La distanza che separa la capitale del Regno Unito, Londra, da Belmonte Calabro, piccolo centro in provincia di Cosenza, è pari, in linea d’ aria, a 1861 chilometri di distanza. Niente di impercorribile né di inimmaginabile, specie di questi tempi. Viaggiare non è più un lusso per pochi e le distanze non fanno più la paura di un tempo. Eppure, nonostante ciò, nessuno avrebbe mai potuto immaginare che nell’estate del 2016 sarebbero giunti appositamente nel piccolo comune dell’Appennino Paolano, alcuni docenti della facoltà di Architettura della London Metropolitan University, per organizzare una Summer School dedicata al recupero architettonico del paese.
Rita Elvira Adamo a quei tempi era una studentessa di architettura all’ateneo londinese e per l’estate, come di consueto, sarebbe tornata in Italia. Parlava di continuo ai suoi colleghi delle bellezze di cui era colma la sua terra, bellezze sommerse, spesso sprecate, abbandonate, maltrattate dalla trascuratezza, dall’inconsapevolezza. Ma quella che doveva essere una comune vacanza prima della ripresa delle lezioni, si è trasformata poi in un’occasione unica per il lancio di un importante progetto internazionale che dura ancora oggi.
“Organizzare una Summer School in Calabria, questa fu la prima mossa” racconta entusiasta Rita Elvira “ma non immaginavamo niente di quel che si è sviluppato dopo. Quel che posso dire è che l’idea della Summer School nacque nei mesi appena precedenti l’estate del 2016. Appena approvata l’idea da parte dei docenti, ho subito individuato un luogo dove far alloggiare i partecipanti. Si tratta dei locali dell’Ex Convento, un posto che da poco era stato recuperato da due artisti del posto, Paola e Stefano. Per loro non è stato un problema ospitare noi alunni (eravamo in tredici) e i sei docenti. L’intenzione era di creare un programma interdisciplinare rivolto per lo più ai giovani del posto, unendo l’architettura con le arti quali danza, musica, teatro, cucina e sartoria. Desideravamo coinvolgere gruppi di persone provenienti da diversi background, in quanto il gruppo di studenti che veniva da Londra era costituito da soli architetti perciò, una volta arrivati in Calabria, presentammo le attività della settimana della Summer School al centro CAS di Amantea, nel quale ai tempi vivevano più di quattrocento migranti. I giovani calabresi rimasti a vivere nel territorio erano pochissimi e anche ora sono sempre meno, la maggior parte di loro va via per studiare altrove, c’era invece un nutrito gruppo di ragazzi proveniente da diversi stati dell’Africa e dalla Asia che aveva molte competenze e voglia di fare. In quei giorni ci siamo resi conto che stavamo affrontando nel contempo due fenomeni molto importanti: i flussi migratori provenienti dal Mediterraneo e lo spopolamento dei borghi e aree interne”.
Anche Rita Elvira Adamo, ormai a Londra da diversi anni, aveva quasi dimenticato le peculiarità dei suoi luoghi e il periodo preparativo alla Summer School è stato un momento di riscoperta, anche delle proprie origini. Trascorsa la settimana di studi, studenti e docenti capirono che non era possibile ormai lasciare quel posto. Perciò sì, fecero le valigie e tornarono a Londra, ma non senza programmare a breve un prosieguo dell’esperienza di studio, con l’aggiunta di un progetto più ampio e a lungo termine, che coinvolgesse l’ateneo, gli abitanti del paese e i richiedenti asilo.
“Dopo neanche due mesi dalla fine della Summer School” racconta Rita Elvira “i docenti decidono di creare una classe di ricerca all’interno della Facoltà di Architettura della Metropolitan University una classe specializzata, che avrebbe studiato questi fenomeni attraverso lo sviluppo di progetti architettonici ideali pensati per Belmonte Calabro. Già a Novembre 2016, è arrivato a Belmonte un nuovo gruppo di studenti a studiare il centro storico e comprenderne la rivalutazione. Così a Novembre 2017, il comune di Belmonte ha firmato un protocollo di intesa della durata di 3 anni con la London Metropolitan University; con tale accordo, entrambi hanno dichiarato l’impegno a lavorare per la rigenerazione urbana del borgo. Da allora sono state diverse le tesi di laurea dedicate a Belmonte Calabro e, più in generale, al progressivo abbandono dei piccoli centri e alla possibilità- opportunità di farli rinascere”.
