Che qualcosa “bollisse” nella pentola dell’Italia lo si era capito già ieri, quando, in occasione del meeting del Consiglio di Sicurezza sulla Libia convocato (a sorpresa) dalla Francia, l’ambasciatore italiano Sebastiano Cardi aveva ripetutamente sottolineato l’impegno italiano nel garantire le attività dell’UNHCR a protezione dei migranti nella polveriera nordafricana. Un concetto ribadito più volte, forse anche in risposta a quello che potrebbe interpretarsi come un tentativo della Francia – giunto opportunamente alla vigilia del vertice Ue-Unione Africana – di presentarsi come prima promotrice della linea “intransigente” sulla difesa dei diritti umani in Africa. E a poche ore da quella riunione, trapelano con maggior chiarezza i primi dettagli di quell'”impegno” italiano più volte rivendicato, dopo settimane in cui il nodo dei campi-lager libici rischiava di “macchiare” l’onore di Roma – artefice dell’ormai famigerato accordo per il controllo dei flussi migratori con Tripoli – agli occhi della comunità internazionale.
Proprio oggi, l’UNHCR ha infatti espresso in una nota “apprezzamento per la decisione delle autorità libiche di allestire una struttura di transito e partenza a Tripoli per persone che hanno bisogno di protezione internazionale”, iniziativa, si scopre, fortemente sostenuta dal Governo italiano, che faciliterà il “trasferimento di migliaia di rifugiati verso Paesi terzi”. Nella struttura menzionata, lo staff dell’Agenzia ONU per i Rifugiati e delle sue organizzazioni partner provvederanno alla registrazione delle persone e a fornire assistenza salva-vita, come alloggi, cibo, cure mediche e supporto psicologico. Un’iniziativa volta, ha spiegato Roberto Mignone, Rappresentante di UNHCR per la Libia, a “velocizzare il processo di ricerca di soluzioni in Paesi terzi, in particolare per i minori non accompagnati e separati e le donne a rischio”. Già lo scorso settembre, l’UNHCR ha chiesto che venissero forniti 40.000 posti per il reinsediamento dei rifugiati che si trovano nei 15 Paesi lungo questa rotta. Finora, però, ne sono stati garantiti solo 10.500.
“Sono molto soddisfatto che l’Italia, grazie all’azione diplomatica della nostra Ambasciata a Tripoli, abbia agevolato il raggiungimento di un’intesa per l’attività di UNHCR in Libia a favore delle categorie di migranti più vulnerabili e bisognosi di protezione internazionale, in vista della loro ricollocazione in Paesi terzi che hanno manifestato disponibilità ad accoglierli”, ha commentato il ministro degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, Angelino Alfano. “Potranno così essere accelerate le procedure per la loro ricollocazione”, ha proseguito, “grazie all’operatività di un apposito ufficio di raccolta e partenza a Tripoli, gestito con il Dipartimento per il contrasto all’immigrazione illegale del Ministero dell’Interno libico, con l’obiettivo di fornire assistenza umanitaria e sicurezza ai migranti e predisporre le procedure per la loro partenza”. “Da anni”, ha quindi ricordato Alfano, “sosteniamo che l’obiettivo sia quello di organizzare, dall’altra parte del Mediterraneo, la selezione dei bisognosi di protezione internazionale, con la garanzia del pieno rispetto dei diritti umani. L’intesa con UNHCR”, conclude, “è un passo molto significativo nella giusta direzione”.
