Mario Platero ha mille ispirazioni e numerosi talenti. Tutti lo conosciamo come l’autorevole giornalista che appartiene alla “vecchia scuola” del giornalismo italiano, quella che ha consegnato ai lettori pagine di cronaca politica, interviste, cronaca finanziaria attraverso la telescrivente o il dettato dell’articolo via telefono alla redazione quando ancora internet e i social media non erano neanche materia di fantascienza. E proprio mesi fa ha fatto un grande scoop internazionale, un’intervista esclusiva per i 90 anni di George Soros per la Repubblica di cui è editorialista, ripresa contemporaneamente il 12 agosto giorno dei sui novant’anni da non meno di 15 testate europee.

In pochi sanno che Mario Platero sognava di fare il musicista e stava per chiudere un contratto con la Ricordi – anzi con Mara Maionchi allora capo producer, a Milano – quando virò verso una carriera in una banca internazionale europea e poi americana per poi trovare il suo “stage” nel giornalismo.

Il Mario Platero musicista si è dedicato al folk, al cantautorato italiano, ai grandi classici della canzone italiana. Una passione che conserva e nutre ancora, insieme alla sua chitarra, e che condivide con gli amici.
Nato a Tripoli, in Libia, dove ha vissuto fino al 1967 e di cui conserva ricordi bellissimi, si laurea in Economia all’Università di Torino dove tra i suoi professori c’erano il relatore della sua tesi di ricerca, Franco Reviglio, ma anche Mario Monti, Sergio Ricossa e altri grandi nomi dell’economia italiana anni Ottanta e Novanta.

“Torino è una città intellettuale densa di tensioni creative e per me molto formativa, ho fatto liceo e università, le devo molto, c’era già allora un grande fermento europeo, mi ricordo gli incontri del Movimento Federalista, in un mezzanino con ciclostile, in una traversa di Via Cernaia, c’erano intellettuali come Lucio Levi, Sergio Pistone o Alfonso Iozzo che sarebbe diventato AD dell’Istituto Bancario San Paolo.
Detto questo, Milano era e resta la mia città di riferimento in Italia, c’erano i miei nonni e c’era un fermento diverso, ma non meno intrigante”, commenta Mario.

Negli Stati Uniti, il giornalista italiano arriva nel 1978 con una borsa Fulbright e frequenta il Master in Affari internazionali alla Columbia University.
Il primo lavoro è alle Nazioni Unite, dove si occupa di ricerca sulle imprese Transazionali poi sempre a New York entra alla Republic National Bank “l’unica che mi aveva promesso una ‘carta verde’, la ‘residenza’, la chiave per poter restare in America.”

Siamo nel 1979 e Mario mi racconta che l’anno prima perse improvvisamente e prematuramente il padre, subito essere partito per gli studi a New York, un evento traumatico ma catartico che lo convinse a restare. E’ a quel punto che il giornalismo sta per entrare definitivamente nella vita di Mario Platero. In quegli stessi anni, infatti, Platero (cognome anagrafico Calvo-Platero) forte del suo passato musicale inizia a scrivere di musica, concerti e cantanti pop per Stampa Sera. Il suo contatto e “mentor” è Ennio Caretto, corrispondente storico del quotidiano di Torino. L’anno successivo, ancora in banca comincia a scrivere per caso per il Sole 24 Ore: il giornale vende 60,000 copie non ha corrispondenti e ha bisogno di aiuto. Uno che lavora in finanza e già scrive può essere utile.

E’ da allora che Mario inizia ufficialmente la sua carriera di giornalista. A quei tempi al Sole direttore e amministratore delegato erano unificati nella stessa persona, Fabio Luca Cavazza un uomo che ebbe un ruolo chiave per le relazioni Italia USA, con forte influenza in Confindustria e in circoli politici romani: ”Quando gli comunicai che pensavo di fare il salto al giornalismo mi disse:’Platero, lei stia lì dove sta che farà una carriera importante”.

