“Sono preoccupatissimo sui sentimenti umani prevalenti che stanno alla base della decisione di mettere questi dazi. E’ la terza guerra mondiale. Non vi è dubbio. Stanno ripartendo quei sentimenti negativi che segnarono la prima parte del Novecento”.
Così parlò Oscar Farinetti, fondatore dello straordinario fenomeno Eataly, nel mezzo del suo discorso alla riunione del Gruppo Esponenti Italiani di New York e dedicata a dibattere dei nuovi dazi americani voluti da Trump. Tenuta al Consolato Generale di Park Avenue, alla prima riunione del GEI da quando è stato eletto presidente il giornalista Mario Calvo Platero, a discutere di dazi con Farinetti, c’erano anche Angelo Gaja, proprietario dell’omonima casa vinicola piemontese e Ugo Fiorenzo, managing Director di Campari Nord America. Introdotti dal padrone di casa, il Console Generale Francesco Genuardi, che ha ricordato anche lo scomparso presidente del GEI, Lucio Caputo, i lavori sono stati aperti da Lamberto Moruzzi, Capo Ufficio Affari Economici in Ambasciata d’Italia a Washington che ha portato il saluto dell’Ambasciatore d’Italia in USA Armando Varricchio Presidente Onorario del GEI. Moruzzi ha dato un contesto economico all’introduzione delle tariffe. Per l’Italia il costo complessivo negoziato dalla nostra diplomazia è stato di circa lo 0,85% mentre per la Francia il costo sarà di oltre il 6%. Poi il dibattito moderato dal neo Presidente Mario Calvo Platero, a suo agio nel ruolo di stimolatore della discussione. Ed è stato proprio Farinetti a sprizzare dal suo repertorio dialettico i pensieri più allarmanti e allo stesso tempo più ottimistici per la situazione dei dazi.
Farinetti ha detto di non aver paura che il prodotto italiano possa subire gravi perdite nelle esportazioni verso gli Usa, troppo alta la sua qualità “ma si dovrà essere più decisi col marketing”, ma allo stesso tempo ha suonato quell’allarme sulle tragedie portate da certi sentimenti cupi e ostili tra i popoli e che questi dazi possono resuscitare, pensieri che han fatto venire la pelle d’oca a chi ascoltava in sala.
Ma vale la pena seguire il filo del discorso di Oscar Farinetti:
“Io non sono per niente preoccupato per i dazi, ce la faremo a non perdere nelle vendite, anzi le miglioreremo. Sarà una grande occasione per mettersi a fare quella cosa che si chiama il marketing… Il marketing che ha inventato una gallina: infatti consiste nel fare un uovo e dire coccodè. Così il contadino sente coccodè e va a prenderlo… Noi dobbiamo fare più coccodè. Noi siamo i più bravi a produrre, a fare prodotti straordinari, ma siamo meno bravi a narrare, nello storytelling. Per questo i dazi, ci potranno dare una forza in più. Ai miei ragazzi ieri gli ho fatto un discorso alla Churchill del 1940: combatteremo nel banco dei formaggi, combatteremo nel banco dei salumi. Combatteremo tra i tavoli di ristoranti. Non ci arrenderemo mai”.
Ecco che dopo l’approccio ottimista, il discorso di Farinetti diventa molto più cupo:
“Questo mi serve per introdurre il secondo tema, quello sul quale invece sono preoccupatissimo. Al di là di ogni possibile livello. Sono preoccupatissimo sui sentimenti umani prevalenti che stanno alla base della decisione di mettere questi dazi. E’ la terza guerra mondiale. Non vi è dubbio. Stanno ripartendo quei sentimenti negativi che segnarono la prima parte del Novecento. E che sono: l’egoismo, il senso della superiorità, il sentirsi migliore degli altri. Il fare i propri interessi, punto. Questa è una roba che se non la fermiamo, saranno cavoli amari per il mondo. Faranno di nuovo una montagna di morti. Per il momento li stiamo facendo fare i morti nei paesi che non ci interessano molto. Quelli lontano da noi, quelli a cui vendiamo le armi. Quelli che non si vedono. Ma poi toccherà a noi se continuiamo a sentirci superiori agli altri. Quindi dobbiamo fermare questi sentimenti tornando all’umanità, Cioè prendendo i sentimenti umani della seconda parte del Novecento. Sentimenti fantastici. Il coraggio, la fiducia, la solidarietà”.