Una buona notizia a cui dare doverosamente rilievo e della quale, in virtù del “cruciale appoggio ricevuto dal governo italiano”, essere orgogliosi. Tuttavia, com’è deontologicamente doveroso per un giornalista, noi della Voce vogliamo provare a fornire un’interpretazione più ampia, in virtù dell’attenzione che sempre abbiamo dedicato – e in modo particolare durante il mese di presidenza italiana del Consiglio di Sicurezza – al dossier libico e alla crisi migratoria. Dossier intorno al quale si è concentrato il focus italiano al Consiglio, ma che ha seguito un percorso, per così dire, accidentato. La denuncia dell’Alto Commissario per i Diritti Umani Zeid Ra’ad Al Hussein sull’accordo “disumano” tra UE e Libia e la conseguente piccata risposta del ministro Alfano dal Palazzo di Vetro sembrano infatti aver scoperchiato, una volta per tutte, le tensioni tra Italia e ONU sul patto di Roma con Tripoli, e le incertezze della comunità internazionale sulle tempistiche della roadmap umanitaria nel tormentato Paese del Nord Africa. Scenario che ha visto, in seguito, l’iniziativa francese, che a sua volta sembra aver incoraggiato la solerzia italiana nel sottolineare il proprio impegno per favorire un più ampio e pervasivo intervento dell’UNHCR sul campo.
E’ dunque in questo contesto che il nuovo progetto è stato annunciato. Un contesto in cui su Roma pesava, probabilmente, la censura internazionale per l’accordo stretto con Tripoli – accordo che, si è lasciato sfuggire lo stesso segretario generale Antonio Guterres mesi fa, rischia di violare la Convenzione di Ginevra -. Quindi, la successiva pubblicazione dei video della CNN sulla vendita di migranti come schiavi in Libia ha a maggior ragione contribuito a puntare i riflettori del mondo intero sul dossier.
Certo: resta ancora da capire quale sarà la logistica della di certo lodevole iniziativa, e le domande da porsi sono tante. Come farà, ad esempio, il Governo libico, che ancora controlla una porzione molto limitata del territorio, a garantire che i flussi di rifugiati – in particolare le categorie più vulnerabili – che passano per la Libia vengano “intercettati” e dirottati attraverso quel centro nella Capitale? Quale impatto avrà tale iniziativa sul numero complessivo di rifugiati che transitano sul territorio libico? Quale sarà, invece, il destino di coloro che, secondo le regole attuali, non sono meritevoli di “protezione internazionale” e che sono dunque considerati “illegali”? In quali “Paesi terzi” verranno destinati, e con quali tempistiche? Che ne sarà dei migranti (stimati come almeno 17mila) chiusi nei famosi centri di detenzione? Sarà possibile garantire, prima o poi, una loro evacuazione?
I nodi da sciogliere, insomma, sono ancora numerosi. Ma dato che noi della Voce non ci sentiamo di aderire alla famosa massima, cara a certa parte del giornalismo, secondo cui “good news is no news”, i pur legittimi dubbi non devono offuscare l’indiscutibile portata della buona notizia. Certo: anche le buone notizie vanno interpretate. E noi non possiamo fare a meno di notare come quest’ultima iniziativa costituisca, in ultima istanza, una parziale sconfessione della posizione originaria dell’Italia. Che diversi mesi fa ha negoziato con la Libia un accordo che implicava che i migranti (compresi chi tra loro sarebbe meritevole di protezione internazionale) rimanessero bloccati nella polveriera nordafricana, benché a Roma, già allora, non sfuggisse lo scarsissimo livello di rispetto dei diritti umani nel Paese. Oggi, l’annuncio del nuovo risultato raggiunto porta con sé, pur indirettamente, l’implicita ammissione di ciò che era ovvio fin dall’inizio, ma che nessuno esplicitava: e cioè che la posizione dell’Italia era (ed è ancora) pericolosamente traballante, oltre che sotto il profilo etico, anche dal punto di vista del diritto internazionale e umanitario. Così, la soluzione temporanea raggiunta dalle autorità libiche, con l’aiuto di Governo italiano e UNHCR, può interpretarsi come un compromesso a posteriori, un tentativo di tamponare una situazione che non era più sostenibile né tollerabile. E che rischiava di lasciare una macchia indelebile sull'”onore” che tante volte il Belpaese ha rivendicato per il suo indiscutibile impegno, pressoché solitario, a salvare vite nel Mediterraneo.
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