SoHo, gennaio 2025. La sera scivolava lenta su New York, e Greene Street si stendeva davanti a Sigrid Nunez come una vecchia fotografia, avvolta da un tramonto invernale che tingeva i palazzi di oro e rame. Sigrid Nunez si fermò ad osservare la luce riflessa sui vetri che sembrava accendere un fuoco in ogni finestra, e si domandò se suo padre avesse mai visto New York in questa veste. Come doveva essergli apparsa quando arrivò qui più di cento anni fa?
“La prima volta che ho sentito mio padre parlare cinese è stato a Coney Island,” pensò. Era l’incipit del suo primo romanzo, A Feather on the Breath of God, e un ricordo cristallino della sua infanzia. Lei e sua sorella avevano chiesto alla madre: “Perché papà canta?” Non era un canto, ma la lingua che lui – panamense per metà, cinese per il resto – non parlava mai. Era una lingua che sembrava appartenergli più di qualunque altra, persino più dell’inglese, che non aveva mai padroneggiato davvero. Un uomo riservato, che si nascondeva dietro il lavoro nei ristoranti cinesi, sette giorni su sette, sempre distante, sempre silenzioso.
Ripensò alla storia dei suoi genitori, così improbabile da sembrare uscita da un romanzo. Suo padre, immigrato clandestino nella Chinatown di New York costretto a combattere la seconda guerra mondiale, e sua madre, una tedesca incontrata nella Germania occupata, incapaci di comunicare nella stessa lingua ma uniti da un qualche misterioso linguaggio non verbale.
Attraversando la strada, la mente di Sigrid viaggiò verso i suoi anni al Barnard College e poi alla Columbia University, i luoghi che l’avevano formata. Ricordò le lunghe ore trascorse come assistente editoriale al New York Review of Books, e il periodo trascorso accanto alla sua mentore Susan Sontag (una scrittrice, filosofa e storica statunitense, attiva nel raccontare aree di conflitto, anche durante la guerra del Vietnam e l’assedio di Sarajevo). Sigrid aveva scritto di lei in Sempre Susan: A Memoir of Susan Sontag, scavando nelle loro interazioni con una chiarezza che ancora la sorprendeva.

Il successo le era arrivato tardi. I suoi primi libri erano passati quasi inosservati, ma negli ultimi anni due opere avevano cambiato tutto: L’amico fedele (The Friend, 2018 traduzione di Stefano Beretta) e Attraverso la vita (What Are You Going Through, 2020 traduzione di Paola Bertante) l’avevano consacrata con premi, pubblicazioni e traduzioni. L’anno scorso, nel 2024, entrambi sono stati adattati per il grande schermo. The Friend è stato diretto da Scott McGehee e David Siegel con protagonista Naomi Watts, e La stanza accanto, adattamento di What Are You Going Through è stato diretto da Pedro Almodóvar con Tilda Swinton e Julianne Moore. Quest’ultimo ha vinto il Leone d’Oro all’81ª Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia. Era stato incredibile per lei vedere i suoi pensieri trasformati in immagini, come se i personaggi avessero trovato un nuovo modo di esistere.
Quando L’amico fedele venne pubblicato nel febbraio del 2018, né lei né il suo editore americano, Riverhead Books, si aspettavano che diventasse un best-seller, né tantomeno che vincesse il National Book Award per la fiction. Il romanzo racconta la storia di una scrittrice che, dopo il suicidio di un caro amico, si ritrova a prendersi cura del suo cane, un enorme alano di nome Apollo. La Riverhead Books aveva dichiarato sul New Yorker che questo romanzo “tratta di morte, di cani, di scrittori e delle relazioni tra docenti e studenti. Tutti argomenti complicati che l’autrice descrive con una voce nuova – particolare – e nessuno era sicuro che sarebbe piaciuta ai lettori.”
Si sbagliavano. Quello che le hanno detto i suoi lettori è che la forza del romanzo è stata proprio nella voce scelta dall’autrice: una narrazione intellettuale e intima, che esplora il lutto attraverso gli occhi della protagonista. Apollo, il cane, diventa un simbolo di fedeltà e conforto, una presenza quasi salvifica in una vita altrimenti segnata dalla solitudine.
Attraverso la vita, pubblicato nel 2020, si addentra ancora più in profondità nei temi della mortalità e delle relazioni umane. La narratrice, una donna di mezz’età, accompagna una vecchia amica malata terminale nei suoi ultimi giorni, condividendo con lei momenti di riflessione, dolore e persino leggerezza. Il romanzo si sviluppa come un dialogo continuo, un’esplorazione delle paure, dei rimpianti e del significato della vita. Sigrid intreccia alla narrazione principale altre storie e riflessioni che ampliano il senso del romanzo, rendendolo universale. Il titolo originale, What Are You Going Through, fa riferimento a un’espressione che tradotta letteralmente significa: “Qual è il tuo tormento?”. Una frase che non ha un corrispettivo diretto nell’uso comune, ma che incarna perfettamente il cuore del libro: il tentativo di capire e condividere il peso dell’esistenza altrui.
Sigrid Nunez si fermò di colpo, vide una panchina e si sedette. Ripensando a questi due romanzi le venne in mente una sua vecchia frase scritta proprio per L’amico fedele: “Ciò che ci manca – ciò che amiamo, perdiamo e ciò che piangiamo – non è questo che ci rende chi, nel profondo, siamo veramente?”.
L’autrice alzò lo sguardo e osservò la città che si accendeva. Le luci, tremolanti e vive, scolpivano contorni di grattacieli contro il cielo che virava dal blu profondo al nero vellutato, mentre i taxi gialli tracciavano scie luminose lungo le strade sempre in movimento. Era il battito stesso di New York che prendeva vita nella notte, pulsante e inarrestabile. Questa città era una contraddizione continua, pensò. Solitudine e connessione, dolore e bellezza, morte ed eternità. Tutto ciò che lei aveva sempre cercato di catturare nei suoi libri. Era la città dove aveva imparato a scrivere e a capire sé stessa, un luogo che ha modellato la sua identità artistica e personale, permeando le sue opere con una profondità che riflette la natura complessa della metropoli.
Sigrid si alzò dalla panchina, stringendosi il cappotto intorno alle spalle. Mentre si avviava verso casa, i suoi passi si mescolavano al ritmo della città, né più rapidi né più lenti. “La scrittura è come New York,” pensò. “Non finisce mai. Ti sfida, ti consuma, ma ti fa anche vivere.” E con questo pensiero si perse tra le ombre e le luci della sera. Un’autrice in cammino dentro la sua storia.