Farinetti resta ottimista sulle possibilità dell’Italia:
“Abbiamo fatto un miracolo economico noi che abbiamo perso la guerra, dopo 19 anni eravamo i quinti al mondo… Io ho capito ormai che gli Stati Uniti per altri 50 anni saranno primi in tutto, perché questo paese detiene il nuovo linguaggio mondiale. Detiene le cinque company che nel mondo hanno il 98 per cento dei dati dei cittadini del mondo. La potenza degli Stati Uniti d’America non sono solo i 326 milioni di abitanti moltiplicati per i 56 mila dollari di reddito procapite. La potenza degli Stati Uniti è che ha le chiavi del futuro. Di questo nuovo modello sociale che si chiama società digitale. Che sono tutte conservate in questo paese perché tutte inventate qua. Inventate qua da sentimenti. Un mondo digitale fantastico inventato da sentimenti umani”.
Ma Farinetti scommette nelle relazioni dell’Italia con i più potenti del mondo:
“Dall’altra parte c’è un piccolo punto, che però contiene il paese più bello del mondo. Ufficialmente, non è una opinione. Sono i numeri a deciderlo… il 70% del patrimonio artistico della terra, una roba che dovrebbe farci mancare il fiato. Questo perché c’è stata una generazione di italiani che un po’ di tempo fa si è inventata una robetta che si chiamava Rinascimento. Attraverso sentimenti umani positivi straordinari. Perché sono i sentimenti più o meno positivi che fanno andare avanti o indietro i popoli. E poi la più grande bio diversità alimentare della terra… Questa per la fortuna di essere l’unica penisola che viaggia da Nord a Sud, altitudine perfetta chiusa dentro un mare buono, venti buoni, che creano micro climi unici al mondo. Per cui il basilico più buono del mondo cresce a Pra’.”
Farinetti continua sulla naturale predisposizione dell’Italia a vendere i suoi prodotti agli Stati Uniti:
“Ora mettete insieme questi due paesi, il più ricco del mondo e quello che produce meraviglie. E’ chiaro che dobbiamo incontrarci. Siamo condannati a vendere bellezza agli Stati Uniti. Bellezza dal vino, bellezza dal Parmigiano reggiano. Quindi il paese deve raddoppiare la sua esortazione d’eccellenza…. Se raddoppiamo anche il turismo verso l’Italia… Abbiamo un futuro meraviglioso. Bisogna che noi italiani usciamo dalla nostra pigrizia. Gli imprenditori ci sono, bisogna in campo diplomatico essere italiani, cioè simpatici, faci voler bene, cercare armonia, parlare sempre bene degli altri. Questo per raggiungere l’obiettivo dei dazi zero. Che deve mettere d’accordo tutti. Ci scambiamo le cose in base alla nostra bravura. E con i dazi zero chi è avvantaggiato? L’Italia, l’Italia è avvantaggiata perché traduciamo per nostra tradizione, cose più belle, cose più buone, siamo bravissimi a produrre. Quindi superiamo questo impasse, mettendo più marketing, più relazioni, diamoci da fare. Non lamentiamoci dell’Italian sound. Io godo quando sono imitato… Ma diamoci da fare e raccontiamo la nostra bellezza. Raccontare la bellezza è lavoro”.
Intervenendo ancora, il fondatore di Eataly Farinetti ha parlato anche della fortuna del marchio d’identità del prodotto italiano. (Vedere video sotto).
Quindi il Brand Italia – con la sua storia, la sua cultura, l’amore per il dettaglio e per l’approccio artigianale alla produzione – potrebbe risultare essere più forte delle tariffe del 25% che a partire da questa settimana penalizzeranno le importazioni in America di formaggi e liquori italiani.
Anche per Campari, si esclude che ci sarà un impatto a breve termine sulle vendite: “Certo – dichiara Ugo Fiorenzo – se i tempi dovessero allungarsi, l’impatto di un 25% si farà sentire, ma sono ottimista: spero che si troverà entro qualche mese una soluzione a livello europeo. Detto questo per noi resta essenziale in questo momento trovare metodologie di marketing originali e sempre più orientati alla condivisione di esperienze”. Campari che fattura 600 milioni di dollari in America controlla 36 brands. Oltre a Campari e Aperol (con l’aperitivo Aperol Spritz che fa faville) che rappresentano il 15% del fatturato americano, vi sono prodotti americani come Skyy Vodka e il Burbon Wild Turkey.
Angelo Gaja, proprietario della casa vinicola piemontese Gaja, ammette di avere avuto fortuna sul vino: “E’ stato colpito il vino francese ma non quello italiano, questo in teoria dovrebbe avvantaggiarci, ma solo in teoria perché nella fascia alta gli importatori francesi assorbiranno una parte dell’aumento insieme a produttori e distributori”. Gaja ha raccontato quanto la sua azienda che è già alla quinta generazione abbia da sempre puntato su un marketing relazionale, dalla “diversità e distinzione dell’approccio”, da incontri tematici e dal valore del gusto.
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