio per l’innovazione nella sua eclettica cucina?
Mi hanno chiesto cosa c’è nel futuro di Massimo Bottura?’ Io ho risposto: ancora futuro.
Qual è il segreto per diventare il miglior chef al mondo?
Prima di tutto l’umiltà. Una parte di talento. Tanta energia, spirito di sacrificio. Duro lavoro giorno dopo giorno senza mai perdersi nella quotidianità. Rimanendo sempre con i piedi per terra e viaggiare, per una saggia contaminazione, una contaminazione che sia confronto, un’apertura.
Quali sono stati i suoi maestri e quale impronta hanno lasciato nel suo modo di cucinare?
Credo che essere cresciuto con l’idea che la cucina, o meglio, la tavola fosse il luogo d’incontro per la famiglia, sia stata una grande scuola. I pellegrinaggi dai grandi di allora, i Peppino Cantarelli, Marchesi, il San Domenico, mi hanno permesso di affinare il palato e capire che la cucina, sviluppata in quel modo, andava oltre.
Professionalmente la ormai famosissima ‘razdora’ (massaia, n.d.r.) di Campazzo, Lidia Cristoni, mi ha segnato l’anima. Lo scomparso Georges Cogny mi ha dato professionalità e cuore. Ducasse ha portato pulizia, rigore e rispetto, Ferran l’apertura mentale.
So che lei è un appassionato d’arte. Come coniuga questa passione con la sua cucina?

Oops! I broke the lemon tart. Foto di Paolo Terzi
Credo che l’arte sia qualcosa di ben preciso che attiene ai più profondi bisogni umani e che costituisce il frutto di un complesso processo creativo. Io non mi ritengo un artista, e ci tengo a sottolineare questo principio, ma un artigiano capace di concettualizzare le proprie realizzazioni che nascono dall’incontro di idee, culture, tecniche e gesti. Ciò significa non caricare il nostro lavoro di eccessive aspettative, ma al tempo stesso riconoscere che non vi può essere ricerca in cucina senza la voglia di esplorare e percorrere nuove strade in un processo che può essere definito creativo: solo in questo senso si possono riconoscere delle analogie rispetto al lavoro di un architetto, un poeta o un musicista.
Man mano che ho imparato nuove tecniche e ho imparato a conoscermi meglio, la mia cucina si è evoluta approfondendo i concetti utilizzando spesso l’ironia e per cercare di abbattere barriere e preconcetti. Il mondo della cucina sta cambiando: c’è stato un grande mutamento negli ultimi 10 anni e ci siamo evoluti verso un modello ricco di contaminazioni che lascia spazio di crescita ai giovani chef di tutto il mondo. Penso che sia un periodo molto interessante e stimolante per questo lavoro. I miei colleghi danesi, newyorchesi, parigini, italiani, sudafricani, australiani o tedeschi stanno tutti reclamando un proprio spazio e una propria identità nel mondo della cucina spostando l’attenzione da una cucina istituzionale e pomposa a una cucina stagionale, fresca ed emozionale, connessa al proprio territorio e alla propria anima.
Qual è il piatto che ha cucinato per conquistare sua moglie, la newyorchese Lara Gilmore?
Una leggerissima vellutata di carciofi. Ci siamo conosciuti mentre lavoravamo al Cafe di Nonna a Soho, lei aveva detto che amava i carciofi, sua madre li cucinava al vapore e li serviva con una maionese, à la Julia Child, decisi di preparare una versione del piatto con un tocco di Modena per conquistarla.
E per sé, che cosa si cucina quando vuole “coccolarsi”?
Ho sempre nel mio frigorifero le migliori materie prime dei grandi artigiani italiani, i miei amici che hanno reso grande la cucina di questa nazione.
La sua è anche la cucina del territorio, di Modena. Cosa si prova a sedersi a tavola all’Osteria Francescana?
È un'esperienza che racconta quel territorio visto da 10 chilometri di distanza
So che è in partenza per gli USA, quali sono i suoi programmi lì?
Vado spesso a New York per diversi motivi, mia moglie è americana e spesso sono chiamato per eventi internazionali, è una città che adoro e che visito sempre volentieri.
Grazie chef! Al prossimo traguardo!
L’Osteria Francescana, aperta nel 1995 e la Franceschetta58, la brasserie, inaugurata nel 2011, ambedue di proprietà di Massimo Bottura, si trovano a Modena, sua città natale. In una vecchia osteria trasformata nella Mecca della cultura contemporanea, i piatti dello chef sono intrisi di riferimenti all’arte contemporanea, vivacizzati da ispirazioni sociali o di attualità e sempre con un pizzico di senso dell’umorismo.
Bottura si dedica alla ricostruzione dell’eredità della cultura italiana senza però tradirla. Questa evoluzione intelligente della tradizione italiana si materializza in alcuni suoi piatti come: Vieni in Italia con me e Compressione di pasta e fagioli dove le regole vengono modellate e tornano al punto di partenza chiudendo il cerchio, per gli ospiti un richiamo costante alla ricchissima eredità gastronomica dell’Italia.
Il piatto Risotto cacio e pepe per esempio è una riflessione sulla tradizione creato dopo il terremoto avvenuto in Emilia nel Maggio 2012 che danneggiò quasi 400.000 forme di Parmigiano Reggiano. Oltre che Alla carta, sono presenti tre menù degustazione: il menù Tradizionale, tributo alle materie prime, alla tradizione e al territorio dell’Emilia Romagna, il menù dei Classici e il Best of dell’Osteria Francescana, che viene aggiornato e rivisitato con i migliori piatti dell’anno in corso.
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