Ursula von der Leyen ha corso davvero il rischio di non cominciare il secondo mandato da presidente della Commissione Ue. O di cominciarlo dichiarando il suo esecutivo in crisi prima ancora dell’insediamento.
È accaduto che i dissensi interni alla maggioranza che dovrebbe sostenere von der Leyen (Ppe, Sinistra democratica, Renew) hanno colpito il castello di carte. Un soffio e crolla tutto. La differenti visioni, le aspettative contrastanti si sono saldate intorno a due politici – l’italiano Raffaele Fitto e la spagnola Teresa Ribera – scatenando una battaglia di veti incrociati, ripicche e minacce di far saltare il banco. La sinistra si è schierata contro Fitto perché appartiene a Fratelli d’Italia e in Europa ai conservatori di Ecr, partito che è fuori dall’attuale maggioranza. I popolari europei erano contro Ribera, alla quale si voleva imporre la promessa scritta di dimissioni se nel suo Paese, dove è ministra del governo Sanchez, finirà al centro di una inchiesta giudiziaria per i fatti seguiti alla alluvione di Valencia.
Di fronte allo stallo, alla fine ha prevalso la mediazione al più basso livello possibile: via libera alla Commissione, inclusi Fitto e Ribera come vicepresidenti esecutivi, e rinvio al voto del Parlamento nella speranza che non ci siano sorprese nel segreto dell’urna.
È assolutamente chiaro che aver usato Fitto e Ribera come oggetti contundenti per regolare altri conti nella maggioranza Ue, significa che il patto Popolari, Sinistra, Renew ha fondamenta così deboli da poter prevedere una guerriglia strisciante e continua nella maggioranza von der Leyen. Ed è ovviamente la spia della debolezza dell’Unione europea e dei Paesi che fino a oggi hanno fatto da guida a questa istituzione.
Difficile dare una risposta alla domanda su come von der Leyen potrà affrontare i problemi che la attendono. A cominciare dalla questione del conflitto tra Russia e Ucraina: l’Unione europea si è schierata senza esitazioni con Kyiv, ma siccome le guerre non possono durare in eterno (abbiamo già superato la soglia dei mille giorni dall’invasione), l’Unione come affronterà il futuro visto che le voci al suo interno sul da farsi si fanno sempre più diverse? Se passerà ancora del tempo verranno alla luce vere e proprie fratture intestine all’alleanza europea.
Se queste sono le premesse, a governo non ancora votato dal Parlamento, come faranno von der Leyen e i suoi commissari ad affrontare le sfide del prossimo quinquennio? Non sarà semplice tenere la barra dritta quando gli stessi Paesi trainanti – Germania e Francia – hanno problemi intestini strutturali. Non c’è argomento di rilievo che non veda profonde divisioni all’interno dell’Europa e, soprattutto, della maggioranza rappresentata da von der Leyen. Su come affrontare i tempi dello sviluppo economico e della produzione industriale non c’è visione comune; sulla trasformazione green c’è il rischio di innestare una frettolosa marcia indietro; sull’immigrazione ogni Paese va per conto suo puntando il dito sugli altri per denunciare scarsa solidarietà; sulle alleanze internazionali sembra prevalere l’egoismo di chi cerca di guadagnare posizioni affrontando le questioni da solo, sognando di poter avere un rapporto privilegiato a Ovest con gli Stati Uniti e la presidenza di Donald Trump e a Est con la Cina di Xi Jinping.
Se non troverà subito la sua strada l’alleanza Ursula favorirà alla fine tutte le peggiori pulsioni sovraniste e gli egoismi particolari segnando alla fine la crisi del sogno chiamato Unione Europea.