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June 8, 2020
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Gotham’s Writers: per vivere New York attraverso la sua “folle” letteratura

Su La Voce di New York una column di letteratura col nome di un antico villaggio inglese la cui leggenda riflette lo spirito degli scrittori newyorchesi

Michele CrescenzobyMichele Crescenzo
Gotham’s Writers: per vivere New York attraverso la sua “folle” letteratura

Illustrazione di Pia Taccone

Time: 8 mins read

Si chiama Gotham’s Writers, Gotham perché è il soprannome di New York ma anche perché questa parola è nata per indicare i tipi un po’ stravaganti e bizzarri, proprio come i protagonisti della letteratura americana (pensateci bene, ne avete mai trovato uno equilibrato?) e Writer perché ci vuole sempre qualcuno che li racconti.

Il termine “Gotham” ha origini nel medioevo britannico (vuol dire letteralmente “fattoria dove sono custodite le capre” dal vecchio inglese gāt “capra” + hām “casa”) ed è il nome di un piccolo borgo del Nottinghamshire (U.K) anche se è comunemente associato a New York soprattutto a causa dei fumetti e dei film di Batman. Il soprannome newyorkese in realtà precede il cavaliere oscuro di quasi 120 anni.

Lo scrittore Washington Irving (nativo proprio di New York, che scrisse –tra gli altri – La leggenda di Sleepy Hollow) iniziò a usare questo termine l’11 novembre 1807, nel suo periodico satirico, Salmagundi Papers. Si ritiene che sia stato ispirato dai racconti del folklore medievale britannico intorno alla presunta idiozia o follia degli abitanti di Gotham (la capra “goat/ gāt” era infatti associata alla stupidità).

Il racconto “I saggi di Gotham” (“The Wise Men of Gotham” scritto intorno al 1565) narra dell’ ostilità di questa popolazione verso le decisioni del re in materia di strade e caccia, ostilità che condusse a una dissimulazione collettiva: gli abitanti di Gotham, all’arrivo dei messaggeri di King John, si fecero trovare impegnati in attività del tutto assurde e senza senso (come il tentativo di annegare un’anguilla in uno stagno e la costruzione di una recinzione attorno a un cespuglio per impedire la fuga di un cuculo). Questo indusse lo stesso re – spaventato da una possibile diffusione della follia ritenuta contagiosa in quel momento – a tenersi alla larga da quel luogo.

Associando ripetutamente “Gotham” alla cultura newyorkese, Irving stava prendendo in giro la città ma ai newyorkesi non è importato, anzi hanno abbracciato questo soprannome con un’appartenenza presente ancora oggi. A New York c’è infatti il Gotham Bar & Grill, ristorante stellato Michelin, il Gotham Hotel situato nel cuore di Manhattan, il Gotham Center for New York City History, un istituto di ricerca e istruzione pubblica, il Gotham Comedy Club un locale per cabaret e il Gotham Hall dove ci si può perfino sposare.

Il nome fu usato anche nella letteratura: nel 1844 Edgar Allan Poe curò una rubrica intitolata Cronache da Gotham (Doings of Gotham) e gli storici Edwin G. Burrows e Mike Wallace intitolarono il loro saggio “Gotham: A History of New York City to 1898” che vinse il Premio Pulitzer 1999 per la storia.

Il collegamento più esplicito tra Gotham e gli scrittori si deve alla Gotham Writers Workshop, la più grande scuola di scrittura degli Stati Uniti. Fondata a New York nel 1993 da Jeff Fligelman e David Grae. Ed è inevitabile che fosse nata in questa città abituata a ospitare scrittori da sempre. È dove Walt Whitman fece stampare la prima edizione di Foglie d’erba (Leaves of Grass) in una tipografia di Brooklyn Heights. È dove Ernest Hemingway non ancora quarantenne schiaffeggiò Max Eastman per avergli criticato il suo romanzo Morte nel pomeriggio (Death in the Afternoon). È dove Francis Scott Fitzgerald ambientò il Grande Gatsby (The Great Gatsby) il più acuto ritratto dell’età del jazz, con le sue contraddizioni, le sue feste e la sua tragicità. 

