“It was the fifteenth of June in 1767 when Cosimo Piovasco di Rondò, my brother, sat among us for the last time. I remember as if it were today. We were in the dining room of our villa in Ombrosa, the windows framing the thick branches of the great holm oak in the park. It was midday, and our family, following the old custom, sat down to dinner at that hour, even though among the nobility it was now the fashion, inspired by the late-rising court of France, to dine in the middle of the afternoon”. Le 6.30pm sono passate da qualche minuto. La sala è piena ma c’è silenzio. Mentre raggiunge il podio per la lettura, tiene stretta, tra le braccia, la sua copia del libro. Che non abbandona mai, nemmeno quando si siede sul palco. Scandisce ogni parola. Fa delle pause. Di tanto in tanto osserva il pubblico seduto di fronte a lui. Sorride spesso.

Una lunga fila, fuori dalla Casa Italiana NYU Zerilli-Marimò, si è formata già dalle 5.30. Per far scorrere il tempo e la curiosità più velocemente, nell’auditorium, in tanti hanno discusso di letteratura. Chi in inglese, chi in italiano. Chi ricordando i passi più interessanti. Chi le sensazioni più particolari evocate leggendo quelle pagine. Stefano Albertini, direttore della Casa Italiana NYU, raggiunge il palco velocemente: “Buonasera!”. Il pubblico, in sala, risponde timidamente. Ma lui, sorridendo, alza la voce e ripete, ancora una volta, il saluto. Questa volta la risposta è più divertita. Albertini ringrazia i presenti e, senza troppi giri di parole, accoglie gli ospiti di questo grande evento. Li presenta con discrezione ed entusiasmo. Richard Gere e Giovanna Calvino. L’attore, che Albertini chiama “l’attivista” e la professoressa, figlia di uno dei giganti della letteratura del Novecento.

Lui lì per leggere alcuni passi di “The Baron in the Trees” (la nuova traduzione in inglese de “Il barone rampante”, di Ann Goldstein). Lei per raccontare suo padre e i grovigli meravigliosi della sua scrittura. Nell’auditorium entrano insieme, uno dopo l’altro. Le persone, in silenzio, li vedono passare. Poi l’applauso. Giovanna Calvino somiglia molto al padre: il taglio degli occhi, gli zigomi, la bocca. Prende in mano il microfono e, prima che tutto inizi, riassume, in inglese, la trama del romanzo che Richard Gere leggerà di lì a poco. Lo fa con timidezza, quasi come se parlasse di una storia qualsiasi e non di uno dei pilastri della letteratura contemporanea. Sceglie ogni parola con estrema cura. Non un aggettivo a caso. Non un verbo sbagliato. Parla un inglese colto, lineare e mai frettoloso.

“Buonasera”, saluta l’attore. “Sono qui per onorare Italo Calvino e le sue parole. E vorrei poterlo leggere in italiano”. Poi, rivolgendosi al pubblico, chiede quanti, in sala, hanno letto “Il Barone rampante”. Alzano la mano praticamente tutti. Ed ecco che la lettura incomincia, tra le immagini oniriche, eppure così concrete, cesellate da uno dei più grandi autori che la letteratura mondiale abbia mai conosciuto. Italo Calvino. Quel romanzo fu il secondo capitolo della trilogia “I nostri antenati”, insieme a “Il visconte dimezzato” e a “Il cavaliere inesistente”. “Mio padre non ha mai voluto parlare di loro, con me”, spiega Giovanna che, nel 1957, anno in cui il padre scrisse “Il Barone rampante”, non era ancora nata. Ma tra Richard Gere e Italo Calvino un legame esiste da anni. Da quando, nel 1994, l’attore americano aveva annunciato la volontà di girare un film su “Il Barone rampante”.

Si sistema i capelli e gli occhiali. Ha appena finito di leggere un altro passaggio del libro. “Such a good writing. Such a good translation”, dice Richard Gere, sfogliando la nuova traduzione. Traduzione che Giovanna Calvino ha fortemente voluto: “Ritradurre un autore che non c’è più da anni è come far rinascere quel libro. Perché il libro non invecchia, ma la traduzione sì”. E su questo concetto, l’attore aggiunge: “An act of translation is an act of love”. Un atto d’amore, insomma.
Durante la conferenza, si racconta molto anche della vita dello scrittore. Indipendente, brillante, astratto. Eppure, così realistico. Cresciuto sotto la dittatura fascista di Mussolini e diventato adulto in mezzo alla Resistenza. Militante nel PCI, ma critico verso alcune scelte del partito. “Era un idealista”, spiega la figlia. E rispondendo a una domanda del pubblico, descrive la libreria del padre.
Sono quasi le 8. E Stefano Albertini ringrazia i suoi ospiti, Richard Gere e Giovanna Calvino, “A shy and a private person”. Lei sorride e abbassa lo sguardo. Poi tutti escono, esattamente come sono entrati. L’attore, raggiunge l’uscita e sfiora le mani di molte persone tra il pubblico. Ride e accenna qualche parola in italiano. Poi la porta si chiude. E l’incanto svanisce.