Mentre il mondo continua a vivere uno dei periodi storici più complicati degli ultimi decenni, con la tragedia umanitaria in Yemen nel pieno del suo corso, la compra-vendita di schiavi in Libia a due passi dall’Europa, il dramma dei rifugiati in Myanmar e le tensioni in Corea del Nord, le Nazioni Unite stanno per iniziare un anno importante della loro storia: il 10 dicembre 2018, infatti, la Dichiarazione Universale per i Diritti Umani compirà 70 anni. “Uno dei tre pilastri delle Nazioni Unite, assieme alla pace e lo sviluppo”, secondo il segretario Generale ONU Antonio Guterres. Uno degli accordi internazionali più importanti mai raggiunti dal secondo dopoguerra ad oggi, secondo l’intera comunità internazionale.
Proclamata il 10 dicembre 1948 infatti, la Dichiarazione Universale per i Diritti Umani ha sancito i diritti inalienabili di ogni essere umano, indipendentemente dalla razza, dal colore della pelle, dalla religione al sesso, dalla lingua o dall’opinione politica. Il documento più tradotto al mondo, disponibile in oltre 500 lingue diverse, che ha aiutato numerose persone a ottenere più libertà dal giorno della sua proclamazione ad oggi, e più sicurezza, favorendo la prevenzione alle violazioni e migliorando i processi che hanno favorito la giustizia.
La strada, però, a quasi 70 anni dal giorno storico della firma di Parigi, è ancora lunghissima. Sono milioni le persone in sofferenza in tutto il mondo e sono numerosi i fronti in cui il pericolo continua a essere imminente. Lo sa bene il Segretario Generale Antonio Guterres, che nel suo messaggio, l’11 dicembre durante l’Human Rights Day 2017, ha infatti dichiarato: “Nonostante i progressi, i principi fondamentali della Dichiarazione Universale sono messi alla prova in tutte le regioni”. Sono numerose del resto le aree in cui “vediamo odio, intolleranza, atrocità e altri generi di crimini. Azioni che mettono in pericolo tutti noi”. Per il Segretario Generale è quindi giunto il momento per tutti i leader politici e le persone nel mondo “di difendere tutti i diritti umani: civili e politici, economici, sociali e culturali”, così come di proteggere “i valori che sono alla base delle speranze per un mondo più giusto, più sicuro, migliore per tutti”.
Una preoccupazione condivisa da Zeid Ra’ad Al Hussein, Alto Commissario ONU per i Diritti Umani: “La promessa insita nella Dichiarazione deve ancora essere mantenuta, ma il fatto stesso di aver superato la prova del tempo e che esista ancora oggi è la testimonianza della duratura universalità dei suoi valori perenni di uguaglianza, giustizia e dignità umana”, ha dichiarato. L’Alto Commissario era stato tra i primi ad esempio, nel cruciale mese di novembre, a lanciare l’allarme in Libia definendo “disumano” l’accordo tra Unione Europea e governo libico sui migranti: “Dobbiamo organizzarci e mobilitarci in difesa della dignità umana e in difesa di un futuro comune: dobbiamo assumere una posizione solida e determinata, sostenendo i nostri diritti e quelli delle generazioni a venire”.

Fino al 10 dicembre 2018, le Nazioni Unite saranno impegnate in un anno importante, “di intensa e profonda riflessione sull’importazione continua e vitale di ognuno dei 30 articoli contenuti in questo straordinario documento”, ha evidenziato Zeid Ra’ad Al Hussein, non nascondendo però le sue preoccupazioni per il futuro: “È giusto onorare i risultati ottenuti e rendere omaggio a chi ha reso possibile questo documento ma non dovremmo farci illusioni: l’eredità della Dichiarazione Universale sta affrontando minacce su molti fronti”.
Tra i fronti più a rischio, anche se mai citato nelle dichiarazioni istituzionali di Guterres e Al Hussein, lo Yemen, dove muoiono bambini ogni secondo e dove il popolo yemenita continua a essere utilizzato come pedine dalle super potenze del mondo, intente a giocare una macabra partita a scacchi che nessuno sta vincendo e dove spesso è persino difficile capire chi combatta contro chi. Senza dimenticare la Corea del Nord, che non a caso è stata oggetto di un Consiglio di Sicurezza proprio martedì 11 dicembre, durante l’Human Rights Day. Una seduta in cui è stato ricordato che le violazioni dei diritti umani, nel regime di Pyongyang, continuano tra torture diffuse nei centri di detenzione, lavori forzati in miniera e campi di prigionia per i dissidenti del regime. “Mi dispiace ma è impossibile, per me, segnalare oggi un miglioramento significativo della situazione dei diritti umani in Corea del Nord”, ha detto in video-conferenza da Parigi proprio Al Hussein, evidenziando: “Le recenti tensioni sulla sicurezza sembrano aver peggiorato le già gravissime violazioni dei diritti umani subite da tempo dalle 25 milioni di persone che vivono in Corea del Nord”, il cui 70% (18 milioni) si stima soffrano di scarsezza di cibo. Chi è riuscito a fuggire, non a caso, “ha riferito violazioni dei diritti umani diffuse in tutto il Paese e in quasi ogni aspetto della vita delle persone”. Per far fronte alle esigenze umanitarie nel regime di Kim Jong-Un, secondo le Nazioni Unite, sarebbero necessari ulteriori 114 milioni di dollari: “Invito tutti gli Stati Membri dell’ONU a sostenere le attività di salvataggio delle persone nel Paese”, ha fatto sapere il Segretario Generale aggiunto per gli Affari Esteri Miroslav Jenca, che ha evidenziato le criticità in relazione all’utilizzo delle sanzioni: “Incoraggio tutte le organizzazioni internazionali e non governative che si trovano ad affrontare sfide operative sul territorio nord-coreano di utilizzare tutti i procedimenti stabiliti per richiedere l’esenzione del regime sanzionatorio”, affinché “le sanzioni decretate dal Consiglio di Sicurezzza non vadano ad avere un impatto negativo sui mezzi di sostentamento e sulle strutture sanitarie del Paese”.
Una preoccupazione su cui l’Italia si era pronunciata per prima, e in più di un’occasione: “. Il regime nordcoreano continua a negare ai suoi cittadini anche i diritti e le libertà più elementari, come sancito dalla Dichiarazione universale e da altre convenzioni e strumenti pertinenti sui diritti umani”, ha dichiarato nel corso del Consiglio di Sicurezza di lunedì 11 dicembre l’ambasciatore italiano Sebastiano Cardi, che ha concluso: “La repressione sociale e politica emerge con il lungo isolamento in cui il popolo nord-coreano è costretto a vivere. La sistematica soppressione dei diritti umani è tra le principali priorità del regime di Pyongyang, che soffoca ogni forma di dissenso al fine di garantire la propria sopravvivenza. Non dobbiamo dimenticare le decine di migliaia di prigionieri politici che continuano ad essere sottoposti alle più dure forme di abuso nella vasta rete di campi del regime”.