Come in una commedia pirandelliana, i personaggi si raccontano dietro una maschera che poi finiscono per gettare. Storie quotidiane, dramma, comicità, fuga e ritorno. Tutto questo nel quartiere di New York più trendy e cool del momento. In quella Brooklyn gentrificata, microcosmo di emigrazione e di migrazione dalla vicina Manhattan, nasce What You Want?, una commedia che racconta la vita quotidiana, le difficoltà e gli strani incontri a cui Nicola Bicchieri va incontro dopo essersi trasferito dalla Puglia a New York, per realizzare il suo sogno. Insieme a lui, un coro multiculturale di protagonisti che popolano Brooklyn e questo pezzo di America così variopinta.
What You Want?, nasce dalla sfida e dalla penna creativa di due sceneggiatori italiani, Giulio Poidomani e Vincenzo Cataldo. Il primo, siciliano di Modica, studia a Roma Arti e Scienze dello Spettacolo, realizza diversi cortometraggi e lugometraggi tra l’America e l’italia. Dopo aver vinto il prestioso premio Mattador per la sceneggiatura di Crisci Ranni (ancora da realizzare), decide di spostarsi in Italia dove ha attualmente in pre -produzione il cortometraggio Mai.
Vincenzo Cataldo, anche lui dal Sud, precisamente da Bari, si laurea al DAMS di Bologna e arriva a New York nel 2013, dopo alcune esperienze nel campo della produzione cinematografica e agenzie pubblicitarie.
Ha firmato la sceneggiatura di Without, il cortometraggio di Paola Sinisgalli ambientato in Basilicata.
In questa intervista doppia, in cui hanno scelto di rispondere con una sola voce ad alcune domande insieme e ad altre individualmente, racconta l'esperienza di Brooklyn e il loro Sud che non si può mai lasciare: riaffiora sempre.
Da quale idea nasce la serie What You Want? E perché Brooklyn?
What You Want? nasce come un esperimento. Sentivamo l’esigenza di metterci alla prova, creando qualcosa che fosse allo stesso tempo vicino alle nostre esperienze di vita, ma altrettanto lontano dal punto di vista produttivo. Difatti è la prima volta che ci cimentiamo in qualcosa di seriale e comico. L’idea di raccontare la storia di Nicola Bicchieri, documentarista italiano che si trasferisce a New York per realizzare i propri sogni in America, nasce dall’esigenza di raccontare in qualche modo le nostre esperienze vissute a New York. Ovviamente esagerando le situazioni in alcuni momenti e rendendo tutto più paradossale. Abitando entrambi a Brooklyn, abbiamo deciso di ambientare qui la storia, proprio perché è questa la realtà che conosciamo meglio e che è più vicina a noi. Perché Brooklyn piuttosto che il Queens? Perché ora come ora Brooklyn “is the place to be”. Basta guardare i prezzi degli affitti e il fenomeno della gentrification. Pare che tutti si vogliano spostare a Brooklyn da Manhattan. Ci sono i locali più hip ed è lontano dal fragore della city. E comunque dietro a tutto ciò c’è ovviamente anche una scelta strategica produttiva, visto l’interesse verso Brooklyn che si è creato negli ultimi anni.
Cosa hanno in comune i protagonisti?

Nicola Biccheri
I protagonisti, oltre a Nicola Bicchieri, sono: Zi Mu, ragazza cinese che studia inglese o per lo meno ci prova; AJ, ragazzo arabo innamorato dell’American lifestyle; Tatiana, ragazza russa e tosta; infine Ben e Sabrina, i vicini di casa, lui talent manager e lei attrice, nonché vecchia conoscenza di Nicola. Ciò che li accomuna, oltre al basement in cui vivono, è la loro provenienza. Infatti, tutti hanno lasciato il loro paese d’origine per cercare lavoro e fortuna in America. Hanno tutti un passato importante alle spalle, che potrebbe riaffiorare nell’arco della serie, un passato con cui questi personaggi dovranno fare i conti. Il personaggio di Tatiana, da questo punto di vista, potrebbe essere uno dei più interessanti, venendo da un paese dove molte libertà personali vengono eliminate e, forse, è proprio questa la causa dalla sua immigrazione.
