Nelle stesse ore in cui il mondo osservava con ansia gli sviluppi della crisi siriana seguiti al bombardamento americano della base aerea di Shayrat, negli Stati Uniti Donald Trump raccoglieva una preziosa vittoria in politica interna.
Venerdì, il Senato a maggioranza repubblicana ha infatti confermato la nomina alla Corte Suprema di Neil Gorsuch, che andrà a colmare il posto rimasto vacante dopo la morte di Antonin Scalia divenendo così il centotredicesimo giudice costituzionale nella storia degli USA.
La furibonda “guerra di successione” per la Supreme Court era scoppiata nel febbraio dell’anno scorso, quando Barack Obama decise di sostituire il defunto Scalia con Merrick Garland, un giurista “moderato” in passato apprezzato anche dai repubblicani. Il tentativo dell’ex presidente di trovare un compromesso sottobanco con una parte dei suoi avversari conservatori era allora motivato dal fatto che i democratici erano in minoranza al Congresso, e non avrebbero perciò potuto confermare la nomina da soli.
La mossa obbligata di Obama si infranse però contro il muro invalicabile alzato dal GOP, che si rifiutò persino di iniziare le audizioni di Garland al Senato, deciso a consegnare la nomina nelle mani del nuovo inquilino della Casa Bianca.
Si è segnato così un record nella storia americana: 422 giorni di stallo, la vacanza più lunga dal 1869, anno nel quale la Corte Suprema ha assunto la sua attuale composizione. In precedenza, il primato era detenuto dai 384 giorni che trascorsero tra le dimissioni del giudice Abe Fortas e la sua sostituzione con Harry Blackmun, nominato da Richard Nixon. Ma si trattò di un caso eccezionale.
Anche all’epoca (eravamo tra il 1969 e il 1970) lo scontro fu particolarmente acceso, ma alla fine la scelta di Nixon si basò sull’oggettiva preparazione Blackmun e non fu dettata da ragioni esclusivamente politiche, tanto da essere approvata all’unanimità.
La prova di ciò sta nel fatto che Blackmun si rivelò uno dei giuristi più liberal della storia recente ed è ancora oggi ricordato per aver scritto il parere della celebre sentenza Roe vs Wade del 1973, con la quale veniva legalizzato l’aborto.
Ora, a distanza di quarantasette anni la spaccatura ideologica che attraversa gli USA si è fatta di gran lunga più profonda.
Le posizioni di Neil Gorsuch appaiono infatti inequivocabilmente conservatrici, ed è d’altronde questo il motivo per cui Trump lo ha scelto, in modo da soddisfare l’intero partito, dai moderati al Tea Party.

Nel dettaglio, almeno da quanto emerge dai numerosi pareri giuridici espressi fino a ora, nel corso della sua carriera Gorsuch è stato molto vicino alla corrente dei cosiddetti “originalisti”, secondo cui la Costituzione andrebbe interpretata in modo rigido, così per come era stata pensata dai padri fondatori, lasciando il minor spazio possibile a un suo adattamento alla realtà sociale e storica in continua evoluzione.
L’ esponente più noto di tale corrente fu proprio Antonin Scalia, e in questo senso Gorsuch appare il suo erede naturale. Per il resto, il curriculum del nuovo arrivato è di tutto rispetto. Classe 1967, originario del Colorado, Neil si è formato tra la Columbia University, Harvard e Oxford, ricoprendo poi il ruolo di giudice della United States Court of Appeals for the Tenth Circuit. Da sempre conservatore, Gorsuch è inoltre figlio della deputata repubblicana Anne Gorsuch Burford, prima donna a capo dell’EPA (agenzia per la protezione ambientale) dal 1981 al 1983.
Se a detta di molti osservatori la Corte verrà d’ora in poi (e per molto tempo) “sbilanciata” a destra, data anche la giovane età del magistrato in questione, la conferma di Gorsuch segna anche uno smacco per l’opposizione democratica, che ha sperato fino all’ultimo di bloccarlo con un duro ostruzionismo al Senato. E fino a giovedì, la resistenza sembrava aver dato i suoi frutti, riuscendo a negare i 60 voti normalmente necessari alla conferma, cioè un numero più elevato rispetto alla maggioranza semplice.
Per stroncarlo, i repubblicani guidati dal capogruppo Mitch McConnell hanno usato la cosiddetta “nuclear option”, una particolare procedura parlamentare che permette di modificare le maggioranze necessarie all’approvazione di determinati atti. Con tale spregiudicata e rara mossa, utilizzata per l’ultima volta nel 2013 dai dem, ai conservatori sono bastati 54 voti per prevalere.
Ovviamente le reazioni dal partito dell’asinello sono state durissime, e per bocca del leader democratico al Senato Chuck Schumer l’opzione nucleare rappresenta un punto di rottura che comprometterà irreparabilmente il clima politico.
In realtà, negli ultimi anni nessuno dei due partiti, fin troppo condizionato dai propri donors, sembra disponibile al dialogo. Siamo al contrario sicuri che la guerra continuerà su tutti i temi sui quali in futuro si discuterà al Congresso.
Intanto, dopo il flop della riforma sanitaria, l’ha spuntata Trump.