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December 12, 2017
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Akayed Ullah, il profilo normale di un terrorista improvvisato

Ha 27 anni e da sette vive negli Usa. Un ragazzo ordinario, che però l'11 dicembre si è legato al torace una "pipe bomb" cercando di farsi esplodere

Giovanna PavesibyGiovanna Pavesi
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Akayed Ullah, l'attentatore di 27 anni, dopo l'esplosione (Foto da New York Post)

Time: 3 mins read
Un’immagine che ritrae Akayed Ullah, il 27enne che ha tentato di farsi esplodere in un sottopassaggio che collega Port Authority a Times Square, a New York

Di lui, soltanto due immagini pubbliche. In una è accovacciato su sé stesso, con il volto rivolto verso il basso, immobilizzato a terra. Non si vedono i tratti del viso né la sua espressione. Indossa un paio di pantaloni color sabbia, con le tasche. Attorno si intravedono le scarpe degli agenti che l’hanno fermato. Nell’altra, il ritratto di un ragazzo con occhi scuri e labbra carnose. Ha 27 anni e si chiama Akayed Ullah ed è nato in Bangladesh. Negli Stati Uniti è arrivato sei anni fa, il 21 febbraio 2011, con un family based visa, il visto che consente ai cittadini di altri Paesi di ricongiungersi alla famiglia, residente in America. A New York ha vissuto a Brooklyn, uno dei quartieri più popolosi, a Flatlands. E fino al 2015, ha lavorato come autista. Poi in un’azienda di componenti elettrici.

L’11 dicembre ha confezionato un ordigno, se lo è messo addosso e ha cercato di farsi esplodere. A Manhattan, nel passaggio che collega il terminal dei bus di Port Autority a Times Square. Una specie di lungo corridoio sotterraneo dove, ogni giorno, transitano 220.000 persone. Addosso aveva una “pipe bomb”, un ordigno rudimentale che si è costruito da solo e che non ha funzionato. Poco prima delle 7.20 del mattino, l’ha fissato al torace, con velcro e cerniere, e ha cercato di azionarlo. Non aveva precedenti penali e, stando alle prime ricostruzioni, non era tenuto sotto controllo dalla polizia. In Bangladesh, suo Paese d’origine e focolaio di diverse forme di radicalizzazione, era stato a settembre. Un viaggio normale dove le autorità, per ora, non avrebbero riscontrato niente di sospetto.

La struttura di una “Pipe bomb”

Ha agito in nome di Daesh. E l’ha fatto da solo, costruendosi una bomba grezza e infilando dell’esplosivo in un tubo. Probabilmente, le formule per realizzarla le ha trovate in rete, utilizzando una piccola batteria da 9 volt e delle lucine di Natale. Non ha ucciso nessuno, ma se il suo piano avesse funzionato il bilancio sarebbe stato molto più grave.

A chi lo ha interrogato, avrebbe riferito di aver scelto quel luogo per imitare ciò che altri attentatori avevano fatto prima di lui. Alcuni li chiamano “lupi solitari”, persone pronte a muoversi e ad agire in autonomia, senza eseguire ordini diretti di chi occupa un ruolo rilevante nell’organizzazione. Una circostanza che il terrorismo contemporaneo ha dimostrato di saper sfruttare.

Non più, quindi, cellule organizzate secondo una gerarchia precisa, come accadeva con i progetti terroristici legati a gruppi come Al Qaeda. Non più strutture piramidali con un vertice. Ma gruppi orizzontali costituiti, di fatto, da singoli che, nella maggior parte dei casi, si formano autonomamente e che vengono sedotti da un’idea di violenza che, secondo alcuni studiosi, risulterebbe inedita anche per Al Qaeda.

Akayed Ullah avrebbe ammesso di aver costruito la bomba sul posto di lavoro, forse influenzato e fomentato dal materiale facilmente reperibile sul Web. Il suo è il profilo di un ragazzo ordinario che, per qualche anno, per lavoro, ha guidato automobili e che, in una mattina qualunque di dicembre, ha tentato di farsi esplodere in uno dei luoghi più frequentati di una delle più grandi città del mondo.

Ma la bomba che portava addosso è bruciata e non è esplosa. Si è ferito ed è stato trasportato in ospedale, dove ha iniziato a raccontare tutto. La Procura l’ha accusato di tentata strage.

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Giovanna Pavesi

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