È dove è nata la beat generation: negli anni cinquanta Jack Kerouac, Neal Cassady e Allen Ginsberg si incontravano al Greenwich Village e discutevano, leggevano e condividevano i propri lavori fino a tarda notte coinvolgendo in futuro anche Lawrence Ferlinghetti (101 candeline quest’anno) e Gregory Corso. È dove Truman Capote ambientò Colazione da Tiffany (Breakfast at Tiffany’s) e organizzò, il 28 novembre 1966 nelle sale del Plaza Hotel, il “The Black and White Ball”, la festa in maschera più famosa del ventesimo secolo dove il dress-code era rigorosamente in bianco e nero, come le pagine dei suoi libri.

È la città dove Toni Morrison (unica afroamericana a vincere un premio Nobel per la letteratura) alla festa annuale del New Yorker – il 2 Ottobre del 2015 – criticò la testata newyorkese raccontando di leggerlo sempre con una matita per le correzioni. Solo lei ne ha mai avuto il coraggio.

È dove Paul Auster, Philip Roth e Don De Lillo si incontravano nel loro ristorante preferito dell’Upper West Side e cenavano insieme ignorando i loro libri acclamati dalla critica di tutto il mondo e discutendo animatamente di baseball.

New York e la letteratura americana sono strettamente interconnesse. Le anatre di Central Park sono nell’immaginario di tutto il mondo grazie al romanzo il giovane Holden (The Catcher in the Rye) di J.D. Salinger mentre l’Empire State Building è stato visto da milioni di lettori sulla copertina delle Le fantastiche avventure di Kavalier e Clay (The Amazing Adventures of Kavalier & Clay) di Michael Chabon. Il toro di bronzo davanti a Wall Street fa venire in mente Il falò delle vanità (The bonfire of Vanities) di Tom Wolfe e guardando un bambino bianco e uno nero giocare per Brooklyn non si può non pensare di trovarsi davanti Dylan e Mingus del romanzo La fortezza della Solitudine (The Fortress of Solitude) di Jonathan Lethem.

Forse qualcuno camminerà intimorito visitando il Metropolitan Museum perché ha timore che esploda come nel Il cardellino (The Goldfinch) di Donna Tartt oppure si volterà intorno per Lower East Side pensando di incontrare Jamie Conway che compra cocaina come nel Le mille luci di New York (Bright Lights, Big City) di Jay McInerney.

Qualcun altro si fermerà a guardare lo spazio vuoto dove c’erano le torre gemelle pensando a Molto forte, incredibilmente vicino (Extremely Loud and Incredibly Close) di Jonathan Safran Foer o a Questo bacio vado al mondo intero (Let the Great World Spin) di Colum McCann che racconta come nell’estate del 1974 un equilibrista camminò su una corda tesa proprio fra le Torri Gemelle (a 110 metri dal suolo).

Si chiama “Gotham’s Writers” perché Gotham è il soprannome di New York ma anche perché rappresenta il bizzarro, l’inusuale, tutto quello che si nasconde sotto un velo di pazzia proprio come i tanti protagonisti della letteratura newyorkese: personaggi ribelli, ironici, provocatori e stravaganti. E ci associo Writer perché, per fortuna, c’è qualcuno che ce li racconta.

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Michele Crescenzo

Michele Crescenzo

Michele Crescenzo legge e scrive, appena può. È nato a Napoli nel’77 dove si è laureato in Sociologia. Vive a Milano dal 2002, dove lavora in una multinazionale americana. La sua quotidianità è alternata da numeri e parole. Da lunghissime call conference internazionali alla stesura di articoli letterari. Scrive recensioni per Satisfiction. Gestisce “Ti ho Rivista” tabloid sul mondo delle riviste indipendenti italiane. Organizza eventi culturali alla libreria milanese Gogol&Company. Cura la column “Gotham's Writers” su La Voce di New York. Nel tempo libero scrive: Nel 2009 ha vinto il Premio Chatwin, concorso internazionale sul viaggio. Ha pubblicato racconti per antologie e riviste letterarie (‘tina, Pastrengo, Talking Milano, Lettura la newsletter del corriere della sera).

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