Era stata Sara Cavazza Facchini, direttore artistico del marchio GENNY, a parlarci in termini entusiastici, lo scorso novembre, di Fashion 4 Development (F4D), iniziativa no-profit volta a stimolare il lavoro consapevole e incentivare la crescita sostenibile della moda.
Il 19 settembre, alla Settima Edizione del First Ladies Luncheon di Fashion 4 Development, l’entusiasmo era il medesimo, per quanto stemperato dalla tristezza palpabile per la perdita della sua sostenitrice numero uno, Franca Sozzani. Era stata lei, la Signora della moda italiana, Editore Capo di Vogue Italia, a sognare prima, e ad appoggiare tenacemente poi, un progetto come Fashion 4 Development, una realtà che riconoscesse alla moda la legittimità, il valore e la responsabilità di strumento di sviluppo.
Il First Ladies Luncheon di quest’anno si è tenuto durante la 72esima sessione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite che celebra i passi avanti fatti sul cammino del cambiamento sociale a supporto degli Obbiettivi dello Sviluppo Sostenibile dell’ONU attraverso la sinergia tra diplomazia e moda. Nell’esclusiva cornice del Pierre Hotel, a una manciata di strisce pedonali da Central Park, l’evento si è svolto alla presenza della Fondatrice e Presidentessa Evie Evangelou e di personalità del calibro di Afef Jnifen, Diane Von Furstenberg, Beatrice Borromeo Casiraghi, Elie Saab Junior, Farida Khelfa, allo scopo di premiare ufficialmente l’operato umanitario svolto dai cosiddetti “Agents of Change”, colori i quali alimentano il cambiamento, nello specifico, Precious Moloi-Motsepe (Franca Sozzani Award), Iman (Fashion For Development Award), Naomi Campbell (F4D Angel Award), Simone Cipriani (League of Gentleman Award) e Sybil Yurman (Women’s Champion Award). A queste premiazioni, si è affiancato il tributo sentitissimo, e la Medaglia d’Onore, alla compianta Sozzani, Goodwill Ambassador di F4D dal 2011 al 2016.
Mentre sul red carpet sfilano le First Ladies, prima del pranzo ufficiale e dell’assegnazione dei premi, intervistiamo Simone Cipriani. Fondatore di Ethical Fashion Initiative, di cui Eugenia Paulicelli ci aveva già raccontato lo scorso aprile dalla Casa Italiana Zerilli Marimò NYU in occasione dell’incontro “Sustainability of Ethical Fashion in Our Brave New World”, Cipriani ci parla con entusiasmo dell’iniziativa e del senso del premio che gli è stato conferito. “Questo riconoscimento dev’essere il riconoscimento della moda quale strumento di sviluppo etico e sostenibile all’interno della catena di produzione, e l’accettazione di condizioni di lavoro dignitose per i lavoratori e le lavoratrici. Tutto ciò non è più procrastinabile: se ci impegniamo, e deve essere uno sforzo collettivo, è possibile”. Cipriani ci spiega che Ethical Fashion Initiative è cominciata in Africa, grazie a Gino Filippini, un missionario che creava lavoro. “Viveva in una vera e propria baraccopoli. Capii che si poteva fare questo tentativo di fare moda con gli ultimi degli ultimi. Allora andai da Vivien Westwood, gliene parlai e lei s’impegnò subito, disegnò la collezione, chiamò il fotografo Juergen Teller, con cui facemmo un servizio in Africa. Poi aderirono anche Ilaria Venturini Fendi. E la Coop toscana, che ci aiutò con la realizzazione di 300.000 borse. Si aggiunsero poi Stella McCartney, Mimco, Karen Walker, United Arrows e tanti altri. Oggi possiamo contare su trentaquattro partner commerciali”.
Con la sua rete di artigiani esperti in pellami, gioielli, tessuti, Ethical Fashion Initiative è presente in Burkina Faso, Cambogia, Etiopia, Ghana, Haiti, Kenya, Mali e Cisgiordania. “Grazie al sostegno che stiamo ricevendo dall’Unione Europea, ci stiamo muovendo in Afghanistan, Iran e Uganda. E lavoriamo con i migranti: abbiamo creato un centro per formare migranti africani in Italia”. A questo proposito, chiediamo all’imprenditore se Ethical Fashion Initiative si serve di artigiani italiani per il trasferimento di know-how in territori stranieri. “Ci serviamo dei nostri artigiani italiani ma anche degli artigiani che troviamo sul posto, dotati di capacità che sono particolarmente adatte per il mondo della moda. Tra gli italiani mi preme ricordare in modo particolare il lavoro svolto da Alessandro Paci, grandissimo esperto tessile, da Claudio Moggi, del team Max Mara, che ci aiutò a mettere su un’intera unità di produzione, e Pierfrancesco Brignola, creatore di borse che ci diede una grossa mano con le bag”.
