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October 17, 2018
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Trattativa Stato-Mafia: la nostra Repubblica, processata e giudicata colpevole

Intervista al giornalista Saverio Lodato, co-autore con il magistrato Nino Di Matteo del libro "Il Patto Sporco", che accusa la stampa italiana di reticenza

Joseph M. BenoitbyJoseph M. Benoit
Paolo Borsellino, l’uomo e quel mestiere “scottante” di giudice

Palermo, 19 luglio, 1992: Via d'Amelio a Palermo pochi minuti dopo l'esplosione che uccide Paolo Borsellino e la sua scorta

Time: 6 mins read
La copertina del libro di Nino Di Matteo e Saverio Lodato

Questo libro è nato dallo scopo più essenziale del giornalismo: la necessità di conoscere la verità.

In democrazia, una stampa sana avverte il popolo in modo che possa prendere decisioni informate sul proprio benessere e futuro; in modo che possa conoscere la sua storia e quindi se stesso.

Il Patto Sporco: Il Processo Stato-Mafia nel racconto di un suo protagonista, di Nino Di Matteo e Saverio Lodato (Chiarelettere 2018), è un vademecum che accompagna il lettore attraverso il complesso processo di quell’indicibile patto ob scenum tra alcuni membri dello Stato italiano e i principali architetti di Cosa nostra. Spiega, in modo chiaro per il lettore, uno degli eventi più importanti della storia d’Italia degli ultimi 150 anni; quel processo noto come Trattativa Stato-Mafia, un processo durato oltre cinque anni.

Se non fosse stato per l’ostruzione, l’oscuramento e la negazione di molti dei più importanti gruppi di mass media italiani, sia prima sia durante il processo quinquennale, e poi il quasi totale silenzio e ambivalenza con la quale hanno salutato l’esito del verdetto di colpevolezza in primo grado ad aprile di quest’anno, non ci sarebbe stato bisogno di un libro del genere.

Il procuratore principale del processo, Antonino Di Matteo, insieme al giornalista esperto di mafia Saverio Lodato, traccia con la forma domanda-risposta gli aspetti chiave di ciò che accadde quando parti deviate dello Stato italiano (politici, carabinieri e legislatori) condussero in segreto una negoziazione che prima richiese la morte del magistrato antimafia Paolo Borsellino e poi assicurò la diminuzione degli sforzi ufficiali antimafia in cambio della cessazione degli assalti terroristici da parte della criminalità organizzata che stava martoriando l’Italia nei primi anni ’90. La Trattativa abbraccia il periodo che va dall’omicidio di Salvo Lima alle stragi di Capaci e di via D’Amelio fino a quelle stragi di Roma, Firenze e Milano (1992-1993)

Saverio Lodato ha scritto importantissimi libri con altre figure di spicco, della legge, del crimine e della cultura italiana. Ricordiamo i suoi testi con Antonino Caponnetto, Giovanni Brusca, Tommaso Buscetta, Pietro Grasso, Andrea Camilleri, e Roberto Scarpinato. Oggi Il magistrato antimafia Nino Di Matteo è uno delle persone più a rischio e più scortate d’Italia. Di Matteo e la sua famiglia hanno vissuto sotto scorta per 25 anni. Il prezzo terribile che questa protezione gli è costata nella ricerca della verità è inimmaginabile. Il prezzo che gli italiani e il mondo intero avrebbero pagato nel non conoscere quella verità sarebbe stato ancora più alto.

Saverio Lodato

Perché avete scritto Il Patto Sporco?

Saverio Lodato: “Perché i giornali italiani nella stragrande maggioranza dei casi hanno fatto calare il silenzio su questo processo. Se gli italiani lo avessero conosciuto, se fossero stati informati durante il suo svolgimento, con la tesi dell’accusa e con la tesi della difesa e poi della sentenza della Corte d’Assise, probabilmente questo libro non avrebbe avuto modo di esistere”.

Perché è calato questo grande silenzio?

“Perché un conto era combattere i mafiosi con la lupara e il kalashnikov; un conto era arrestare i mafiosi che avevano seminato le stragi e provocato un migliaio di morti. Altro conto era iniziare a colpire le complicità alte di Cosa nostra. In Italia esiste un fenomeno che dura ormai da oltre un secolo e mezzo, che precede l’Unita d’Italia cioè dal 1860. Nessun fenomeno criminale al mondo è mai durato oltre 150 anni. In un secolo e mezzo sono caduti regimi e ideologie; è caduto il comunismo, è venuto meno il fascismo. Abbiamo assistito a cambiamenti epocali in ogni campo. Sono cambiati i confini di quasi tutti gli Stati. Ma la mafia esiste ancora”.