Le vostre storie nascono da esperienze, incontri di vita. Che approccio e filo conduttore avete deciso di scegliere?
Il gruppo di “What You Want?” sul set dopo le riprese
Noi abbiamo deciso di prendere spunto dalle nostre esperienze personali, che nella serie portiamo poi all’esasperazione. Difatti tutti i personaggi sono bizzarri, stravaganti, un po’ sopra le righe. Il collante di tutto è quindi, ovviamente, Nicola, interpretato dal salentino Luca Manganaro. Ci divertiamo ad inserirlo in situazioni comiche da cui Nicola esce quasi sempre sconfitto. Sottotitolo ideale della serie potrebbe essere “Le disavventure tragicomiche di Nicola Bicchieri”. Le linee principali della serie sono due: una segue Nicola nel suo confronto col mondo del lavoro e, quindi, il tentativo di realizzare i propri sogni; l’altra lo segue nei suoi rapporti sociali e nel confronto con le realtà che ha intorno, a cominciare dal basement nel quale si scontrano ben quattro culture (anzi cinque, data la presenza di un quinto coinquilino invisibile che risponde al nome di Casper). Qui si genera anche una storia d’amore fatta d’incomprensioni e fraintendimenti. Un altro aspetto interessante della serie è che è divisa in due parti: una segue la vera e propria vita di questi personaggi; l’altra, girata diversamente, è caratterizzata da inserti di interviste che andranno a comporre poi il documentario americano di Nicola Bicchieri.
Di recente, sono sempre di più i giovani registi italiani che scelgono New York per le loro storie da raccontare. Perché secondo voi?

Vincenzo Cataldo. uno degli autori di “What You want?”
Vincenzo: Secondo me se hai bisogno di raccontare una storia, vuoi che questa sia fruibile da più persone possibili. Per questo si utilizza l’inglese, che è una delle lingue più parlate al mondo (e a breve anche il cinese…) e si punta al mercato americano che è più proficuo sia per l’audience che per la visibilità. Oltretutto in Italia sta diventando sempre più difficile creare qualcosa.
Giulio: Io non so perché molti registi vengano a girare a New York. Credo che dipenda dalle storie da raccontare e, probabilmente, anche da quello che dice Vincenzo. Per quel che mi riguarda ambiento una storia a New York perché vivo a New York e perché mi ha rubato il cuore non appena ci ho messo piede. Molti italiani vengono qui per scappare dall’Italia e sicuramente anche per sperimentare. Molti solo perché girare a New York fa figo. A me dell’essere figo me ne é sempre fregato poco. La mia vita é tutta un caso.
Giulio e Vincenzo: Comunque anche noi abbiamo un sogno che é quello di scrivere per la serialità americana. Essendo entrambi trentenni italiani, le speranze sono poche, almeno che non riusciamo a creare una web series di successo e dimostriamo di saper reggere una storia e portarla avanti per lungo tempo.
Il cinema italiano quanto è diverso, in termini di produzione e distribuzione, da quello americano?
La differenza principale, diciamolo pure, sono i soldi. In America c’è più mercato, il cinema è un’industria e non solo un modo per avere sconti sulle tasse. Ovviamente il cinema americano fa appeal su tutto il mondo, quindi le vendite non si limitano al paese d’origine e gli incassi sono maggiori. I festival indipendenti, facendo parte di questa industria, funzionano come trampolini di lancio e ti mettono nelle condizioni di incontrare persone dell’industria che possono trasformarsi in possibili finanziatori. Ma soprattutto gli americani spendono volentieri 15 dollari per andare al cinema. In qualche modo fa parte della loro cultura. In italia questo non avviene. Al cinema ci vanno solo gli addetti ai lavori e gli artisti/artistoidi. E soprattutto quando c’è la crisi, il comune mortale ci pensa 10 volte prima di andare al cinema. In Italia c’è poi un altro problema fondamentale, cioè che si tende a fare solo film sociali, impegnati e d’autore. Adesso, nonostante ci siano meno soldi per fare i film, c’è però più spazio anche per i giovani, che riescono a fare cose diverse e non solo commediole d’amore per sedicenni o famiglie, com’era qualche anno fa. Sono uscite delle interessanti opere prime quest’anno, con nostro grande stupore.
