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December 21, 2022
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December 21, 2022
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Il silenzio dello Stato italiano sul “Patto Sporco” con la mafia

Intervista a Saverio Lodato, autore del libro sulla trattativa tra apparati statali e Cosa Nostra

Joseph M. BenoitbyJoseph M. Benoit
Il silenzio dello Stato italiano sul “Patto Sporco” con la mafia

I magistrati anti-mafia (da sinistra a destra) Giovanni Falcone, Paolo Borsellino e Antonino Caponnetto - wikimedia

Time: 5 mins read

La prima edizione del libro, Il Patto Sporco del 2018, è stata subito avvolta da un ostinato silenzio dai mass-media italiani. Il processo Trattativa Stato-Mafia si era concluso nel primo grado di giudizio con delle pesanti sentenze di condanna sia per gli uomini delle istituzioni, accusati di essere complici della mafia siciliana, sia per i mafiosi. Il libro spiegò il “perché”. 

Quattro anni di silenzio e siamo alla sentenza di secondo grado che, invece, dichiara l’assoluzione totale degli uomini dello Stato e la condanna dei soli mafiosi. E quindi la seconda edizione del libro, Il Patto Sporco e il Silenzio, dopo il deposito delle motivazioni della sentenza di secondo grado, cerca di spiegare il “percome”.

In un altro paese questo libro susciterebbe polemiche e dibattiti furibondi. In Italia è stato ignorato come ignorato è stato il grande tema che tratta: la temuta complicità dello Stato italiano con l’organizzazione criminale siciliana denominata Cosa Nostra. L’Italia è sempre stata considerata una specie di laboratorio, un concentrato di moralità e di questioni politiche. Varrebbe la pena leggere questo libro e meditare sul nostro futuro.  Abbiamo parlato con il co-autore del libro, Saverio Lodato.

Il libro, edito da Chiarelettere, è uscito per la prima volta quattro anni fa. Ma questa nuova edizione di oggi non si chiama più Il Patto Sporco ma si chiama Il Patto Sporco e il Silenzio. Perché? 

Perché nel frattempo la storia è andata avanti.  E se il Potere, nel 2018, aveva paura che si parlasse di questo libro, a maggior ragione ne ha paura oggi perché gli italiani hanno cominciato a capire che la trattativa tra lo Stato Italiano e la mafia siciliana ci fu. E provocò altre stragi, altre vittime. 

Questo libro è il risultato di un’intervista al dottor Nino Di Matteo che fu il principale pubblico ministero durante il processo di primo grado a tre ufficiali dell’Arma dei Carabinieri, a un uomo politico e a rappresentanti della mafia. L’accusa era quella di avere contribuito a favorire comportamenti dei mafiosi in cambio dell’impegno a cessare la loro strategia stragista. L’escalation di sangue cui si riferisce il libro è quella compresa fra il 1992 e il 1994: le stragi di Capaci, in cui morirono Giovanni Falcone, sua moglie e gli uomini della sua scorta; quella in via D’Amelio in cui morirono Paolo Borsellino e la scorta; le stragi di Roma, Firenze e Milano, in cui morirono persone innocenti e passanti; il mancato attentato allo stadio Olimpico di Roma. 

Il processo di primo grado si concluse con condanne pesanti nei confronti dei carabinieri, dell’uomo politico e dei mafiosi. Il processo di secondo grado, invece, si è concluso con l’assoluzione piena dei tre carabinieri e dell’uomo politico. Mentre sono state confermate, anche se con lievi ritocchi, le condanne per la manovalanza mafiosa.  

Ci sono segnali sistemici positivi che le portano a pensare che la Cassazione potrebbe pronunciarsi diversamente dalla sentenza di secondo grado? Penso all’iter del primo Maxiprocesso a Cosa nostra, che, alla fine, trovò in Cassazione la sua sentenza definitiva.

Saverio Lodato (Foto Paolo Bassani)

Le sentenze della Cassazione non sono prevedibili. Quello che si può dire, se si fa un confronto con il Maxiprocesso, è che in quel caso a essere finito condannato fu il braccio criminale della mafia. Oggi parliamo di imputati illustri; alti rappresentanti dell’Arma dei Carabinieri, delle istituzioni e quindi la sentenza si presenta con un profilo assolutamente differente. La Cassazione, dovrà pronunciarsi, visto che la Procura Generale di Palermo ha presentato ricorso rispetto alle soluzioni di secondo grado. Sarà la Cassazione a stabilire se confermare il giudizio o, invece, ordinare un nuovo processo.

