Giulio Valente classe 1967, lascia la sua città, Milano, nel 1988 dopo il militare e non è più tornato. Ha vissuto in Asia, Corea e Cina. Da oltre 10 anni la sua vita è a New York dove, ripartendo da zero, ha aperto una società di servizi che offre tecnologia avanzata per l’industria ceramica e tecnica. All’inizio il suo ufficio era casa sua a Soho, ora la sede è in Canal Street a Chinatown.
Giulio, oggi in possesso di passaporto americano, ha anche votato Obama.
"Le prime giornate di un europeo in America
possono essere paragonate alla nascita di un uomo."
Franz Kafka
Giulio ha 47 anni e la sua vita sembra la trama di un film.
Dopo il diploma in programmazione elettronica, la naturale conseguenza sarebbe stata laurearsi in ingegneria elettronica. Ma erano gli anni Ottanta e la sua voglia di entrare nel mondo del lavoro era più forte dell’interesse verso la pergamena. La sua scelta l’ha portato a trovare un lavoro che gli ha permesso di viaggiare per il mondo, fare esperienze e crescere professionalmente tanto da mollare tutto e ripartire come imprenditore da New York. “All’epoca c’era molto lavoro per gli elettronici. Non c’era la necessità di andare all’università. Alla fine ho fatto bene. In cinque anni ho acquisito le nozioni e capacità che servivano per lavorare per le grandi aziende. Poi mi sono ritrovato anche ad insegnare il lavoro ai neo laureati in ingegneria”.
A 21 anni ha iniziato a lavorare come tecnico in un’azienda italiana nel settore dell’impiantistica ceramica. Tramite quest’azienda si è trasferito in Cina, ad Hong Kong, dove ha vissuto quattro anni. Un periodo molto pesante per un amante della libertà, forzato a vivere in un regime troppo rigido per i suoi gusti. “Lavorare in Cina non mi piaceva – racconta – nell’88 era ancora la vecchia Cina comunista. Tutto era molto difficile. Ci trascorrevo dieci mesi l’anno. Era come andare in prigione e tornare. Ogni anno avevo un mese e mezzo di ferie dove facevo le pazzie più totali. Ero ben pagato, 10 milioni delle vecchie lire, oggi sarebbero 6.500 dollari. Risparmiavo perché era tutto spesato, di conseguenza in vacanza spendevo e ricercavo il meglio. Quindi facevo la bella vita. Ma dopo cinque anni non ce la facevo più. Mi sono licenziato e sono andato in vacanza”. Giulio ha vissuto una vita da sceicco per dieci anni, dal 1988 al 1997 ed ha viaggiato andando in Vietnam, Cina, Corea ed in tutto il South East Asia, Algeria, Marocco, Est Europa.
Tutti viaggi di lavoro tra cui alcuni memorabili come quello in Algeria da dove è fuggito: “Sono scappato di notte. Il padrone dell’azienda algerina mi aveva chiesto di consegnare il passaporto che sarebbe stato ridato quando 'loro' avrebbero deciso di farmi rientrare in Italia. Così non gliel’ho dato e la notte sono fuggito dall’abitazione per ritornare in Italia. Una volta arrivato a casa ho detto al mio capo che in Algeria non ci sarei tornato”. Un altro viaggio storico è stato durante la prima guerra del Golfo: “Ero al confine con l’Iraq, in Turchia. La mattina quando andavo al lavoro vedevo passare gli aerei bombardieri, con i missili sopra di me. Andavano ad attaccare ed io ero sulla rotta. Ho vissuto in questa situazione per quattro mesi. Non avevo paura perché ero vicino al confine e non ci toccavano. Comunque non ero tranquillo per niente”.
"Il modo migliore per cercare di capire il mondo è vederlo dal maggior numero possibile di angolazioni."
Ari Kiev
Gli anni più lunghi li ha trascorsi in Cina dove ha lavorato, incontrato sua moglie in Hong Kong e ha imparato l’inglese. Grazie al dizionario e parlando con i cinesi il suo inglese migliorava di giorno in giorno. Giulio, infatti, faceva parte del team tecnico di un’azienda ed andava ad insegnare agli orientali come si utilizzavano le macchine industriali, i software di tali e la tecnologia ceramica per la produzione di piastrelle nelle grandi aziende quindi era obbligato a parlare e farsi capire.