Ma la banca è stretta e due anni dopo il salto. La vera mossa rivoluzionaria avviene con l’uscita dal mondo della finanza e l’avvio nel 1982 di una avventura imprenditoriale con la costituzione di EMC Inc. (Economic and Management Consultants Inc.) che sarà poi venduta al Sole 24 Ore nel 2008. Come dice il nome, l’idea era che la consulenza post finanza più che il giornalismo potessero sostenere la nuova iniziativa. Ma capitò il contrario, quelli erano anni d’oro per il giornalismo tradizionale e la EMC decollò subito come una vera e propria società di outsourcing ante-litteram.

Con la EMC, Platero forniva servizi giornalistici in tempo reale utilizzando anche una tecnologia ai tempi molto all’avanguardia. Fu il primo nel giornalismo italiano, già nel 1983 a usare i computer in modo strutturato per la scrittura e trasmissione di pezzi che allora viaggiavano su telescrivente:”Nel 1983 la Apple ci mandò in prova due Apple IIe, per sperimentarli nei media. Fu una grande emozione, due scatoloni con Computer d’avanguardia gratis per la EMC!”. Il primo cliente è in realtà l’Ansa che gli chiede servizi economici in tempo reale, poi si affianca l’Espresso e subito dopo in modo formale anche il Sole 24 Ore, guidato allora da Mario Deaglio con Gianni Locatelli alla vicedirezione: ”Mi avevano offerto subito l’assunzione, ma rifiutai, volevo tentare l’avventura imprenditoriale. Rimasero sorpresi, nessuno rifiutava un’assunzione con articolo uno!. Tentennavano a darmi un contratto, poi hanno capito che era un esperimento nuovo e si andò avanti”.
Con i ricavi dei primi account Platero assume giovani giornalisti a contratto, giovani che sarebbero poi cresciuti nel giornalismo rientrando in Italia e diventando firme importanti come Cecilia Galiena, Enrico Brivio, Ettore Livini, Stefano Carrer, Roberto Caracciolo Marco Valsania, Marco Paolocci, Angelica Folonari , Stefania Pensabene, Alessandro Plateroti, Francesco Semprini, e molti altri nei decenni successivi, come Andrea Sandre, Roberto Rezzo, Pierpaolo Bozzano, Stefania Arcudi o Stefania Spatti.

Partono le iniziative imprenditoriali, Review Italy, il primo prodotto editoriale mensile in lingua inglese che raccontava la storia dell’economia, delle aziende e della finanza italiana al mondo anglosassone. Poi la “normalizzazione”: accetta di diventare corrispondente (il grandissimo Gianni Locatelli, ormai direttore gli disse che doveva accettare un’assunzione per questioni sindacali: se non sei assunto mi obbligano a mandare un altro!) Accetta ovviamente ma a una condizione: la possibilità di mantenere il rapporto con la EMC e coi giovani giornalisti che vi lavoravano. Un rapporto continuato dopo la vendita al gruppo 24 Ore: ”Il giornale era in borsa e mi hanno chiesto di trasformare la relazione con una mia permanenza alla guida della EMC come dipendente Sole come amministratore delegato di una società di gruppo oltre che giornalista. Una prospettiva molto interessante che ha dato ottimi risultati”.

E’ in quegli anni che parte il suo programma radio America24 su Radio 24, un programma quotidiano che ha registrato importanti successi di ascolto e ospiti ai microfoni altrettanto importanti come Obama per la politica, Marchionne per gli affari, Bocelli per la cultura. Platero racconta di alcune iniziative importanti: un accordo di fornitura di 200 notizie al giorno in tempo reale in inglese al London Stock Exchange. “Ho dovuto creare in tre mesi una struttura virtuale. Abbiamo preso a contratto giornalisti di lingua inglese e fatto un prodotto che funziona benissimo ancora oggi e che porta molta liquidità al gruppo”.

