Quando Francesco Genuardi arrivò a New York nel marzo del 2016 per ricoprire la carica di Console Generale d’Italia, sospettavamo che sarebbe stato un diplomatico all’altezza del compito. Nell’osservarne le prime uscite, infatti, oltre alla sua imponente figura fisica, aveva mostrato di aver capito e accettato l’andazzo senza fiatare: la sede diplomatica di Park Avenue non sarebbe stato quel posto dove poter godere comodamente degli onori della prestigiosa carica, ma quel luogo dove si ha la pesante responsabilità di dover ogni giorno, nonostante si indossi il doppiopetto, rimboccarsi le maniche e lavorare, correre, lavorare e correre!
Il Console Generale a New York deve innanzi tutto poter compiere un miracolo: essere anche in cinque eventi diversi in cui lui non può mancare ma che avvengono allo stesso momento in NYC e dintorni. Come fa? Appunto correndo! E siccome il Console Generale d’Italia non ha in dotazione l’elicottero, deve saper “calcolare” il momento di entrata e uscita, rientrata e riuscita, e così via senza fermarsi per cinque e sei sere di seguito a settimana. E ovviamente apparire, ad ogni evento in cui è atteso, sharp and cool (concentrato e calmo) battendo il traffico di Manhattan e ripetendo il miracolo dell’ubiquità per l’ennesima sera.
Nato 50 anni fa a Bruxelles da genitori di origine veneta e siciliana (padre funzionario della Comunità Europea), dopo la laurea in legge a Milano, nel 1993 Genuardi vince il concorso per entrare nella carriera diplomatica. Dopo qualche anno alla Direzione Generale per gli Affari Economici, in cui si occupa di questioni sulla protezione dell’ambiente e del servizio stampa e informazione della Farnesina, eccolo inviato vice-console a Buenos Aires dal 1998 fino al 2002; una tappa importante non solo per la carriera: la moglie di Genuardi è infatti argentina, hanno due figlie. Torna nella natia Bruxelles come Primo segretario alla Rappresentanza permanente presso il Consiglio Atlantico (NATO dal 2002 – 2005). Poi di nuovo a Roma, in servizio al Gabinetto del Ministro degli Affari Esteri (Ufficio Rapporti con il Parlamento) dove, dal 2008, ricopre il grado di Consigliere di ambasciata. Dal novembre 2014 è stato Capo Ufficio Rapporti col Parlamento del Gabinetto dell’allora Ministro degli Esteri e della Cooperazione Internazionale, Paolo Gentiloni, l’attuale Presidente del Consiglio.
Il Console Generale Francesco Genuardi, che arriva al suo incarico diplomatico a New York con il grado di Ministro Plenipotenziario, è coadiuvato dal Console Generale Aggiunto Roberto Frangione, dal Console Aggiunto Isabella Periotto, dal Console Aggiunto Chiara Saulle e da una squadra di 36 persone.
Quando noi de La Voce lo incontriamo per la prima volta dodici mesi fa, l’intervista non la vogliamo subito, quando appena arrivato ancora non sa cosa gli accadrà. Facciamo passare un anno e poi chissà cosa ci racconterà… Così verso la fine del mese di aprile, siamo stati ricevuti al Consolato di Park Avenue, dove Genuardi ci ha accolto “sharp and cool” per concederci questa intervista.

Dopo un anno, il suo lavoro è come se lo aspettava oppure no?
“Il mio lavoro è ancora più affascinante di quello che mi aspettavo ed è una sfida ancora più intensa e coinvolgente, anche dal punto di vista delle energie fisiche, di quanto mi aspettassi. Risponderei in una doppia maniera dicendo che è più entusiasmante e bello di quello che immaginavo, però il livello della sfida è ancora più alto di quello che potessi prevedere”.
C’è una sfida che in quest’anno ha dovuto affrontare ed è andata a buon fine?
“Come ho detto all’inizio del mio mandato, la priorità era, è e sarà quella dell’erogazione dei servizi consolari. Avendo la responsabilità di questo Consolato Generale ho ben presenti gli oneri di questo incarico, che non vedo come oneri in senso di peso, ma soprattutto come dovere di dare e far migliorare sempre di più i servizi consolari. Io sono stato fortunato di arrivare in un Consolato Generale ottimamente diretto dalla collega Natalia Quintavalle in cui era già stato fatto un lavoro profondo di riforme, di affinamenti e di miglioramenti dell’erogazione dei servizi all’utenza. Sto cercando appunto di dare continuità a queste novità, a questa spinta verso l’innovazione, verso l’utenza. Una cosa che posso ricordare di questi mesi è l’attivazione anche in New Jersey di una stazione per i passaporti al Consolato Onorario, per assorbire tutto il nuovo passaggio”.
