Ci sono state, negli ultimi anni, non poche prime pagine dei grandi giornali americani e italiani aperte sui grandi blitz notturni sugli arresti di mafiosi che avvenivano contemporaneamente tra l’Italia e gli Stati Uniti. Come magari avveniva con Giovanni Falcone e Rudolph Giuliani, ai tempi della “pizza connection”, sembra che siano tornati i tempi d’oro della collaborazione anti mafia tra Stati Uniti e Italia. Così quando la scorsa settimana la Commissione Parlamentare Antimafia ha viaggiato tra Washington e New York, abbiamo immaginato che il nuovo asse anti-criminalità organizzata stesse raccogliendo i suoi frutti di questa collaborazione.
La missione dei parlamentari italiani ha quindi incontrato pezzi grossi del sistema giudiziario americano, direttamente ai vertici del ministero della giustizia dell’amministrazione Trump, con i direttori di Dea e Fbi, fino ai procuratori distrettuali di New York, come anche gli alti funzionari delle agenzie Onu che si occupano di cooperazione internazionale in materia penale.
La delegazione della Commissione era guidata dal suo presidente, Nicola Morra, senatore del M5S. C’era anche il “pezzo da novanta” della commissione, il senatore Pietro Grasso, che oltre ad essere stato il presidente del Senato, è stato procuratore nazionale antimafia e ha lavorato a fianco di Falcone e Borsellino. Insomma, pochi come Grasso in Italia possono rappresentare la memoria della storia della lotta alla mafia e delle sue collaborazioni oltreoceano.
Come era prevedibile, nella trasferta tra Washington e New York si è discusso anche molto della Convenzione di Palermo, l’accordo sotto l’ombrello delle Nazioni Unite contro il crimine transnazionale, che proprio quest’anno compie 20 anni dalla firma avvenuta in Sicilia nel dicembre del 2000.
Noi siamo stati lo scorso venerdì al Consolato d’Italia a Park Avenue per l’incontro che il Console generale Francesco Genuardi ha voluto organizzare tra la delegazione della Commissione e alcuni esponenti della comunità italiana. E anche se la serata era più celebrativa che di lavoro, siamo riusciti a fare delle domande a tre sicuri protagonisti di questa commissione: il presidente Morra, la deputata Piera Aiello (già collaboratrice di giustizia come vittima di mafia) e, come avevamo già accennato, il “pezzo da novanta” Pietro Grasso.
Dopo la presentazione della visita della Commissione fatta dal presidente Nicola Morra agli ospiti del Consolato, ecco le domande che siamo riusciti a fargli.
Presidente Morra, il viaggio è andato come si aspettava? E’ soddisfatto?
“Poteva anche andar meglio, perché al meglio non c’e mai fine. Ma è stata una esperienza importante. Particolarmente gratificante sia in alcuni incontri a Washington sia in altri incontri a New York, e credo che sia doveroso da parte mia ringraziare gli altri colleghi della commissione per l’ottimo lavoro svolto. Il nostro è un lavoro di squadra, e bisogna valorizzare tutti i colleghi. Già perché tutti si ricordano sempre di Paolo Rossi ai mondiali ’82, ma quella coppa l’abbiamo vinta anche con il prezioso lavoro di Collovati, di Scirea… “
Già, nell’82 Bearzot sorprese tutti gli italiani vincendo una coppa del mondo inaspettata, ma lei venendo qui in America come Presidente della Commissione Antimafia invece cosa si aspettava di ottenere? E gli americani cosa si aspettavano da voi?
“Non siamo venuti qui per motivi investigativi, nel senso che non possiamo sostituirci ai magistrati. Noi siamo venuti qui con l’ambizione di far comprendere come si avverta in Italia la necessità di promuovere indagini e investigazioni sempre più in pool. Con la condivisione anche in tempo reale se necessario e possibile di informazioni che comunicate in tempo possono impedire l’effettuazione di immediate operazioni e prevenire il crimine mafioso. E devo dire la vertità c’è tanto tanto da lavorare perché in tutti gli ambienti investigativi si vuole avere una sorta di monopolio nella gestione dell’informazione, però abbiamo notato che le premesse soprattutto di alcuni uomini della magistratura statunitense sono state assolutamente coerenti con la nostra impostazione. Questi sono processi che avviati oggi porteranno esiti a distanza di anni. Siamo anche qui per rinnovare modificare e implementare e rendere sempre più applicabile la Convenzione di Palermo, che sulla base delle intuizioni di Giovanni Falcone, fece capire che il crimine organizzato di stampo mafioso dovesse essere combattuto su dimensione transnazionali. E questo a distanza di vent’anni è ancor più necessario oggi con la globalizzazione dei mercati e dei capitali oltre che delle merci. Noi sappiamo che ad esempio il traffico di sostanze stupefacenti avviene ormai su tutti i continenti, la produzione è altrove, la commercializzazione altrove e il consumo è altrove, in tutto questo dobbiamo aver consapevolezza e dobbiamo smetterla di pensare l’azione di contrasto al crimine, mi lasci dire questa metafora in chiave provocatoria, come fosse cosa nostra e basta. E’ una cosa di tutti la legalità democratica di qualunque stato, e potrebbe essere messa in serio pericolo dall’inefficacia delle azioni di contrasto se condotta su dimensione ormai non più sufficienti”.
