Anche la quarta votazione non ha portato all’elezione del presidente della Repubblica. E i partiti, le loro correnti e correntine sono ancora alle prese con veti e contro veti, mosse di piccolo cabotaggio, a cominciare dall’attenzione spasmodica a tutto ciò che potrebbe portare, con l’arrivo di un nuovo presidente, alla fine anticipata della legislatura, con conseguente perdita del vitalizio.
Osservando il Parlamento come fossero tanti eserciti schierati, l’immagine che viene fuori dopo quattro votazioni è quella di truppe sbandate, i cui generali fanno fatica a farsi obbedire e a dare le giuste indicazioni.
Il centro destra resta diviso, e profondamente, con Matteo Salvini della Lega che si agita, promette, annuncia svolte imminenti, ma gira a vuoto perché non ha in testa una linea strategica – che può essere alla fine vincente o perdente – in grado di indicare la strada da percorrere.
Giorgia Meloni di Fratelli d’Italia si è chiamata fuori al momento della terza votazione invitando a votare uno dei suoi fondatori e raccogliendo molti più voti dei suoi parlamentari e grandi elettori. Il problema della Meloni è che il suo partito è l’unico che non fa parte del governo e dunque le riesce impossibile seguire le discussioni che girano tutte intorno agli equilibri di governo per trovare il nome sui cui convergere. Opposizione è e opposizione rischia di restare nella partita del Quirinale.
Forza Italia è come il suo leader Silvio Berlusconi, sotto osservazione medica per capire quali siano i suoi mali. Del resto Forza Italia e Berlusconi, nel corso della loro storia politica, hanno fagocitato tuti i possibili delfini del leader. E dunque appare decisamente improbabile che oggi, una volta che Berlusconi è stato costretto ad archiviare l’idea di salire al Quirinale, possa sfoggiare un gruppo dirigente in grado di gestire la battaglia per il Quirinale con saggezza, lungimiranza e attenzione agli interessi del Paese.
Se ci spostiamo nel centro sinistra i problemi sono analoghi. Non esiste unità di vedute, l’alleanza giallo rosa Pd-M5S è solo occasionale per via del governo di Mario Draghi. I 5 Stelle sono divisi in gruppi e gruppetti e il loro leader Giuseppe Conte non sembra in grado di fare il direttore di orchestra. In più, i 5 Stelle non sembrano aver brillato in idee. Dire che ci vuole un alto profilo significa poco o niente, come anche annunciare che potrebbe essere il momento di una donna. I giudizi e le valutazioni si fanno su nomi, cognomi e curriculum.
Nel Partito Democratico, il segretario Enrico Letta ha giocato soprattutto di rimessa, evitando che le più scalcagnate mosse avversarie potessero mettere radici tra i gruppi parlamentari. Prima chiedendo a gran voce un tavolo di tutti per discutere di nomi, poi bloccando la manovra che puntava a presentare la presidente del Senato. Ma non ha fatto pubblicamente mai alcun nome. Certo per educazione parlamentare di non voler bruciare personalità in grado di rivestire la carica, ma anche per un vizio ormai di antica data di quel partito di voler decidere le cose nel chiuso di una stanza in modo che poi non si possa mai indicare qualcuno come il responsabile di una valutazione politica errata.
Così, siamo alla vigilia della quinta chiama. La serata e la notte porteranno consiglio? Faranno sì che cominci davvero una discussione su due/tre nomi capaci di rappresentare l’Italia dal Quirinale?
Rischia di continuare ancora a lungo il pettegolezzo e la speculazione politica intorno ai nomi di Pierferdinando Casini, in Parlamento da una vita, presidente della Camera con i voti del centro destra e rieletto nel 2018 in Parlamento con i voti del centro sinistra a Bologna. Oppure di Giuliano Amato, delfino di Bettino Craxi, ex presidente del consiglio e ministro, oggi in predicato di diventare presidente della Corte Costituzionale. O ancora di Sabino Cassese, giurista, ex ministro, presidente emerito della Corte Costituzionale. Per finire a Elisabetta Belloni, ambasciatrice, oggi capo dei servizi segreti.
Se c’è comunque un dato da segnalare è quello relativo ai voti ottenuti da Sergio Mattarella, il presidente uscente. Nella quarta votazione 160 voti. Nella terza 125. Nella seconda 39.
Mattarella ha detto in molte occasioni che considera la sua esperienza finita. Ma di fronte alla richiesta aperta, potrebbe continuare a dire di no? Clemente Mastella, politico politicante di grande fiuto ed esperienza, ha risposto ricordando la scena di Pulcinella circondato da due carabinieri che alla domanda “vai in prigione?” risponde “mi portano”.