Una rivendicazione sul fronte libico, una risposta non data (alla Voce di New York) sul discorso di Donald Trump relativo alla Nord Corea, e i complimenti all’ambasciatore Sebastiano Cardi per il lavoro all’interno del Palazzo di Vetro. A una manciata d’ore dal Consiglio di Sicurezza ONU sul pericolo delle armi nucleari, mentre i toni dell’Assemblea Generale si alzano invece di placarsi, il Ministro degli Esteri Angelino Alfano ha incontrato i giornalisti nella mattinata di giovedì 21 settembre e ha espresso per punti la posizione del nostro Paese sui temi più importanti al centro delle discussioni nel Palazzo di Vetro.
Una la preoccupazione principale: le tensioni con il regime di Pyongyang. Su questo aspetto, il Ministro ha rivendicato il peso della missione italiana al Palazzo di Vetro, dove l’ambasciatore Cardi presiede la Commissione 1718 sul controllo delle sanzioni e nel quale l’Italia sarà protagonista a novembre con la presidenza del Consiglio di Sicurezza: “Le sanzioni non sono contro i popoli, ma contro i governi. Non sono l’obiettivo ma lo strumento per far tornare quei Paesi in un contesto di legalità internazionale e noi abbiamo il dovere di ricordarlo in qualità di presidenti della Commissione 1718: le sanzioni oggi, e ad ammetterlo è stato anche di recente il presidente sud coreano, iniziano a funzionare e l’Europa in questo contesto sta facendo il suo”. Sul discorso di Donald Trump all’Assemblea Generale di martedì 19 settembre però, quando il presidente ha promesso che gli USA sono pronti a “distruggere totalmente la Nord Corea” se necessario, Alfano ha usato cautela. Ha dichiarato che nel complesso l’intervento del presidente statunitense è stato coerente con “l’impianto delle cose che lui ha sostenuto in campagna elettorale”. E ha precisato: “Nel tempo del multilateralismo, ha provato ad affermare e, a mio avviso lo ha fatto con chiarezza, una posizione che concili il multilatealismo con l’indipendenza della sovranità dei singoli stati”. Un approccio “molto conforme a ciò che il candidato Trump aveva promesso in campagna elettorale”. Alla richiesta di commento della Voce di New York sul “totally destroy North Korea” di trumpiana memoria, relativo a un Paese dove vivono oltre 22 milioni di persone, il Ministro degli Esteri però non ha rilasciato alcun commento. Nonostante sia stata proprio la missione italiana al Palazzo di Vetro la più insistente a porre l’accento sulla condizione umanitaria del popolo nord-coreano, ogni qual volta venivano paventate nuove sanzioni.
Due, gli altri temi su cui il Ministro degli Esteri si è espresso. La prima, la Libia, dove Angelino Alfano ha rivendicato le vittorie dell’Italia. “Abbiamo lavorato molto in questa settimana newyorkese su questo fronte: stabilizzazione Libia resta priorità dell’agenda globale, e c’era il rischio in passato che potesse essere un fronte dimenticato”. Su questo fronte, ha detto Alfano, “è passata la linea italiana: occorre ora rafforzare il ruolo dell’inviato ONU Salamè”. Sui diritti umani invece, per il Ministro “abbiamo vinto la sfida di porre a sistema rigore e solidarietà, abbiamo dimostrato che è possibile far camminare questi due aspetti vicini, anche in questo periodo storico difficile. Il presidente Sarraj sostiene la nostra tesi: noi stiamo spingendo per accelerare l’accordo sulla presenza ONU degli uffici UNHCR e delle ONG italiane e libiche”.
Infine, tra gli argomenti più importanti, l’Iran. Un fronte su cui l’Italia si conferma, dopo il discorso di ieri di Paolo Gentiloni in Assemblea Generale, lontana dagli Stati Uniti di Trump e in linea con gli altri Paesi europei: “Se le verifiche tecniche dimostrano che vi è conformità rispetto alle aspettative, noi lo sottolineiamo in positivo e diciamo che non c’è motivo di andare contro. Altro tema è, fuori dall’accordo sul nucleare, il nostro giudizio sui test missilistici, ma si tratta di un contesto diverso”. E se gli Stati Uniti dovessero decidere di uscire da quegli accordi? “Abbiamo autonomia decisionale su questo e l’Italia terrà la sua linea: prima di tutto, però, dobbiamo capire se davvero gli USA decideranno di uscirne o meno”.