Avete avuti incontri all’FBI, la Dea, al ministero Giustizia USA: che impressioni ha avuto? Cosa si aspettava? Gli americani sono avanti o indietro all’Italia rispetto alla lotta alla mafia?
“Credo che siano sul pezzo, come diciamo noi, rispetto alle investigazioni delle attività delle mafie negli Stati Uniti. Credo che debbano rapportarsi sempre più a noi italiani e a noi europei, e anche ai sudamericani, per esempio lavorando allo studio ancor più approfondito nella triangolazione Sud America, Nord America, Europa che avviene per il traffico di sostanze stupefacenti. Credo insomma che si sia a buon punto, ma non si sia ad un punto conclusivo del tragitto”.
‘Ndrangheta, Cosa Nostra, Camorra, Sacra Corona Unita: quale preoccupa di più gli americani?
“La Ndrangheta certamente, che inizia ad essere apprezzata come un pericolo grave anche perché sempre più si dimostra che calabresi e siciliani sanno lavorare insieme e che i criminali calabresi che un tempo si pensava che fossero perimetrali soltanto nel Canada sono prepotentemente attivi e stabili anche negli USA”.
Dopo il Presidente Morra, abbiamo avvicinato l’Onorevole Piera Aiello, eletta in Provincia di Trapani anche lei con M5S e la cui storia personale di lotta alla mafia a Partanna, la potete leggere qui.
Onorevole Aiello, gli americani le hanno detto qualcosa da cui ha imparato sulla criminalità organizzata oppure è stata lei a insegnare loro qualcosa su che cosa è la mafia?
“Diciamo che abbiamo scambiato il nostro sapere. Io mi sono dedicata a intervistare dei Marshall per la questione dei testimoni e collaboratori di giustizia. Io presiedo all’interno della commissione antimafia il comitato per i testimoni e collaboratori dove è nata una legge su di loro. Ho visto che ci sono dei trattamenti diversi tra l’America e l’Italia, allora ho voluto approfondire il discorso in modo da mettere insieme delle idee importanti. Stasera, per esempio, qui sto parlando con un ex Marshal (Joseph R. Guccione, già United States Marshal for the Southern District of New York, ndr) che mi sta dando delle informazioni importantissime. Altri Marshal li farò venire in commissione. Più che altro per far rimanere la memoria nei prossimi anni anche per chi verrà dopo di me, di sapere quello che ci dicono gl americani sul loro sistema di protezione”.
Lei la mafia l’ha vissuta nella sua pelle. Quando è entrata in Parlamento e alla commissione antimafia, si è accorta forse di quanto ancora la politica non abbia capito della mafia?
“I politici dicono sempre che dove ci sono i soldi ci sono i mafiosi… Ma il problema è che, per esempio con gli imprenditori quando gli viene richiesto il pizzo, le vittime vengono lasciate sole, lo stato non c’è. Molto spesso le banche gli chiudono i rubinetti e subiscono l’usura bancaria. Fatti accertati in commissione. Lo stato non capisce che se chi denuncia non viene aiutato, in più dopo non viene protetto da testimone. Ma anche il collaboratore, perché anche se avesse commesso dei reati, comunque se non fosse stato per loro, come ci diceva anche Falcone, noi non avremmo scoperto determinate cose sulla mafia. Lo stato deve capire l’essenziale: la mafia è dappertutto: la troviamo nei rifiuti, nel sistema dell’acqua, nelle scuole, la troviamo in qualsiasi posto ci sono interessi economici. Lo stato deve capire quanto la mafia sia l’obiettivo principale, perché la mafia fa un danno colossale allo stato…”
Ma lei, da quando è dentro le istituzioni, ci riesce a comunicare queste cose allo Stato o sente delle resistenze?
“Allora non è che ci sono resistenze, molto spesso non si capisce il problema. Però io mi faccio ascoltare. Punto i piedi a terra…”
Quindi sarebbe solo un problema di comprensione…
“Il problema è quello di far capire che la mafia è un problema di tutti. Non è solo di una persona o di un altra. La mafia è di tutti, appartiene a tutti noi, e dobbiamo combatterla tutti insieme. Facendo capire questo, io penso che prima o poi riusciremo. Falcone lo diceva: questo fenomeno come è iniziato, dovrà avere una fine, come tutte le cose umane, e io ci credo”.