Altre iniziative importanti? “Quelle di cui vado più orgoglioso sono la produzione di due volumi coffee table sull’eccellenza italiana per conto del gruppo 24 Ore che aveva a sua volta vinto una commessa con l’ICE. Si doveva farlo in inglese e hanno affidato a noi l’intera produzione dal design al content alla stampa. Un progetto entusiasmante. Di nuovo abbiamo utilizzato i nostri collaboratori in lingua inglese, stampato migliaia di volumi in Italia per poi portarli in America via nave perché avevamo trovato una tipografia vicino a Milano in grado di competere con i cinesi e gli americani a un costo competitivo e con qualità migliore. Eppoi abbiamo costruito con la nostra divisione sviluppo e in completa sintonia con i vertici del gruppo una nuova piattaforma editoriale molto flessibile e avanzata su cui abbiamo costruito la fortuna del prodotto per il London Stock Exchange e altri prodotti come Buongiorno dal tuo Amico Sole, una rassegna di notizie uscite nella notte fra l’Asia e l’America. In tutto poco prima della fine del mio rapporto con il Sole, programmato da almeno due anni, alla EMC lavorano fra dipendenti e contrattisti una ventina di persone. E’ stata sul piano umano e professionale una delle esperienze più importanti della mia vita”.

Durante la sua trentennale collaborazione con il Sole 24 ore, di cui è stato corrispondente dal 1986 fino al 2017 e poi conduttore Radio e editorialista fino al 2018, Mario Platero ha testimoniato e raccontato molti importanti eventi storici, incluse le interviste alla Casa Bianca ai presidenti Ronald Reagan, George Bush Sr. George W. Bush, e Bill Clinton. Ha seguito lo sviluppo del multilateralismo e vertici storici come quello fra Reagan e Gorbachev a Reykjavik, era sulla Piazza Rossa quando Reagan fece la sua passeggiata e sul Muro di Berlino l’anno prima della caduta del comunismo. E’ stato anche inviato di guerra durante il conflitto del Golfo del 1991, ha assistito alla liberazione di Kuwait City insieme ai colleghi Vittorio Zucconi e Oriana Fallaci e ha seguito in presa diretta l’attacco alle due torri dell’11 settembre, era già su Vesey Street quando il secondo aereo colpì.

L’avventura con il Sole 24 Ore finisce del tutto appunto nel 2018. A partire dal 2016 come raccontano le cronache, il gruppo comincia a passare un momento difficile per la nota vicenda di vendite digitali gonfiate: ”E’ vero è stato un momento difficile interno che si aggiungeva a quello difficile per l’intero settore. Avevo un contratto di editorialista ma le cose erano molto cambiate e ho deciso di lasciare. A un certo punto le cose finiscono, è stato un congedo assolutamente amichevole e trasparente: ho scritto il mio ultimo articolo alla fine di febbraio del 18 e ho cominciato a scrivere per La Stampa il primo di marzo. Resta il fatto che quello a il Sole 24 Ore è stato un periodo indimenticabile”.
Quando gli chiediamo qual è stata l’intervista più difficile, confessa “che non ci sono interviste difficili ma affascinanti. Ricordo che quando intervistai Ronald Reagan nell’ufficio Ovale nel 1987, prima di delicate elezioni politiche, quando c’era una possibilità concreta del PCI di conquistare la maggioranza, gli feci ovviamente una domanda elettorale. Lui rispose che era tranquillo per una semplice ragione, perché sapeva che gli italiani per il loro modo di vita e di essere non erano comunisti”. La dichiarazione di Reagan fu ripresa da tutti i giornali italiani. E aveva avuto ragione il vecchio Reagan perché il PCI non riuscì a prendere la maggioranza, senza sapere che quella sarebbe stata l’ultima grande occasione.

Intervistò anche Donald Petersen CEO della Ford ai tempi in cui la grande casa automobilistica americana voleva acquistare Alfa Romeo: ”Uscendo dall’intervista capii che Peterson sapeva che non ce l’avrebbe fatta, che la sua era solo una posizione di facciata”.
Lui che ha vissuto il passaggio dalla carta stampata al digitale, dalla ricerca negli archivi a quella su Google, ha una sua idea sul ruolo attuale del giornalista. “La tecnologia ha sicuramente avvantaggiato il giornalismo sui tempi, portando una grande accelerazione, ma il ruolo del giornalista non deve cambiare. Internet ha facilitato la ricerca per i giornalisti, ma le regole della cronaca rimangono le stesse, così come è importante che il giornalista arrivi per primo a dare la notizia ed esprima anche la sua analisi critica. Tutelare questo lavoro è fondamentale a prescindere dalle variabili carta stampata e digitale, che definiranno il futuro del giornalismo”.