La sfida di cui parlammo con la precedente console generale Natalia Quintavalle: l’informatizzazione del Consolato, in previsione del voto…
“Se abbiamo fatto dei passi in avanti, dobbiamo farne ancora di più. È un cammino che non si esaurisce qui. Credo che dovremmo continuare su questa strada e credo che lo svolgimento di due referendum in pochi mesi come è successo l’anno scorso sia stato per noi un banco di prova importante e delicato e abbiamo dimostrato come, pur nelle mille difficoltà e mille vincoli di bilancio, siamo riusciti a tenere”.
Il test del referendum le dà quindi fiducia dal punto di vista dell’organizzazione del voto all’estero? Dal Parlamento sono arrivate contestazioni, proteste…
“Il Consolato è impegnato nell’applicare le leggi, le leggi che esistono e non a commentarle”.
Voi continuate a fare progressi sull’informatizzazione?
“Il miglioramento degli schedari, le bonifiche, gli indirizzi, quindi io ho saputo e toccato con mano anche visitando gli italiani e le associazioni dovunque in questi mesi, che le schede sono arrivate. Quindi ho dei ritorni che mi lasciano ben sperare sul fatto che stiamo lavorando bene sull’informatizzazione, nel senso sulla cooperazione con i Comuni, con il Ministero dell’Interno, degli Esteri”.
Si è accorto che qui a New York non c’è una sola comunità italiana ma ce ne sono tante?
“Assolutamente sì, diciamo che una delle caratteristiche dell’Italia è che ci sono tante Italie, tanti italiani. New York non fa eccezione. Io ho trovato una ricchezza ancora superiore rispetto alle aspettative, ci tengo a dirlo, e ho trovato tante articolazioni e tanti strati e raggruppamenti diversi di italiani. Se proprio dovessi sintetizzare in maniera estrema e forse anche non scientifica, direi che c’è una parte che è il mondo italo-americano di alcune generazioni fa, che rappresenta un tipo di italiano che si è radicato qua ed è venuto nel Tristate ed è un pilastro insostituibile e anche inesauribile di energie e di ponti con gli Stati Uniti, è rappresentata da una miriade di associazioni che ho trovato ancora vive, con un buon ricambio generazionale, con un desiderio e con una consapevolezza di doversi attrezzare per gli anni a venire, per un’era che è diversa rispetto a quella in cui sono state fondate, con scopi di assistenza e mutualistici, scopi nobilissimi, che adesso continuano a essere importanti – perché l’assistenza è ancora importante verso i deboli e gli sfavoriti, lo studio, verso lo studio del cultural heritage dell’Italia. Questa parte che definisco italo-americana è una parte vitale, insostituibile”.

Lei ha dei consigli alle grandi associazioni italoamericane, come la NIAF, la Columbus Citizen Fondation, i Sons of Italy, UNICO ecc..?
“Direi di continuare negli sforzi che stanno facendo, alcune sono più avanti, altre sono più indietro, di collegamenti maggiori con l’Italia di oggi. Ovviamente è uno sforzo che va fatto nelle due direzioni, è uno sforzo che non possiamo chiedere soltanto alle associazioni possiamo anche noi come Consolato aiutare a trovare delle soluzioni. Insieme alla squadra consolare possiamo aiutare a facilitare i contatti con le realtà italiane ed aumentare le occasioni di incontro. C’è la consapevolezza e il desiderio di fare corsi di studio in Italia, di capire che l’Italia nel 2017 è ovviamente diversa dal contesto in cui le associazioni sono state fondate all’epoca”.
Il sindaco di New York, Bill De Blasio, è italo-americano e anche il governatore Andrew Cuomo. Questo facilita le cose?
“Sì, penso sia un vantaggio, un asset in più”.
Dualismo Cuomo-De Blasio, che qualche volta ha fatto scintille. Un vantaggio avere un rapporto con questi due pesi massimi?
“Molto positivo, da quello che so dai libri sulla storia politica di NY e da quello che mi dicono, so che i rapporti tra sindaco e governatore sono fisiologicamente e generalmente complessi. Il fatto che siano due di origine italiana è per noi molto positivo.
L’altro tipo di comunità, i cittadini italiani di più recente immigrazione. Che sono tanti, arrivati a New York negli ultimi anni. Alcuni non si sono mai avvicinati al consolato…
“Noi sappiamo che siamo a disposizione anche degli italiani che non si manifestano, siamo pronti a scattare e a entrare in azione per le emergenze e quindi noi abbiamo il dovere di predisporre la macchina consolare e oliarla e di affinarla sempre di più per metterla al servizio di tutti come istituzione”.