Perché?

“La mafia è riuscita a sopravvivere per decenni e decenni perché chi stava al governo se ne serviva ma ne negava addirittura l’esistenza”.

Oggi  a che punto siamo nella lotta al fenomeno?

“Alla fine degli anni settanta, inizio anni ottanta, un gruppo di giudici valorosi dell’Ufficio Istruzione di Palermo, che avevano dato vita al pool anti-mafia, furono stati finalmente sostenuti da polizia e carabinieri, uomini politici e sacerdoti. Lavoravano in sintonia avendo deciso che la mafia andava combattuta. Tutti cominciavano a dire: la mafia esiste. È compito della magistratura colpirla. Bisogna processare i mafiosi con processi in cui ci siano finalmente le prove, non soltanto gli indizi.  Questo lavoro venne iniziato anche grazie ai primi pentiti, i primi collaboratori di giustizia. Tommaso Buscetta si pente con Giovanni Falcone proprio mentre Falcone sta portando avanti le sue prime indagini che senza il contributo dei primi pentiti non sarebbero andate lontano. Ma i mafiosi, a conclusione del Maxi-processo, vennero condannati a pene pesantissime e poi in via definitiva anche dalla cassazione.  Per la prima volta si dava un colpo al livello militare della mafia con condanne per oltre 500 persone.

Sin d’allora però, Falcone e Borsellino sanno benissimo che la mafia ha rapporti con le istituzioni, con la politica, con le banche e con lo Stato italiano. Ma in quella fase, non avendo ancora le prove, non potevano colpire queste complicità.

C’è una prima grande stagione con Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Una seconda stagione che durò altri sette anni, con il processo al [sette-volte Primo Ministro] Giulio Andreotti che non si concluse, come scrissero tutti i giornali italiani, con l’assoluzione dell’uomo politico italiano più conosciuto nel mondo. Si concluse con una sentenza di cassazione che stabiliva che fino a una certa data Giulio Andreotti aveva in due occasioni incontrato in Sicilia i capi-mafia e discusso quello che i mafiosi volevano fare: l’uccisione di Piersanti Mattarella, [democristiano, Presidente della Regione Siciliana, fratello maggiore dell’attuale Presidente della Repubblica Italiana] e le cose che noi sappiamo. In quel processo Andreotti venne prescritto per questi incontri. Tanto è vero che Andreotti, che all’epoca era ancora vivo, venne condannato a pagare le spese processuali a dimostrazione che assolto non fu mai! Questi sono i fatti storici. Poi c’è una terza fase che riguarda i giorni nostri”.

Il magistrato Nino Di Matteo durante una fase del processo (Immagine da Youtube)

Cosa significa il nuovo processo sulla Trattativa Stato-Mafia?

“Il processo Andreotti riguardava uno scambio tra i mafiosi e la politica. Quel processo è ancora un processo che venne rivolto ai mafiosi che hanno un rapporto con la politica. Il processo Trattativa è qualcosa di diverso: per la prima volta si ritrovano insieme alla sbarra politici, mafiosi e carabinieri. Qui sta la novità. Una novità che mette ancora paura a molti. Ed è il motivo che spiega il grande silenzio dei media in Italia. Mentre si poteva dire, con Totò Riina, buttiamo via le chiavi perché era lo stragista, nel caso dei rappresentanti delle istituzioni per molti questo non lo puoi dire, non lo puoi fare. Perché il prezzo da pagare sarebbe troppo alto. Quindi in questi cinque anni i media hanno tentato di soffocare questo processo nella speranza – mai nella convinzione – che sarebbero stati tutti assolti. Invece sono stati tutti condannati”.

Quindi il libro…

“L’abbiamo scritto, il dottor Di Matteo e io, Il Patto Sporco perché vogliamo che il cittadino italiano onesto, che non ha nulla da nascondere, che non ha nulla da temere, se vuole farsi un’idea vera su cosa contiene quel processo, attraverso queste 200 pagine, può riuscire a farsi un’idea. Volevamo lasciare ai posteri una traccia scritta. Il cittadino Italiano può informarsi e, se lo ritiene opportuno, schierarsi dalla parte dell’Anti-Mafia. Ci sembrava un atto dovuto: lasciare questo documento oggettivo. E la prova della malafede o dell’imbarazzo di molti giornali sta nel fatto che stanno zitti. Ora, con pagine che chiamano in causa i condannati con nome e cognome, preferiscono non dire niente.

 

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Joseph M. Benoit

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