Prima di passare nella Great Ball Room per il pranzo ufficiale, la premiazione e la sfilata, abbiamo il tempo di rivolgere qualche domanda a Beatrice Borromeo Casiraghi, presente all’evento in veste di F4D Special Envoy for Human Rights, nonché di appassionata documentarista: il First Ladies Luncheon è il contesto in cui mostrerà in anteprima il trailer del suo ultimo documentario, Never Children. E la passione traspare tutta, insieme all’animo battagliero, che conosciamo bene sin da “Annozero” — l’angelo biondo che nasconde il demone del giornalismo.
Le chiediamo subito come si trova con il genere del documentario. “Abitando a Monaco, avevo bisogno di un lavoro flessibile, con tempi più lunghi, che mi permettesse di fare ricerca e montaggio lì, e di spostarmi solo per le riprese. Questo documentario in particolare è stato molto duro per me perché sono finita in posti in cui i bambini muoiono, e quelli che non muoiono subiscono abusi di tutti i tipi. In un paese di 40.000 persone ci sono stati dodici bambini che, in due anni, hanno denunciato episodi di pedofilia, e ragazzini che finiscono a fare i soldatini del clan, che finiscono morti ammazzati per strada, oppure che vengono sfruttati per trasportare droga oppure per fare il palo. Bambini che, come gioco pomeridiano, imitano gli eroinomani. Insomma, c’è una situazione profondamente drammatica”.
Non stiamo parlando dell’ultimo avamposto del terzo mondo, o qualche luogo sottosviluppato del quarto. Stiamo parlando di Caivano. 14 km a nord di Napoli.
“L’ultima volta che sono andata a girare ero incinta di sette mesi, e da un lato ho
sentito un senso di gratitudine molto forte perché il futuro di mio figlio non sarebbe stato lì, ma dall’altro un gran senso di colpa. Ho anche pensato che se mio figlio fosse nato lì, non avrebbe avuto nessuna possibilità. O meglio, se nasci ‘genio’, magari ce la fai, però lo Stato non può contare sul fatto che ci sia qualcuno di extra-ordinario. Lo Stato deve lavorare per la norma. E lì la norma dei bambini non ce la fa. E non ce la fanno perché non hanno nessun tipo di appiglio. I genitori sono in galera, oppure sono delle persone estremamente ignoranti, o con grandi problemi, che vengono mantenute povere dal sistema criminale che le vuole controllare. Il documentario racconta di una scuola di Caivano. Una scuola meravigliosa, che organizzava laboratori, gestita da una preside incredibile: andava a recuperare i ragazzi a casa o per strada e li portava in classe. Ebbene, quando la scuola ha cominciato a funzionare, l’hanno chiusa e hanno mandato via la preside. Il messaggio è chiaro: il sistema preserva il sistema. Io ho quattro protagonisti in questo documentario: tre dei quattro, dopo l’allontanamento della preside, hanno lasciato la scuola”. E continua, “per me è stata un’esperienza molto potente, che ho terminato praticamente due giorni prima di partorire, quando ho finito l’editing. E questo grazie anche al lavoro straordinario della mia montatrice, Cristina Flamini, che si è praticamente trasferita per due mesi e mezzo a Monaco, in pieno inverno. Le sono eternamente grata perché senza di lei non so cosa avrei concluso”.
Coinvolta e partecipe, si discorre volentieri con Beatrice, e ci ritroviamo a commentare lo stato delle cose, il momento profondamente inquietante che stiamo vivendo dal punto di vista dei diritti civili, anche in riferimento agli Stati Uniti. “È spaventoso come si possano perdere passaggi fondamentali che ci sono voluti decenni a conquistare. E con un tweet!”. Prima di lasciarla al suo intervento durante il luncheon, vogliamo sapere cosa potrebbe fare, il singolo, nel piccolo, secondo lei.
“Parlare. Alzarsi e dire le cose”. Che poi è quanto ha fatto lei con il suo documentario e con tutta la sua attività da giornalista impegnata.