Continuate ad organizzare la serie di incontri per i giovani professionisti…
“Questo ciclo di incontri che ci tengo a dirlo che non ho inventato io, lo dico sempre e mi piace ricordarlo, l’ ho trovato qui ed è il frutto del lavoro di questa squadra straordinaria composta dal Console Generale Aggiunto Roberto Frangione e dalle due Consoli Aggiunte, Isabella Periotto e Chiara Saulle, che servono con passione lo Stato attraverso le loro posizioni che hanno qui, e che hanno attivato questa serie di incontri che si chiamano “Meet the New Italians” in cui, sulle linee di quella che è la strategia della nostra ambasciata a Washington, si viene incontro agli italiani più giovani e cerca di dare il senso che le istituzioni possono essere anche un luogo di incontro e di confronto utile per la nuova diaspora italiana giovane, di studenti, soprattutto per dare una serie di informazioni pratiche, in cui si può dare anche un orientamento professionale, legale sui visti, e di vita a New York”.
Che consigli ha per dei giovani o meno giovani che sognano di venire a NY?
“Consiglierei innanzitutto di informarsi il più possibile sulla parte documentale, di entrata, perchè ovviamente è una parte che va conosciuta nell’estremo dettaglio. Incoraggerei ad avere il massimo delle informazioni e dettagli e una volta qua li incoraggerei a venire a frequentare il Consolato”.
C’è un servizio di informazione per aiutarli?
“C’è un equivoco permanente anche sul visto americano e sulle informazioni che richiedono a noi: noi abbiamo al giorno, come dato fisiologico, un numero altissimo di richieste di informazioni sul visto americano che ci arrivano dagli italiani. Questa può essere una buona occasione per chiarire questo, che noi siamo a disposizione per dare informazioni se ce le chiedono ma che ovviamente non abbiamo nessuna competenza sui visti americani. Il Consolato è qui per aiutare anche i turisti, abbiamo un ufficio assistenza cui tengo molto, che fa un lavoro encomiabile, sotto il profilo dell’assistenza all’emergenza dei turisti, dell’assistenza agli italiani e a delle fasce che possono trovarsi qui di immigrazione acquisita italo-americana che possono avere problemi. Un altro concetto che vorrei dire, una delle linee di proiezione che mi piacerebbe continuare a dare dell’Italia attraverso questo Consolato Generale, è quello dell’Italia come un grande paese di solidarietà, di inclusività e di dialogo, io credo che come Consolato abbiamo il dovere di rafforzare questo tipo di proiezione dell’Italia. Il Consolato lo fa proprio perché abbiamo come compito istituzionale quello di dare assistenza e tutela al connazionale. Per esempio, a fine aprile abbiamo dedicato uno speciale focus sulla disabilità alla Scuola d’Italia, in cui abbiamo valorizzato davanti ad una platea internazionale (Nazioni Unite, studenti, Commissioner della Città newyorchese per la disabilità) come l’Italia abbia una grande tradizione di solidarietà, ce l’abbiamo nel DNA, di dialogo, di ascolto, di inclusività, è un aspetto importantissimo non dobbiamo dimenticarcelo mai.
E a questo proposito, per chiudere il cerchio sul concetto dell’informatizzazione, come ho detto all’inizio l’informatizzazione è decisiva, essenziale e cruciale, e va perseguita qui, giorno dopo giorno, senza mai deflettere, ma non vorrei neanche che un domani questo si trasformasse in un Consolato solo di macchine e di erogazione di documenti. Non dobbiamo perdere di vista il lato umanistico italiano”.

Il Console Generale d’Italia a New York ha anche la funzione di rappresentare l’Italia. Lei percepisce quanta ammirazione c’è per l’Italia a New York?
“Sento quello che viene diretto verso l’Italia, che è una quantità di ammirazione, amore, e credo che in nessun’altra città del mondo ci sia questa quantità così viva e presente di ammirazione e amicizia verso l’Italia”.
L’Italia sa sfruttare questo suo “competitive advantage”?
“Spazi di miglioramento e di rafforzamento su come trasformare questo amore e questa amicizia in ritorni per l’Italia ce ne sono sempre! Ma devo dire che da un po’ di tempo a questa parte, c’è sempre di più una consapevolezza maggiore del tipo di lavoro e di utilizzo di questo sentimento che c’è. L’ambasciatore d’Italia a Washington, Armando Varricchio, ha messo a punto una serie di strategie che riflettono questo. Noi dobbiamo continuare a proiettare e a raccontare in queste serate un’Italia che è orgogliosa e forte del suo passato e della sua cultura, ma che, grazie al suo passato e alla sua cultura, è un paese che può affrontare il presente ed il domani con ottimismo e con una grande vocazione globale e internazionale”.
