Non era ancora decollata da Taipei che i cinesi hanno iniziato a sparare cannonate. Non appena Nancy Pelosi ha lasciato lo spazio aereo di Taiwan, gli uomini dell’esercito popolare agli ordini di Pechino sono passati dalle minacce ai missili veri e alle incursioni aeree.
Taipei ha fatto scattare immediatamente con sistemi di puntamento attivi le sue sofisticate batterie antiaerei di fabbricazione americana e sostiene che almeno 11 ordigni balistici sono caduti intorno alle sue coste, creando una sorta di blocco aereo navale totale. Anche Tokyo, col suo ministro della difesa, accusa Pechino di aver preso come bersaglio la zona economica esclusiva del Giappone e ha chiesto ufficialmente l’immediata fine delle minacciose manovre militari con proiettili dal vivo.
Solo nella giornata di ieri, altri 22 aerei da combattimento cinesi J-11, J-16 e Su-30 sono entrati nello spazio aereo di Taiwan, superando abbondantemente quella che viene considerata simbolicamente la linea mediana dello stretto a dimostrazione della loro superiorità militare.
Secondo alcun fonti cinesi, le manovre a tenaglia potrebbero concludersi nelle prossime 72 ore dopo aver previsto anche un gran finale con un’enorme dispiegamento delle truppe di terra di Pechino, pronte a un’eventuale invasione dell’isola che conta solo 22 milioni di abitanti.
A difesa della muscolarità imposta da Xi Jinping e condannata dalla Ue dall’Onu, si è alzato solo Putin per sostenere il pieno diritto e la piena legittimità delle esercitazioni sul proprio “Territorio nazionale”.
Senza dubbio, sul fronte asiatico la tensione sale e se le borse avevano reagito con un cenno positivo alla fine del viaggio a Taipei conteso della leder della Camera Usa, ieri le perplessità sulla sicurezza internazionale sono tornate ad affiorare, mentre proseguono i bombardamenti e gli attacchi russi in Ucraina.
Al summit dell’Asean con tutti i leader asiatici al quale partecipa anche il segretario di Stato Blinken. America e Giappone hanno condannato insieme la pericolosità di queste manovre militari senza precedenti, mentre Pechino ha convocato tutti gl ambasciatori dei paesi del G7, compresa naturalmente l’Italia, per esprimere tutta l’indignazione per l’affronto subito con la visita della Pelosi, che per i cinesi avrebbe violato la sovranità territoriale della grande Cina che considera Taiwan una semplice provincia ribelle da annettere prima o poi e non una realtà autonoma che può sperare nell’indipendenza.
La morsa cinese nei confronti dell’isola non ha solo lo scopo di rallentare l’economa di Taiwan per i prossimi mesi, soprattutto nel settore di micro Cip, ma anche quello di impedire che su questi prodotti, proprio attraverso un partnership commerciale fra Taipei e gli Usa, possa rafforzarsi la posizione americana diventata oggi fortemente dipendente dalle forniture asiatiche, indispensabili per la crescita e l’incremento della produzione nel mondo dell’auto.
Le oltre 2 ore di telefonata fra il presidente Biden e Xi Jinping, che pochi giorni fa hanno portato a uno scambio molto franco, non sono riuscite però a consolidare l’impegno dei due leader a rivedersi in un prossimo summit dal vivo in occasione del G20 di novembre. E questo lascia intendere che il disappunto cinese verso gli Usa, incuranti degli avvertimenti, dovrà tradursi in qualche cosa di dannosamente tangibile per dimostrare che il governo di Pechino non intende perdere la faccia verso il Congresso americano e tantomeno verso i taiwanesi.
Se le prossime 72 ore passeranno senza incidenti o provocazioni, è ipotizzabile che la politica della voluta “ambiguità diplomatica”, dove gli americani sono al tempo stesso partner di Taiwan per sostenere affari e democrazia ma anche della Grande Cina per il suo sterminato mercato, è probabile che senza sbandierarlo troppo potrebbe proseguire per diversi anni ancora la politica dello “Status quo”, con Taiwan lasciata libera di commercializzare le sue eccellenze ma senza presentarle come simbolici passaggi politici e riconoscimenti verso una futura indipendenza.
Prima di concludere il suo viaggio a Tokyo, Nancy Pelosi l’incendiaria è andata in visita a Seul e ieri insieme a tutta la delegazione del Congresso si è spinta a visitare anche la DMZ, la zona smilitarizzata tra le due coree dove Donald Trump era convinto di aver sedotto ll giovane dittatore di Pyongyang Kim Jong-un con una semplice e coreografica stretta di mano che invece non ha portato a nulla.