Una volta sul palco, a suo agio ma anche emozionata nel ricordare la perdita di Franca, molto più di un’amica, Beatrice Borromeo mostra alcune scene di Never Children e porta la miseria italiana nel cuore ethic-glam di questo mezzogiorno newyorkese. Alla platea racconta nel dettaglio della preside, Eugenia Carfora, e della sua battaglia quotidiana per tenere la scuola aperta, i ragazzi in classe. “Il sindaco di Caivano, un individuo che tiene in ufficio le fotografie di Mussolini e un’ampia collezione di effigi fasciste, ha fatto sapere alla preside che la scuola sarebbe stata chiusa perché non raggiungeva il minimo consentito di 600 alunni. Gli studenti iscritti erano 593… Ho girato questo documentario per raccontare una storia positiva, quella di un insegnante che salvava i bambini in un posto molto complesso, dove, negli ultimi anni sono morti 36 bambini, per via di conflitti di mafia, droghe, incidenti. Ma mentre giravo, Never Children è diventato l’ennesimo esempio di come l’Italia sia il paese in cui tutti sanno cosa succede e nessuno muove un dito per fare qualcosa. Questa storia insegna che le violazioni dei diritti civili avvengono anche oggi, anche in Italia. E la cosa che dobbiamo fare noi è parlarne. Parlarne, come Franca mi ha sempre insegnato a fare, con la sua tenacia. E per questo la ringrazio immensamente”.
La commozione nei confronti di Franca Sozzani è trapelata pressoché in tutti gli interventi dei premiati. Particolarmente toccante quello della stessa Presidentessa, Evie Evangelou, la cui voce rotta ha dimostrato quanto la perdita della Editor di Vogue Italia abbia lasciato un vuoto pressoché incolmabile non solo nell’organico di Fashion 4 Development, ma anche e soprattutto nei cuori dei presenti. “Creativa, coraggiosa, Franca era prima di tutto una sognatrice, e i suoi sogni l’hanno portata in posti che solo lei, e lei per prima, ha avuto il coraggio di esplorare”. Lo stesso documentario Franca. Chaos and Creation girato un paio d’anni fa dal figlio, Francesco Corazzini, riporta una frase che la Sozzani amava dire: “Non essere tirchio con i sogni. Quando sogni, fallo in grande”. E proprio Corazzini è presente con un video messaggio in cui sottolinea l’impegno e la dedizione della madre nell’impresa di Fashion 4 Development. “F4D era tutto per mia madre. La faceva sentire utile al mondo”. E procede a nominare come vincitrice del Sozzani Award, Precious Moloi-Motsepe, una tra le filantrope più influenti del Sud Africa. “Dopo la laurea in medicina”, racconta Moloi-Motsepe, anche lei commossa, “mai avrei immaginato che la mia vita sarebbe stata nella moda. Ma volevo fare qualcosa di utile per il mio paese, allora ho pensato a un settore che impiegava donne. Tante donne. Più o meno esperte. La moda”.
Sul palco si alternano Afef Jnifen, Iman, Simone Cipriani e Diane von Furstenberg, che conferisce a Naomi Campbell il F4D Angel Award. La venere nera, ancora più bella, forse, di quando aveva vent’anni, perché ora, oltre al “solito” fisico mozzafiato ha la testa e le mani piene di progetti nobili — Naomi ha fondato, nel 2005, Fashion 4 Relief, organizzazione no-profit che opera sul campo in situazioni di emergenza, raccogliendo, in poco tempo, 4 milioni e mezzo di sterline per diverse cause umanitarie, fra cui la tragedia post-uragano Katrina — l’ex modella ha ricordato il leggendario numero speciale “All Black” di Vogue Italia dedicato unicamente alla bellezza nera, che Franca Sozzani realizzò nel 2008, firmando una pagina storica dell’editoria moderna.
Chiude le celebrazioni lo stilista libanese Elie Saab, rappresentato dal figlio Elie Junior, portando in passerella dei capi scelti dalla prestigiosa collezione autunno-inverno 2017-2018 — “Poetry in Motion”. E non è difficile capire la ragione dietro questo nome: fra tulle, organze, trasparenze, chiffon di seta, piacevolmente contrastati da capi in pelle black, borchie dorate, dettagli Swarovski, inserti in pelliccia nei cappotti e nelle giacche, è una vera e propria poesia in movimento sulla passerella al centro della sala.
Andandocene, risuonano nelle orecchie le parole di Cipriani — “se ci impegniamo, è possibile” — e di Beatrice Borromeo — “Parlare. Alzarsi e dire le cose”.
Confidiamo che, attraverso realtà proattive come Fashion 4 Development, l’appoggio dell’ONU e dell’Unione Europea, nonché di “Agents for Change” come quelli premiati all’evento, la moda del nuovo millennio conquisterà un livello di sostenibilità ed equità sociale tale da liberarla, una volta per tutte, dalla nomea di mero passatempo per signore.