“Se ho votato 5 stelle? Sissignore, 5 stelle vutavi! I miei nipoti sono tutti sparsi, nel Nord Italia e pure fuori. E che fanno questi politicanti? Hanno pure la faccia di ripresentarsi, sempre attaccati alla sedia. Ma per la gente in tutti questi anni cos’è che hanno fatto? Niente, glielo dico io, solo i loro interessi”. Accompagna la risposta con un vigoroso gesto della mano l’uomo seduto sulla panchina in piazza Falcone e Borsellino. Che poi, candidamente, ammette anche come “ai tempi d’oro” fosse tra i primi in fila davanti alla porta del potente di turno, esponente di spicco della Democrazia Cristiana, esibendo cesti carichi di frutta, verdura e ogni altra primizia in cambio di “una mano”, fosse questa la concessione di un piccolo favore o un “posto” per un figlio “in mezzo alla strada”.
Insieme a lui due vecchi amici, maestri nell’arte di ’nchianari la villa e il corso. ’Nchianari da queste parti letteralmente vuol dire “spianare”. Ed è quello che da una vita, forse due o tre, si dilettano a fare questi signori in pensione che di generazioni ne hanno viste passare per le strade del paese. La maggior parte degli anziani interpellati, però, alle urne parrebbe fedele alla vecchia guardia. Quella del centrodestra che a Partanna, come a Castelvetrano e in altri centri del trapanese, storicamente trova uno zoccolo duro. Prima la Dc, poi Berlusconi e i suoi. Seppur travolta e doppiata dall’ondata grillina, la coalizione ha resistito, mentre nel solo Belìce la Lega di Salvini è stata votata da quasi 2mila persone.

A rimpolpare di voti i 5 stelle, dicono quanti orbitano nell’entourage del movimento, sarebbero stati invece gli ex elettori del Pd, in tendenza con il dato nazionale e con quello regionale. Varie le motivazioni attribuite al fallimento dei Dem dagli osservatori: dalla scelta di candidati “calati” dall’alto dalla segreteria nazionale in provincia, al disimpegno dei dirigenti locali in campagna elettorale, fino alle distanze talvolta percepite come incolmabili tra il governo centrale e le istanze del territorio. Con un sonoro 50 percento i grillini fanno incetta di voti, oltre 2.600 in questo Comune che a stento ormai raggiunge i 10mila abitanti. Ma il dato che fa spavento, e che forse fa il paio con la vittoria a man bassa dei grillini anche nelle terre-feudo di Matteo Messina Denaro, è quello dell’affluenza ai seggi, ai suoi minimi storici. Basta farsi un giro per capirne il perché.
Dei giovani in “età da voto”, quasi nemmeno l’ombra nelle piovose giornate di marzo. Eccezion fatta per un mucchio di liceali che quest’anno, per la prima volta, hanno inforcato la matita copiativa e che già il prossimo con tutta probabilità lasceranno la Sicilia per rivederla a Natale e Ferragosto. Per qualche universitario, stagista o più fortunato lavoratore fuori sede, costretto a rientrare a casa il weekend del 4 marzo e a rispolverare la tessera elettorale per poter mettere una croce sulla scheda. Per qualcuno dei “soliti noti”, di quelli raccolti in gruppetti al bar. E per alcuni diplomati rimasti in paese. Quelli che, se gli va bene, fanno gli assistenti in uno studio dentistico, o nella maggioranza dei casi finiscono a fare i commessi o gli shampisti e gli acconciatori a 400 euro al mese. Il tutto, ça va sans dire, rigorosamente in nero e full time.
“Sì, li ho votati”, ammette Claudia, 22 anni, che da quasi quattro lavora nello stesso negozio e senza la benché minima prospettiva: “Ma non voglio rischiare di arrivare a 30 o 35 anni inchiodata ancora qui e senza nulla in mano, penso che me ne andrò in Lombardia, o forse in Veneto. In tanti miei ex compagni di scuola hanno speso qualche migliaio di euro per un corso di formazione e lì lavorano come operatori socio-sanitari negli ospedali”, racconta. Giuseppe, 35enne, ha fatto il percorso inverso. Dopo 15 anni di onorata esperienza al Nord come carpentiere, quando la crisi dell’edilizia si è fatta sentire è tornato al Sud alle dipendenze di qualcun altro per il quale anche la pausa per andare al bagno era un lusso concesso agli operai. E così, non senza fatica, si è messo in proprio: “Chi altro avrei potuto votare al posto dei 5Stelle? Ma non mi aspetto miracoli”, commenta. “I primi a dover cambiare siamo noi – aggiunge – nella mentalità. E qui non mi sembra che cambi mai niente, purtroppo. Se non impariamo noi a prenderci cura del nostro territorio, a trattare i dipendenti con rispetto, se deleghiamo o pensiamo che arrivi qualcuno con la bacchetta magica che aggiusti tutto, le cose rimangono tali e quali”.
Tra chi prova a mettersi in gioco c’è poi qualche laureato che, messo di fronte all’impossibilità di essere mantenuto da mamma e papà per l’ennesimo stage fuori dalla Sicilia, è tornato al paese e cerca di ripartire dalle proprie radici, incontrando però enormi difficoltà. “Di bandi rivolti ai giovani del Sud di tanto in tanto ne escono – spiega Gabriele, che titubante fino alla vigilia del voto alla fine ha deciso di dare una chance agli M5s – ma di concreto c’è ben poco. Magari ti concedono una somma per ristrutturare un locale, per adibirlo a B&b, però poi devi restituirla quasi per intero entro pochi anni dal prestito. E per chi parte senza un capitale iniziale è veramente dura”. Di Battista su Facebook dice “adotta uno scettico” e c’è chi è riuscito nell’impresa, questa volta non poi tanto ardua, di convincere un genitore – fedele elettore del centrosinistra per circa un trentennio – a mettere la “X” sul simbolo del Movimento 5 stelle: “Dobbiamo votare per il cambiamento”, ha detto Serena, studentessa di Lettere, al padre disoccupato. Un fornaio che da qualche mese, dopo anni di sfruttamento come semplice dipendente in un panificio, sta cercando di aprire una propria pizzeria, scontrandosi con i suoi 50 anni, la concorrenza spietata di quanti faticano a restare a galla e i molteplici inghippi di burocrati e burocrazia.
I pentastellati, intanto, si trincerano dietro a un silenzio imposto “dall’alto”. Perché “queste le direttive”, si giustificano, dicendo di non poter rilasciare né interviste né dichiarazioni sul movimento nel post-voto e fino al prossimo insediamento dei presidenti di Camera e Senato.