Anche voi avete optato per il crowdfunding. Rischi e vantaggi di questa forma di finanziamento?
I vantaggi sono quelli di raccogliere comunque fondi per il tuo prodotto, che si raggiunga o meno il goal. In ogni caso una parte di fondi si riesce ad ottenere. E questa può essere la base per cercarne altri. Il rischio è quello di crearti delle aspettative ed un piano di produzione che, nel caso il goal non venga raggiunto, ti obbliga a modificare il tuo piano, le tue strategie, a volte anche la storia, come è successo a noi. Per esempio abbiamo ridotto gli episodi da venti a dodici, eliminato un personaggio e cancellato alcune scene e/o situazioni divertenti.
In che modo raccontereste la vostra storia personale se questa dovesse diventare la sceneggiatura di un film?
Vincenzo: Un film sci-fi sull’arrivo di un umano in un pianeta alieno, oppure storico tipo le Crociate.
Giulio: Per me sarebbe una commedia surreale, tipo Una storia vera di David Lynch, attraversare l’America su un trattore.
Entrambi avete lasciato il Sud. Cosa vi siete lasciati dietro?
Insieme: Il cibo!
Vincenzo: Mi manca il lifestyle italiano.
Giulio: Cioè fare chiacchiere al bar invece di lavorare?
Vincenzo: Ovviamente. A parte gli scherzi, gli affetti e quel modo di fare italiano, così tanto criticato ma che in realtà mi manca molto.
Giulio: Capisco Vincenzo, non torna in Italia da molto. Anche a me mancavano. Adesso che sono in Italia da settembre, posso dire che ciò che mi mancava è ciò che mi spinge a ritornare a New York.
Giulio, i tuoi lungometraggi Crisci Ranni e Mai, sono un omaggio alla tua Sicilia?

Giulio Poidomani, uno degli autori di
Esatto. E nascono proprio da quello di cui si parlava prima: la nostalgia, quel momento in cui ciò che hai lasciato diventa insopportabilmente lontano. Crisci Ranni è proprio un omaggio alla mia terra e alla mia città, ne racconta gli odori e i sapori, le bellezze e le problematiche. Il protagonista è un bambino congolese immigrato in Sicilia che vuole attuare un folle piano, quello di ricongiungersi a sua madre che, nella sua fantasia di bambino, è diventato la regina dei pesci e vive in fondo al mare. Per questa sceneggiatura ho vinto un premio importante in Italia, il Premio Mattador per la miglior sceneggiatura di lungometraggio. Questo mi ha fatto decidere di tornare in Italia per un po’, provare a battere il ferro finché era caldo, cercare di realizzare questo film. E nel frattempo ho girato il cortometraggio Mai, la storia di Anna che torna a Modica per cercare di riconquistare la sua ex, Anna. Ad oggi, tirando le somme, mi sembra di non aver vinto nessun premio. Credo che se in America avessi vinto un premio importante di sceneggiatura, qualcuno si sarebbe fatto avanti quantomeno per leggerla questa sceneggiatura. Ma l’Italia non funziona così, purtroppo.
Vincenzo, hai scritto la sceneggiatura di Without. Anche qui parliamo del Sud
Sono nato, cresciuto e “pasciuto” (come si dice a Bari) nel Sud e, per quanto possano essere diverse le nostre regioni tra loro, abbiamo una storia, un modo di fare, un appeal che ci accomuna. Scrivere Without per me è stato naturale e spontaneo, ho soltanto scritto e descritto situazioni familiari, aggiungendoci, logicamente, ciò che la regista mi ha chiesto. Non si può dimenticare il Sud, ti scorre dentro e soprattutto quando sono due anni che non ci sei, tutto riaffiora come in un sogno, dal suono delle cicale d’estate al sole che ti scalda il viso anche d’inverno. Dal Sud non si scappa.