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Non chiamatele quote rosa

Maurita CardonebyMaurita Cardone
Da sinistra: Stefano Albertini, Lucina Di Meco, Valeria Fedeli, Angela Vitaliano e Maria Luisa Rossi-Hawkins davanti alla targa che ricorda le vittime dell'incendio alla Triangle Shirtwaist Factory

Da sinistra: Stefano Albertini, Lucina Di Meco, Valeria Fedeli, Angela Vitaliano e Maria Luisa Rossi-Hawkins davanti alla targa che ricorda le vittime dell'incendio alla Triangle Shirtwaist Factory

Time: 4 mins read

 

“Non poteva capitare con un tempismo migliore” ha detto Stefano Albertini, direttore della Casa Italiana Zerilli Marimò della New York University, nell'introdurre l'incontro di martedì sera dedicato a donne e politica nell'Italia contemporanea. Una conversazione con Valeria Fedeli, vice presidente del Senato della Repubblica, e con Lucina Di Meco (Gender & Leadership Consultant), Maria Luisa Rossi-Hawkins (TGcom, Mediaset) e Angela Vitaliano (Il Fatto Quotidiano).

Tempismo perfetto perché appena lunedì il Parlamento ha bocciato i tre emendamenti alla proposta di riforma elettorale intesi a garantire una rappresentanza di genere paritaria.

Valeria Fedeli si è a lungo battuta per questa riforma e promette di continuare: “Ripresenteremo il testo in Senato” ha detto. La bocciatura, tuttavia, non arriva a sorpresa: “Mi aspettavo che i primi due emendamenti, quello sull'alternanza uno a uno nelle liste e quello che proponeva il 50 e 50 per i capilista, venissero bocciati – ha spiegato la senatrice di Treviglio, ex sindacalista della CGIL eletta nel PD – Ma il terzo emendamento, quello che prevedeva che nessuno dei due generi possa essere sotto-rappresentato del 40% tra i capilista, ha una formulazione più europea, di non discriminazione e pensavo potesse essere visto come elemento di cultura moderna. Ma il voto segreto, in un Parlamento dove le lobby maschili sono molto forti, sicuramente non ha giocato a favore dei tre emendamenti”.

Il problema, secondo la vice presidente del Senato, è in una discussione che non è stata adeguatamente portata a compimento: “Il bluff sta nel disegno di legge che prevedeva che non potessero essere messi in lista più di due nomi consecutivi dello stesso genere. Inoltre, questa è una battaglia anche di linguaggio: un'altra cosa che ha affossato i tre emendamenti, a mio avviso, è che si sia parlato di quote rosa. Un'espressione che a me non piace: sembra quasi dire che tu hai bisogno della quota, senza farti vedere che c'è qualcun altro che ha il monopolio”.

Ora il processo dovrà riprendere, ma intanto, per la prima volta nella storia, l'Italia ha un governo con una parità di genere assoluta. E tuttavia, in futuro, non si potrà contare sulla buona volontà dei partiti, ha spiegato il vice presidente del Senato: “Abbiamo bisogno di regole”. E sulla questione delle regole la discussione alla Casa Italiana NYU si è trasformata – anche – in un confronto tra due sistemi di costruzione del cambiamento sociale, quello italiano e quello americano. O, come ha detto l'onorevole Fedeli a La VOCE a conclusione dell'incontro, “tra due tempi del cambiamento”.

Un tempo, quello dell'Italia, che passa attraverso la creazione di norme specifiche, mentre negli USA, dove queste norme non potrebbero esistere in quanto in violazione del principio di uguaglianza, a fare da garante della parità, in politica come in altre istituzioni, è la società civile stessa. “L'Italia ha bisogno di politiche shock, di norme antidiscriminatorie. In America, invece, esiste una consuetudine di battaglie e mobilitazioni per i diritti civili. E se vedi una discriminazione, puoi intervenire. Mentre in Italia questo non avviene quasi mai e finisce che le discriminazioni nemmeno le vedi”.

La colpa è anche dei media. Ne è convinta la senatrice che ha ricordato come troppo spesso i talk show politici, nel momento in cui è necessario mettere in campo delle competenze, si limitino a invitare uomini, relegando le donne a un ruolo di secondo piano. Si tratta di un problema sociale e culturale che si riflette anche nel sistema di istruzione. “I contenuti stessi dei percorsi formativi sembrano dimenticare il ruolo delle donne – ha detto l'onorevole Fedeli – Basta pensare che non si fa mai riferimento alle madri costituenti, alle donne, che insieme agli uomini, scrissero la costituzione. E in tutti i percorsi di conoscenza è la stessa cosa. Il cambiamento comincia dai modelli di apprendimento. Per questo penso che sia necessario, per esempio, introdurre nelle scuole quella che prima si chiamava educazione sessuale e che invece io chiamo educazione sentimentale, perché deve essere mirata a far capire ai giovani che esiste una relazione tra l'uomo e la donna che sono due persone complete, fatte di testa, corpo, ma anche cuore. E le relazioni si costruiscono sul rispetto dell'altro”.

A conclusione della partecipata discussione alla Casa Italiana, il vice presidente del Senato, Valeria Fedeli è andata a rendere omaggio alle vittime dell'incendio alla Triangle Shirtwaist Factory che il 25 marzo del 1911 uccise 146 persone, di cui 123 erano donne, per lo più immigrate italiane ed ebree. Oggi queste donne sono ricordate da una targa. Da allora tanti progressi sono stati fatti, ma tanto c'è ancora da fare. In Italia forse più che altrove. E mentre in America sembra sempre più probabile che Hillary Clinton sarà il prossimo candidato democratico, abbiamo chiesto alla senatrice Fedeli se ritiene che in Italia avremo prima un presidente della Repubblica o un presidente del Consiglio donna: “Della Repubblica, certamente – ci ha detto – E ci eravamo andati vicino quando si discuteva del successore di Napolitano. Poi quella discussione è stata interrotta, ma era l'occasione buona. I tempi sono maturi e credo che ci sia qualche personaggio con il profilo adatto”. Di farci nomi, però, non se ne parla.

 

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Maurita Cardone

Maurita Cardone

Giornalista freelance, abruzzese di nascita e di carattere, eterna esploratrice, scrivo per passione e compulsione da quando ho memoria di me. Ho lavorato per Il Tempo, Il Sole 24 Ore, La Nuova Ecologia, QualEnergia, L'Indro, senza che mai mi sia capitato di incappare in un contratto stabile. Nel 2011 la vita da precaria mi ha aperto una porta, quella di New York: una città che nutre senza sosta la mia curiosità. Appassionata di temi ambientali e sociali, faccio questo mestiere perché penso che il mondo sia pieno di storie che meritano di essere raccontate e di lettori che meritano buone storie. Ma non ditelo ai venditori di notizie.

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