Oltre al giornalismo, Mario ricopre diversi ruoli prestigiosi nel settore del non profit e dell’advisory. Nel 2010 è nominato Presidente della Palazzo Strozzi Foundation USA, una non-profit con sede a New York che si propone di diffondere e promuovere in America i valori dell’umanesimo e del rinascimento riconosciuti come universali. “Credo molto nel valore americano del give back, della restituzione. Ho avuto molto dal mio lavoro e da questo paese e ho accettato con grande entusiasmo incarichi non remunerati. L’iniziativa più importante e più toccante, in essere dal 2010, è il “Palazzo Strozzi High School Renaissance Award”, un concorso a temi sul Rinascimento per le scuole superiori pubbliche organizzato in collaborazione con i Departments of Education delle città di New York, Detroit e Los Angeles e dedicato a studenti dell’’11th grade’, fra i 16 e i 17 anni. Ogni anno i 18 vincitori del concorso viaggiano in Italia per un mese. Mentre risiedono a Firenze visitano musei e chiese e seguono lezioni quotidiane presso il campus della NYU Villa La Pietra si recano a importanti siti rinascimentali in Toscana al mercoledì e nel fine settimana partono per studiare gli ‘altri’ rinascimenti, quello di Venezia, de dogi, di Milano con il periodo leonardesco e a Roma, dove il viaggio si chiude. “Il programma è progettato per diffondere il Rinascimento e i suoi valori di apertura e nuove frontiera in America, ma vuole anche rafforzare le opportunità di ammissione al college degli studenti, in genere figli di immigrati e di classi meno privilegiate”.

Nel 2011 la Palazzo Strozzi Foundation USA ha istituito il “Renaissance Man or Woman of the Year Award” che ogni anno premia un personaggio globale che si è distinto, nel corso della sua vita, nel settore degli affari, del servizio civico e della filantropia, un Medici del nostro tempo che deve rispecchiare i valori del Rinascimento, di cui Palazzo Strozzi è simbolo. Ogni anno il Consiglio della Palazzo Strozzi Foundation USA identifica i personaggi che, secondo uno “spirito mediceo contemporaneo”, hanno avuto un impatto permanente in settori diversi, oltrepassando nuove frontiere e sostenendo la filantropia, le arti, le cause sociali e ambientali.
Tra coloro che hanno ricevuto il premio a Firenze nella cornice di Palazzo Vecchio ci sono stati il Principe Carlo d’Inghilterra, Ted Turner, Nkosazana Clarice Dlamini-Zuma, quando era Presidente dell’Unione Africana, Leonard A. Lauder quando donò la sua collezione cubista da 1,6 miliardi di dollari al Metropolitan, Victor Pinchuk un filantropo Ucraino nell’anno dell’invasione Russa della Crimea, Paolo Fresco, Wanda Ferragamo. “Senza Rinascimento, senza il recupero dei valori dell’antica Roma e dell’antica Grecia non avremmo avuto l’illuminismo e senza l’illuminismo non avremmo avuto le democrazie industriali avanzate. E un modo per affermare l’importanza e il contributo del nostro paese alla storia contemporanea dell’occidente” dice.
Dal 2017 è advisor di un gruppo finanziario europeo, Investindustrial. Nel dicembre del 2019 è stato eletto presidente del GEI il più importante gruppo di rappresentanti di grandi aziende italiane in America. Parlando della missione del GEI dopo la perdita del compianto Lucio Caputo, Mario Platero illustra una visione che guarda al di là di New York e vuole capitalizzare sull’esperienza e sull’accelerazione impressa dalle riunioni via Zoom forzate dal Covid.