La Rivoluzione delle Seppie: così è stato chiamato questo progetto al quale inizialmente in pochi credevano. Il nome attribuitogli proviene da un testo che gli studenti della London Metropolitan University leggevano come uno dei moduli dell’esame di Storia della Architettura. “C’è una tipologia di seppie chiamate seppie vampiro” spiega Rita Elvira “le quali vivono nel profondo dell’oceano, non riescono a vedere ma hanno un senso tattile molto sviluppato e imparano toccando, facendo esperienza di quello che li circonda. Allo stesso modo, noi avremmo voluto imparare facendo e “sporcandoci le mani”, entrando in diretto contatto con persone e contesti che ci interessavano. Bisogna entrare dentro alle cose, viverle, considerarne le difficoltà, i rischi reali, i punti di forza, ma appunto bisogna fare per poi teorizzare, progettare”.
Dall’estate del 2016, la collaborazione tra il comune di Belmonte Calabro e l’ateneo londinese è andata avanti e ha visto diverse fasi, comprese quelle caratterizzate da completo scetticismo.
“I più dubbiosi, almeno all’inizio, sono stati gli abitanti di Belmonte Calabro ma è più che comprensibile” spiega ancora Rita Elvira. “Questo paese del basso Tirreno cosentino, così come tanti altri paesi limitrofi, ha un piccolo e calmo centro storico in cui vivono permanentemente tutto l’anno un centinaio di persone, le quali non si aspettavano di avere così tanto e improvviso interesse da parte di “sconosciuti”, che se ne andavano in giro per i vicoli del paese. Non riuscivano a capire se ci fosse un interesse personale, non credevano che un gruppo di ragazzi per lo più stranieri, volesse fare qualcosa per migliorare il loro paesino e soprattutto senza avere niente in cambio. Piano piano però, osservando le nostre azioni, i nostri modi di fare e l’impegno durante le permanenze nel borgo, la fiducia è cresciuta tanto da creare rapporti di amicizia e far nascere momenti di condivisione tra la comunità locale e questa nuova comunità temporanea. Questo progetto secondo me, ha contribuito a modificare negli abitanti la percezione della propria situazione e del loro contesto. Insomma ora il clima è più propositivo, ci sono stimoli reali, perché loro hanno visto nel concreto le possibilità di miglioramento, se non altro da un punto di vista sociale”.
I più entusiasti invece sono stati sin dall’inizio i giovani richiedenti asilo, ospiti del Cas e, nemmeno ciò dovrebbe sorprendere. L’attesa per ottenere un permesso lavorativo era ed è ancora oggi, per queste persone, lunghissima e piena di momenti di disorientamento, che possono sfociare in vere e proprie crisi. “È bastato andare da loro nel Luglio 2016” dice Rita con grande entusiasmo “presentarci un solo giorno al centro a far loro visita, insieme tutti gli studenti di Londra per parlar loro del progetto e si è creata subito una connessione. I ragazzi hanno ascoltato e condiviso le nostre storie, i sogni e le aspirazioni e da parte loro c’era ascolto, erano finalmente contenti di poter agire, di potersi rendere utili, di sentirsi vivi dunque e poter essere parte di qualcosa”.
Da quando il progetto è ormai una realtà del territorio, sono nate relazioni tra persone che prima di allora non avevano mai avuto modo di interagire. Prendiamo ad esempio le persone anziane del luogo e i ragazzi del Cas, ma anche gli artigiani del posto. In questi anni hanno realizzato insieme opere di arredo urbano e tanto altro, hanno condiviso il proprio tempo insieme. Si sono creati legami basati sulla fiducia, non solo tra i professionisti che operano sul campo come docenti e studenti, ma anche tra gli “attori” del territorio. È nato un dialogo, un confronto che altrimenti sarebbe stato impensabile e da questo dialogo è venuto fuori che le criticità possono e devono trasformarsi in occasioni.
Le criticità possono essere terreno fertile per creare occasioni, per creare nuove sinergie. Basta ricordarsi che i cambiamenti concreti si vedono nelle piccole cose. E anche se piccole però serve molto tempo, volontà, costanza e pazienza per realizzarli. Abbiamo riqualificato alcuni spazi abbandonati, vi abbiamo organizzato all’interno mostre, li abbiamo resi nuovamente vivi…Forse non si realizzerà mai qualcosa di definitivo e tangibile, ma il processo per raggiungere questi obiettivi è già un cambiamento”.
Mi domando e domando infine a Rita, cosa manca secondo lei al nostro paese, perché quasi sempre risulta necessario uno stimolo esterno a far luce sulle nostre risorse, sulle nostre potenzialità. “Non so se mi sento di poter rispondere in modo assoluto” conclude lei, sorridendo “la mia esperienza in Italia da persona un po’ più matura è ancora molto breve. Sono tornata in modo più stabile solo da un anno, dopo quasi undici anni in un’altra nazione. Anche per me è stato importante andare via per capire il valore di quello che stavo lasciando. Credo che lo stimolo esterno aiuti a modificare le percezioni, a renderle più complete. Ci fa riappropriare di quel che non riuscivamo a vedere più, perché ormai ci sembrava scontato”.