Torniamo alla visita in America: del tour Washington-New York quale tappa l’ha impressionata di più e cosa ha imparato da questo viaggio.
“Io sono rimasta impressionata di tutto. Perché io non ero mai stata a New York, non ero mai stata a Washington. Ho conosciuto tantissime persone e abbiamo parlato della mafia a 360 gradi. Diciamo che io vado via con un bagaglio molto prezioso per me. Confrontarsi con un popolo di una cultura diversa dalla nostra che però insieme ci vuoi fare tanto è importantissimo. Io non posso dire mi è piaciuto andare all’FBI di Washington più che a quella di New York, sono state tutte tappe diverse che però tutte insieme fanno una forza, America e Italia. Non posso dire quindi che una cosa mi abbia colpito più in particolare di un’altra, ho ascoltato attentamente tutti, ho fatto tesoro di tutto quello che dicevano, e sono felicissima, stanca ma felicissima. Era difficile tutto il giorno porre domande e ascoltare, ma ora mi ritengo molto soddisfatta”.
A questo punto chiediamo al Senatore Pietro Grasso di rispondere ad alcune domande e lo filmiamo pure. Negli anni passati, prima ancora che diventasse un politico, eravamo stati molto fortunati col giudice Grasso, a New York con questo intervistatore era stato sempre prolifico di dichiarazioni importanti. Ancora gentile e disponibile Grasso con noi per carità, ma forse l’entrata nella politica gli hanno un po’ smussato certe doti che aveva da magistrato, quelle che riuscivano a farlo parlare senza peli sulla lingua.
Una visita importante questa negli USA: cosa avete imparato e cosa avete insegnato?
“Intanto è stato un modo per ripercorrere tanti incontri che nelle mie precedenti funzioni, da magistrato prima e poi da presidente del Senato, avevo fatto…. Abbiamo avuto la possibilità di capire che il nostro lavoro in Italia è apprezzato moltissimo negli Stati Uniti sotto lo spunto di quello che ha fatto Giovanni Falcone e che noi abbiamo continuato fino ad ora. E’ stata una esperienza sempre entusiasmante, abbiamo incontrato tutte le componenti che ci hanno dato ulteriori stimoli per continuare sempre di più nella nostra azione della commissione parlamentare anti mafia”.
C’è qualcosa che preoccupa particolarmente gli americani nella lotta alla mafia e delle relazioni delle varie mafie tra l’Italia e gli Stati Uniti e di cui ci può parlare?
“Devo dire che il fenomeno è sempre posto all’attenzione delle autorità e delle agenzie investigative, quindi sotto questo profilo siamo tranquilli, che si proseguirà in questo lavoro di collaborazione con l’Italia, con Palermo, con la Calabria, con Napoli con le procure, con tutto quello che è la fase operativa di quest rapporti che sono già ben saldi”.
Tra le varie mafie, come Cosa Nostra, ‘Ndragheta, Camorra, Sacra corona unita, tra queste mafie che hanno anche relazioni tra loro, ecco c’è quella in particolare che suscita più apprensione per gli americani?
“Dico che negli Stati Uniti la distinzione che noi facciamo nel nostro paese, non ha quel valore di distinzione ‘etnica’, di provenienza regionale che c’è nel nostro paese. Qui si possono spesso sommare, far parte di associazioni che curano interessi in questo territorio che travalicano l’appartenenza alle regioni tradizionali”.
Le polemiche in Italia sulla giustizia rimbalzano anche qui a New York: allora le polemiche sulla prescrizione… e poi le polemiche sulle indagini e gli arresti del procuratore Nicola Gratteri… Ecco come influenzano il lavoro della Commissione Antimafia? Lo rendono più difficile? Cosa ha da dire sulle polemiche sulla giustizia in Italia oggi?
“Io dico che bisogna sedersi attorno ad un tavolo e trovare le soluzioni ed evitare le polemiche soprattutto quelle che mirano a creare instabilità e confusione soprattutto nei cittadini. Noi dobbiamo avere degli obiettivi ben precisi e non farci influenzare da queste polemiche e pensiamo di poterci riuscire”.
Quindi lei è alla fine ottimista sulla lotta alla mafia in Italia?
“Certamente. Abbiamo della polizia d’eccellenza, polizia giudiziaria e tutte le forze dell’ordine, chiaramente carabinieri, guardia di finanza. Abbiamo la magistratura che dirige delle indagini, come il Gratteri ci insegna, e quindi siamo tranquilli su questo piano”.