“Il GEI è nato da un contesto che ora non esiste più, superato da altri eventi e fasi storiche sociali ed economiche”. Nella prima fase, quella che coincide con gli Anni di Piombo in Italia, il GEI ha avuto il compito di rassicurare gli Stati Uniti. Lo stesso sentimento accompagna la seconda fase Gei è stata quella degli anni di Mani Pulite e di quelli di Berlusconi al potere. Dal 2000 ad oggi, si apre la terza fase GEI, che coincide con la visione di una nuova Italia: quella delle grandi aziende, della finanza, del tessuto industriale. Infine la quarta fase, quella attuale, dove assistiamo alla capitalizzazione dell’immagine dell’Italia attraverso gli italiani che si sono imposti in diversi settori come la scienza, la tecnologia, la medicina, la musica anche qui negli Stati Uniti. La missione del GEI, così come hanno voluto i suoi fondatori Renato Pachetti e Furio Colombo resta una missione economico-finanziaria: rappresentare quel tessuto multiforme, espressione dei diversi talenti italiani. ”Non vogliamo sovrapporci alle missioni istituzionali, ma semmai rafforzare i loro obiettivi. In questa nuova fase, sotto la mia presidenza, stiamo cercando di rafforzare la membership incoraggiando l’aumento di soci donne. In un anno abbiamo già aumentato quasi del 50% la membership anche coinvolgendo italiani che si sono affermati in America, grandi professionisti, imprenditori, avvocati che sono arrivati oltreoceano negli ultimi quindici anni. Il GEI non può essere autoreferenziale, ma un ponte con l’Italia nutrito da uno scambio continuo tra le due sponde”.

Oltre ad essere opinionista di Repubblica dove firma articoli di economia politica e cultura, a partire dal settembre 2017 Mario Platero ha assunto anche l’incarico di direttore responsabile dell’edizione italiana del The New York Times International con un ruolo principalmente di garante: ”Che il New York Times mi abbia chiesto di assumere questa posizione di responsabilità e rappresentanza mi ha naturalmente gratificato, stiamo parlando del più importante quotidiano al mondo”.
Per Platero, l’Italia vista da New York resta “un paese bellissimo e pieno di contraddizioni: fatto di grandi talenti ma anche di una burocrazia farraginosa e lenta. C’è stato giustamente un forte recupero del rapporto con il mondo italo-americano, soprattutto ora che i nipoti dei primi emigrati italo-americani fanno spesso parte dell’establishment politico ed economico, mentre gli italiani delle nuove generazioni rappresentano un’Italia dinamica, brillante e di successo”.

Dalla sua città di adozione, New York dove vive con la moglie Ariadne e i tre figli Oliver, Milo e Clio ha continuato a raccontare i tumulti della politica americana seguendone con passione e minuziosa analisi politica, economica e socio-antropologica, le vicende inclusa una copertura “in diretta” della marcia della destra americana sul Campidoglio.
Gli chiediamo cosa pensa del futuro dell’America dopo l’insediamento del nuovo presidente Joe Biden e di come sta vivendo questa pandemia da New York. “Covid è oggi la sfida più urgente, ma Biden ha una sola grande missione difficile e delicata: superare la polarizzazione del paese. E’ su questo che ha puntato il suo discorso di insediamento, ha fatto leva sull’unità degli Stati Uniti d’America, come condizione essenziale per poter ripartire. Vuole superare Donald Trump, far dimenticare lui e le amarezze le radicalizzazioni, la deriva verso una destra estrema e intollerante pronta persino a rifiutare un risultato elettorale. Trump è riuscito a compattare le frange peggiori della popolazione, spesso isolate ma sempre presenti in questo paese, fatte da complottisti, razzisti, suprematisti bianchi”.

Questa polarizzazione, racconta Platero, ha le sue radici negli anni 90, durante la presidenza di Bill Clinton con le prime pressioni polarizzanti di Newt Gingrich esasperate da Trump, “Biden – mi dice – ha due anni per farcele altrimenti rischierà di perdere le elezioni di metà mandato. Sul piano internazionale sarà presente sicuramente a livello morale (Accordi di Parigi, WTO, restituirà credibilità alla Nato) ma non credo che questa sarà un’America interventista”.
Della sua città, New York, Mario pensa che lo spirito di resilienza la aiuterà a rinascere perché è nella sua natura e nella natura dei suoi abitanti, affrontare con determinazione le difficoltà.

“Trovo che sia un dovere civico di ogni newyorchese tornare in città oggi nel momento più buio nella devastazione della pandemia per appoggiare le comunità che ci hanno dato appoggio, che non possono muoversi e che soffrono, parlo dei negozi, delle lavanderia, dei coreani dietro l’angolo. Dobbiamo aiutare anche loro, dobbiamo visitare i loro negozi come un tempo, perché la Città torni ad essere quella di un tempo. Perché ho fiducia che ce la farà? Perché é insostituibile, per il mondo intero”.
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