È morto il senatore a vita Giulio Andreotti. L’uomo simbolo della Democrazia Crisitiana e in qualche modo della Prima Repubblica, s’è spento intorno alle 12. Negli ultimi giorni le sue condizioni di salute si erano aggravate. Non aveva partecipato alla votazione per il presidente dlela Repubblica che ha condotto alla rielezione di Napolitano, nè alla votazione del governo Letta. Politico longevissimo, sulla scena politica da più tempo della regina Elisabetta, è stato l’uomo di governo e di partito italiano più blasonato (nessun altro è stato sette volte alla guida dell’esecutivo) ed è stato sempre uno dei leader democristiani più votati. Per i suoi nemici e detrattori era «Belzebù», circondato da una fama di politico cinico e machiavellico che lui stesso, in fondo, amava coltivare.
Per il senatore a vita «Non ci saranno funerali di Stato né camera ardente. Le esequie saranno celebrate nella sua parrocchia con gli stretti familiari». Lo riferisce Patrizia Chilelli, storica segretaria del presidente, al suo fianco dal 1989. Nato nel 1919, è stato sette volte presidente del Consiglio, guidando anche i il governo di “solidarietà nazionale” durante il rapimento di Aldo Moro (1978-1979), e il governo della “non-sfiducia” (1976-1977), con la prima donna-ministro, Tina Anselmi, ministro del Lavoro). Numerossisimi i suoi incarichi di governo come ministro. Con tanti incarichi che ha ricoperto, fu invece bruciato nella corsa alla presidenza della Repubblica da Francesco Cossiga, e dal processo di Palermo, dove fu accusato di associazione per delinquere. Mentre la sentenza di primo grado, emessa il 23 ottobre 1999, lo aveva assolto perché il fatto non sussiste, la sentenza di appello, emessa il 2 maggio 2003, distinguendo il giudizio tra i fatti fino al 1980 e quelli successivi, stabilì che Andreotti aveva «commesso» il «reato di partecipazione all’associazione per delinquere» (Cosa Nostra), «concretamente ravvisabile fino alla primavera 1980», reato però «estinto per prescrizione». Per i fatti successivi alla primavera del 1980 fu invece assolto pienamente.
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