Dopo diversi anni come tecnico ha sentito l’esigenza di fare il salto di qualità e passare alle vendite per avere una vita più tranquilla. “Essere un tecnico significava lavorare tre mesi in un Paese, poi tornavi a casa una settimana e ripartivi per un altro Paese per sei mesi a fare lo stesso lavoro. In quattro/cinque anni avevo imparato la macchina a memoria, sia elettronicamente sia meccanicamente. Allora ho iniziato a fare gli interventi spot. C’è un problema? Arrivo, lo risolvo e me ne vado. Poi mi sono stancato di fare il tecnico e avevo voglia di vendere. Avevo 28 anni volevo fare qualcosa di più interessante. Dopo varie lotte interne ho creato la figura di tecnico commerciale che all’epoca in azienda non esisteva ancora”.
Dopo un anno ha iniziato la vendita per poi passare al commerciale. “Per un anno mi hanno affidato al più anziano in azienda. Mi teneva fino alle 9 di sera a studiare lettere di credito, libri, tutto quello necessario per me per affrontare una discussione vendita di un certo livello. Con lui sono rientrato in Italia per 9 mesi e mi hanno affidato a questo signore che seguiva le aree di Russia, Romania, Albania e Polonia”.
"Ottimo è quel maestro che, poco insegnando, fa nascere nell'alunno una voglia grande d'imparare."
Arturo Graf
Giulio, rientrato in Italia, impara i segreti della vendita e a 29 anni conclude la prima per 2 milioni di dollari. Nonostante questo successo si rese conto che in Italia non c’era possibilità di crescita. Così quando la sua fidanzata conosciuta ad Hong Kong stava per raggiungerlo in Italia, lui l’ha fermata. Dopo nove anni di lavoro all’estero la sua mentalità aveva un settar che non rientrava in quello italiano. A quel punto ritorna ad Hong Kong per due settimane di vacanza. “Decidiamo di guardarci in giro e andiamo a Sydney a cercar lavoro – continua – bellissima, ma non un posto in cui vivere a 30 anni. Torniamo a Hong Kong ed un’azienda concorrente mi offre lavoro. In questa traslazione la Replay offre alla mia fidanzata la posizione di marketing manager Replay America a NY. Così decido di lasciare il mio lavoro di dieci anni e seguire la mia fidanzata. Ma prima di trasferirci a New York siamo tornati in Italia e ci siamo sposati. Poi siamo ripartiti alla volta degli States. Ero a New York e senza lavoro all’età di 30 anni”.
"Si crede che, quando una cosa finisce, un'altra ricomincia immediatamente. No. Tra le due cose, c'è lo scompiglio."
Marguerite Duras
Arrivano a New York. Lei inizia a lavorare, lui a mettere insieme le idee. Passa i mesi a riverniciare il loft a Soho. Sei mesi di riflessione per capire cosa fare con le sue conoscenze tecniche e di vendita per costruire qualcosa di suo. Nel frattempo decide di accettare un lavoro come consulente dall’Italia: seguire un progetto di riciclo di materiali organici in ceramica. E dopo un anno e mezzo, nel 2000 apre una società. “Ho iniziato a prendere rappresentanze italiane per macchine per la ceramica ed ho iniziato a contattare i ceramisti locali. A quel tempo erano più del doppio di quelli che esistono oggi. La crisi del 2008 ha fatto chiudere molte aziende negli Usa. Adesso ne stanno arrivando di nuove. E’ tornato il momento di costruzione”.
Inizialmente l’ufficio era a casa sua a Soho: “Ho iniziato con un paio di contatti, poi tre, quattro e via andare. Nel frattempo facevo anche la consulenza per questo progetto di riciclo. Quando è terminato, per 9 mesi, ho lavorato in uno showroom di piastrelle a NY. Dopo di che sono riuscito a sopravvivere col mio lavoro facendo un minimo fatturato”.
