Da Grande Mela a pomo della discordia.
Ufficialmente quello di queste ore è stato derubricato a uno “scalo aeroportuale”, ma l’arrivo a New York della presidente taiwanese Tsai Ing-wen ha inevitabilmente una fortissima carica simbolica.
La leader di Taipei rimarrà nella città sull’Hudson giusto per una manciata di ore, prima di ripartire per una missione centroamericana della durata di 10 giorni che la porterà in Guatemala e Belize – due dei soli 13 Paesi rimasti a riconoscere Taiwan come Stato indipendente dopo la recente defezione dell’Honduras (ammaliato dalle prebende finanziarie di Pechino).
Ma ancora più simbolico sarà lo “scalo” che la presidente effettuerà sulla strada ritorno a Los Angeles, il prossimo 5 aprile. Nella città degli angeli è previsto infatti un incontro informale con il presidente della Camera dei rappresentanti USA, il repubblicano Kevin McCarthy, il quale peraltro non ha escluso di potersi recare a Taiwan nel prossimo futuro per rinnovare il sostegno di Washington all’indipendenza taiwanese.
Sullo sfondo ci sono però le durissime minacce della Cina (continentale). Zhu Fenglian, portavoce dell’Ufficio per gli affari taiwanesi di Pechino, ha dichiarato che qualsiasi incontro tra lo speaker GOP e Tsai verrà interpretato dal Dragone come “un’ennesima provocazione che viola fondamentalmente il principio di una sola Cina” e che “distrugge la pace e la stabilità nello Stretto di Taiwan” – ma che soprattutto spingerà ad adottare non meglio precisate “misure preventive”.
Quella di Pechino sostiene infatti di essere la “unica Cina ufficiale” sin dal 1949, quando al termine di una lunga guerra civile tra comunisti e nazionalisti le due Cine si sono separate – e sull’isola di Formosa è nata la “Repubblica di Cina” in contrasto con la Repubblica Popolare Cinese di Mao Zedong.

L’incontro tra Tsai e McCarthy ha peraltro precedenti piuttosto recenti. Basta infatti tornare allo scorso agosto, quando l’allora speaker dem Nancy Pelosi si recò addirittura a Taipei – diventando così la più alta funzionaria statunitense a visitare l’isola contesa dall’analoga missione del repubblicano Newt Gingrich nell’aprile 1997. Anche lo scorso anno Pechino aveva minacciato reazioni, che si sostanziarono in tre giorni di esercitazioni militari nello Stretto di Taiwan che separa l’isola dalla terraferma, con il lancio di diversi missili balistici.
In ossequio alla “politica di una sola Cina”, dal 1979 gli Stati Uniti riconoscono la Cina continentale (quella di Pechino) come l’unica Cina legittima, non mantenendo relazioni diplomatiche formali con Taiwan. Dallo stesso anno, tuttavia, la Casa Bianca è vincolata dal Taiwan Relations Act a sostenere militarmente Taipei in caso di attacco esterno – una previsione che recentemente il presidente Joe Biden ha interpretato come obbligo di intervenire direttamente nel conflitto.
E se gli USA non vanno a Taiwan… è Taipei ad arrivare negli States. Quello di oggi a New York è per l’esattezza il settimo scalo negli Stati Uniti compiuto in Nord America dalla presidente Tsai dal 2016 ad oggi. La Casa Bianca sostiene che si tratti di banali scali logistici, sostenendo (o fingendo di farlo) che non abbiano alcuna particolare valenza politica. E perciò, secondo Washington, la Cina non dovrebbe sfruttare la breve permanenza di Tsai come giustificazione per rappresaglie contro Taiwan.

Dal canto suo, la leader taiwanese ha detto ai giornalisti di essere “tranquilla e fiduciosa” sui suoi piani, e che le “pressioni esterne” non impediranno a Taipei di interagire con il resto del mondo. “Taiwan continuerà a difendere gli ideali di libertà e democrazia”, ha chiosato Tsai.
La sua visita arriva in un momento in cui le tensioni tra Pechino e Washington sono in aumento non solo a causa di Formosa, ma anche dei tentativi di Xi Jinping di proiettare la sua sfera d’influenza anche in America Latina, regione del mondo storicamente presidiata dagli USA fin dalla dottrina Monroe (1823).
Con la defezione filo-cinese del Governo honduregno, peraltro, Taiwan è ora riconosciuta da soli 13 Stati sovrani (tra cui la Città del Vaticano), principalmente isole dei Caraibi e del Pacifico meridionale, oltre a Eswatini in Africa.