Fra gli eletti nelle file dei grillini c’è anche la partannese Piera Aiello, testimone di giustizia insieme alla cognata Rita Atria, la ‘picciridda di Paolo Borsellino morta suicida dopo la strage di via d’Amelio: le loro denunce nei primi anni Novanta portarono all’arresto di diversi mafiosi del luogo. Costretta a lasciare il paese natìo dopo le sue testimonianze, Piera vive in località di protezione ma alle politiche è scesa in campo candidandosi nel collegio uninominale di Marsala. Fino alla “vittoria-riscatto”, con il 51,2 percento di voti, che l’ha resa la prima candidata d’Italia: quasi 78mila le preferenze accordatele. E grazie alla quale adesso, dopo oltre un quarto di secolo vissuto nell’ombra, costretta a cambiare più volte casa e più volte nome e a mostrarsi con il volto velato per parlare in pubblico, si dice pronta a riprendere finalmente la propria identità.
Un trionfo forse insperato, in un territorio dove ancora le logiche mafiose condizionano fortemente la politica e il tessuto socio-economico, e che Aiello ha voluto dedicare proprio alla sua scorta e al magistrato ammazzato. Per lei, affettuosamente, lo zio Paolo.
Secondo quanto sostenuto immediatamente dopo il voto dagli attivisti dei 5stelle che si sono impegnati anche nel porta-a-porta in alcuni dei Comuni del trapanese, i cittadini hanno scelto in piena libertà chi votare. Poiché in tanti, in troppi si sono detti stanchi. Compatti, i grillini rifuggono le analisi di chi attribuisce alla promessa del reddito di cittadinanza il successo del movimento. Anche se a Partanna, paese che negli anni ha sfornato schiere di maestri e professori che hanno “colonizzato” le scuole del Nord, qualcuno ammette: “Lo smantellamento della riforma della Buona Scuola di Matteo Renzi promesso da Di Maio e i suoi ha convinto in molti a votarli”.

Certo è che il cappotto dei 5 stelle questa volta non ha conosciuto confini: da Messina a Trapani, i candidati del Movimento hanno vinto anche nelle borgate dove la mafia tradizionalmente gestisce i flussi elettorali. Compresa Castelvetrano, cittadina che ha dato i natali a Messina Denaro, dove il M5s ha preso il 56 per cento di voti, e che vive forse uno dei momenti più drammatici della sua storia: Comune commissariato per mafia, sotto i riflettori dei media e con una reputazione difficile da scrollarsi di dosso. Dove nuovi centri commerciali e attività aprono e chiudono nel giro di pochi mesi, mentre i sequestri e le confische di diverse aziende per illegalità spesso si rivelano fallimentari, e talvolta finiscono per riconsegnare di nuovo in mano criminale il bene. Facendo ancora gridare alla sottrazione di posti di lavoro per mano dello Stato, percepito come incapace di creare vero sviluppo e di preservare quanto di buono e di bello il territorio ha da offrire.
Mentre il giallo pervade anche questa parte della trinacria, dove lo sdegno, l’orgoglio e in molti casi la disperazione di chi ormai non ha più nulla da perdere parrebbero avere avuto la meglio, per la prima volta la provincia di Trapani non sarà rappresentata in Parlamento da nessuno dei partiti cosiddetti tradizionali. Resta da capire se questo nuovo vento, che pare spirare da un capo all’altro dell’isola, sarà realmente foriero di quel progetto di cambiamento dal quale il Meridione da tempo immemore si sente tagliato fuori. Ridotto ormai al fantasma di se stesso, stremato da un flusso emorragico che non riesce nemmeno più a tamponare. Mentre ogni anno, nella sola Sicilia, un Paese delle dimensioni di 20mila abitanti, semplicemente, scompare.