Nino Di Matteo – wikimedia

I cambiamenti apportati dalla Riforma Cartabia fanno pensare che abbia il compito di ridimensionare pesantemente il ruolo della magistratura e dei pubblici ministeri. Oltre alla tua introduzione a questa seconda edizione del libro, e senza il commento esperto e convalidante del Giudice Di Matteo, vedi come possa essere spiegata questa sentenza al grande pubblico? 

Questo secondo libro avrebbe dovuto tenere conto del punto di vista del Dottor Di Matteo. Ma la recente riforma della giustizia, approvata in Italia, a firma Marta Cartabia, prevede un articolo che impedisce oggi, a un pubblico ministero di un processo, di esprimere giudizi sullo stesso processo. Quindi Di Matteo, che fu Pubblico Ministero in primo grado, non ha più diritto di parola. Noi mettiamo in evidenza, e io lo faccio nella mia introduzione – che quello della Cartabia è un autentico bavaglio che impone oggi il silenzio ai magistrati. Per fare un esempio, 40 anni fa i giudici del pool antimafia di Palermo organizzarono al Palazzo di Giustizia – e parliamo di Giovanni Falcone, Paolo Borsellino e Antonino Caponnetto – una conferenza stampa per annunciare il pentimento di Tommaso Buscetta, da cui sarebbe scaturito il primo Maxiprocesso: quella conferenza stampa oggi non sarebbe possibile. E per effetto dell’attuale legge Cartabia, gli eventuali Falcone, Borsellino, e Caponnetto finirebbero sotto procedimento disciplinare. 

Tutto questo è il risultato del fatto che il Potere vuole che l’opinione pubblica non sia informata dei rapporti tra Stato e mafia. La lotta alla mafia va bene fin quando colpisce esclusivamente i rappresentanti militari dell’organizzazione stessa. Nel momento in cui i magistrati portano avanti un’operazione di verità alla ricerca di complicità della mafia stessa, scatta l’ordine del silenzio. Ma se la mafia esiste da quasi due secoli ciò è dovuto ai suoi rapporti con la politica, le istituzioni, lo Stato.

Ci sono più difficoltà legislative e amministrative oggi rispetto al periodo in cui il Giudice Falcone ha proposto le sue innovative riforme all’inizio degli anni ’90? 

La cosa che bisogna mettere in evidenza è questa: i giudici del pool antimafia di Palermo, che si costituì alla fine degli anni ’70 / inizio anni ’80, incontrarono delle difficoltà gigantesche da parte del potere politico per portare sotto processo i mafiosi. Tutto quello che accadde però in Sicilia e in Italia in quegli anni determinò il fatto che ad un certo punto quei mafiosi furono processati, condannati e le sentenze passarono in giudicato per volere della Cassazione. Oggi noi ci troviamo di fronte a resistenze più forti di allora perché il Potere non vuole essere processato. Allora si poté alla fine processare la mafia. Oggi il Potere non vuole finire sotto processo. Quindi, da questo punto di vista, le resistenze sono analoghe. I magistrati Anti-mafia superarono quella prima soglia di inviolabilità, perché si negava persino l’esistenza della mafia. Questo oggi non è più possibile. Ma si vuole negare che lo Stato abbia avuto delle sue responsabilità.    

L’attuale periodo buio ha qualche somiglianza con altri ? 

Questo, per la lotta alla mafia, è uno dei momenti peggiori. C’è un’assuefazione generale e soprattutto è incredibile il comportamento della classe politica italiana che si è ritrovata unanime sull’approvazione della legge Cartabia che, come dicevamo, ridimensiona pesantemente il ruolo della magistratura e dei pubblici ministeri. In più c’è una analoga accettazione anche da parte del mondo dell’informazione giornalistica e televisiva che di questi argomenti tende a non parlare più.

Vedi qualche luce?

Bisogna lottare. Noi facciamo la nostra parte rieditando questo libro, che già stava molto indigesto quattro anni fa e a maggior ragione lo è oggi. Oltre a una nuova introduzione il lettore avrà a disposizione gli articoli scritti dopo la sentenza di assoluzione. E’ un piccolo contributo per disturbare il silenzio di Regime.

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Joseph M. Benoit

Joseph M. Benoit

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