Dall’Italia arrivano ondate di pessimismo sulla situazione economica e politica. Dobbiamo essere preoccupati o c’è un’opportunità per un nuovo slancio di ottimismo?
“Senza ovviamente sottostimare la complessità della situazione attuale, sia europea che mondiale, però credo che dobbiamo anche essere capaci, anche grazie al know how umanistico italiano, di vedere le cose in prospettiva con una certa serenità di giudizio, cercando di staccarci dalla frenesia e immediatezza o dalla rapidità di ragionamento da social media, e vedere che in fondo ci sono anche tasselli ed elementi che dovrebbero indurci ad un ottimismo ed una serenità maggiore. Questo lo dico anche nella consapevolezza del privilegio di poter servire il mio paese in una città come New York, dove questa quantità di energia che si respira porta anche gli italiani di NY ad avere “uno spirito positivo”. L’Italia unita paradossalmente la si percepisce bene a New York, qua, ad esempio, si riesce nelle riunioni in Consolato, ad avere una serie di personalità, di energie e di forze che – forse – sarebbe difficile avere riuniti in una stessa stanza in Italia, tutti con la stessa passione civile per l’Italia, con la stessa voglia di dare all’Italia, di costruire…”
Insomma qua l’Italia dà il meglio di sé?
“L’Italia di New York è sicuramente una bella Italia su cui le nostre istituzioni possono contare”.

Lo studio della lingua e della cultura italiana. Che fare?
“Sì la lingua è una priorità assoluta!
A questo riguardo, un ulteriore bacino di persone che ci interessa molto è quello – per dirla in termini più generali – degli amanti dell’Italia. Perciò direi che le ‘tre categorie di riferimento per il Consolato sono’ (n.d.r.) : gli italo-americani, gli italiani (compresi i numerosi turisti!) e gli amanti dell’Italia, anche a loro dobbiamo avvicinarci sempre più.
È un bacino di utenza molto importante per estendere lo studio dell’italiano ed è uno strumento identitario di riacquisto e di rafforzamento dell’orgoglio della propria identità per gente che ha perso la lingua, per molti motivi, però c’è anche un settore che è quello più nuovo degli amanti dell’Italia. Noi dobbiamo lavorare e intercettare anche quelli, perché in prospettiva sono tutti ‘portatori d’Italia’ , nelle loro rispettive vite, carriere, professioni e percorsi umani. Si avvicinano alla lingua italiana, per amore della cultura italiana, della musica, del cinema, per cui credo che anche lì stiamo facendo un lavoro importante con tutte le altre istituzioni italiane a NY. Questo concetto di gioco di squadra credo sia cruciale, noi abbiamo l’Ambasciata a Washington che è la direzione dell’orchestra, poi abbiamo vari strumenti che suonano insieme, noi come Consolato con l’Istituto di Cultura, con l’ICE, … con le fondazioni, i musei , le università, le associazioni, ecc… tantissime realtà diverse, insomma è un gioco a tutto campo che non è limitato a Manhattan, come sapete, ma si estende agli altri quartieri di NY e più in generale al Tristate”.
Lei è soddisfatto delle risorse che ha, le risorse messe a disposizione per il Consolato?
“Credo che per rafforzare la qualità a un livello sempre maggiore dei servizi consolari si richiede ovviamente un supplemento di risorse che noi auspichiamo, che crediamo sia necessario per far fronte alla domanda crescente che c’è di servizi consolari, che vanno dall’acquisizione sempre maggiore di cittadini italiani che richiedono servizi consolari, al fatto che ci sono sempre più italiani che vivono qui, quindi è sempre auspicabile un adeguamento delle risorse.
Però allo stesso tempo siamo molto realisti sulla situazione”.

I parlamentari eletti all’estero. Aiutano?
“C’è un grande lavoro da parte loro basato su una grande consapevolezza e conoscenza della situazione. Io ho esercitato incarichi al Ministero degli Esteri negli anni passati, che mi hanno molto portato a seguire le attività parlamentari, quindi ..”
Lei è un esperto…
” …. dei vincoli di bilancio e delle difficoltà in generale della parte internazionale esteri nell’assegnazione delle risorse…”
Qualche consiglio per noi operatori dell’informazione all’estero per aiutare la comunità e il Consolato?
“Direi che qui a New York siamo privilegiati per la polifonia di voci che abbiamo, che è una ricchezza questa polifonia di voci mediatiche italiane e italo-americane a NY. Dovete proseguire in questa volontà che avete, e la sento molto forte, di dare una copertura all’Italia vera e della reale vita italiana a NY. Collegare, anche voi siete dei ponti importanti e cruciali, tra queste realtà e anche voi siete uno strumento di rafforzamento dei legami, dei ponti, ognuno deve continuare a lavorare al massimo della propria coscienza e delle proprie possibilità”.