Ha cominciato a creare la GV Service con l’aiuto di una ragazza per mezza giornata, poi una volta la settimana, poi sono diventate due, poi tre etc. Ora sono in otto dipendenti tutti giovani e italo americani. La società è riconosciuta sul mercato americano ed è in crescita.
“E’ stato un lungo cammino e non ci fermiamo. Siamo stati aiutati da un sistema americano dove se hai un’idea vai e cresci senza perdere tempistiche pazzesche come in Italia. Nel mezzo abbiamo anche acquisito, io e altri tre soci, una società italiana di Maranello. Era un mio fornitore, che grazie al sistema italiano stava per chiudere dopo 25 anni di esperienza e di vita. Io stavo per perdere quella distribuzione sul mercato americano quindi abbiamo rilevato l’azienda. Ora mi ritrovo ad essere partner di un’azienda italiana. Un’esperienza nuova perché per decisione non volevo nulla in Italia. Siamo riusciti ad assumere 25 persone, a mantenere l’azienda viva e ancora nelle mani di italiani. Non come tante altre aziende acquisite da stranieri. E’ un anno che l’abbiamo rilevata con risultati ottimi. Stiamo riuscendo a mettere assieme delle nuove tecnologie che manderemo sui mercati mondiali molto presto”.
Non manca un pensiero per il sistema economico italiano: “In Italia abbiamo un governo che non aiuta, delle situazioni aziendali inaccettabili, abbiamo un sistema bancario del 1800 che non aiuta le aziende a vivere, a crescere. Ripartire, poi, è quasi impossibile. Abbiamo degli operatori veramente capaci, lavorano con amore e tecnica. Questo manca agli americani. Il problema è che se continuiamo a perdere delle aziende e darle in mano a degli stranieri un giorno ci ritroveremo con degli italiani che lavorano per gli stranieri che impareranno a fare il nostro lavoro. E’ come perdere un pezzo di storia”.
Un’altra grande differenza è nelle opportunità: “In Italia se un’azienda è nuova normalmente nessuno ci crede, non ti danno l’opportunità. Al contrario gli anglosassoni ti danno la possibilità. In Italia perdono metà del tempo a chiedere soldi e l’altra metà a lavorare. Al contrario qui la gente s’impegna a vendere e non a chiamare la gente per pagare. Partendo da li è un’escalation. La prima cosa che ti dicono in Italia è impossibile. In America no”.

Giulio ed Emilio
Un’altra opportunità che l’America offre è quella di assumere giovani universitari per inserirli nel mondo del lavoro. Un’occasione che nel 2007 ha permesso ad Emilio, italo americano, di diventare il braccio destro di Giulio: “Come azienda ha potuto pagare una percentuale della sua rata annuale. Emilio ha così fatto esperienza lavorando di giorno e studiando di sera. E’ il mio secondo uomo. Si occupa della mia società e lo fa’ da socio”.
"Felice colui che ha trovato il suo lavoro; non chieda altra felicità."
Thomas Carlyle
Oltre al lavoro Giulio ama il buon cibo e si mantiene in forma facendo sport. Tra le sue attività quella che ama è la corsa. Ha partecipato a tre maratone di NY. “La prima l’ho corsa nel 2010 ho fatto un tempo di 4’ 39’’, poi nel 2011 ho fatto 40’30’’ e nel 2012 l’anno cancellata a causa dell’uragano Sandy ma con alcuni runners abbiamo comunque corso 35 km per Central Park”. Correre la maratona per Giulio è bellissimo e come spiega lui stesso “è un evento psicologicamente fantastico. Dalla preparazione alla corsa in sé. Correre è uno sport che ti da chiarezza di idee, mentre corro trovare le soluzioni ai problemi. Sei tu solo con te stesso è un momento di riflessione. Poi raggiungere un obiettivo dei 42 km è pazzesco. Arrivare al traguardo è una sensazione unica. Ti da una forza interiore che è una marcia in più”. Ti insegna anche una lezione di vita: “Mai mollare, stringi i denti e arriva alla fine”.
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