“È una storia che puzza”, afferma senza mezzi termini aThe Hill Jeh Johnson, ex direttore del Department of Homeland Security durante l’amministrazione Obama.
La “storia” alla quale si riferisce il ministro dem è quella dei migliaia di messaggi cancellati relativi al periodo 5-20 gennaio 2021, ossia dalla vigilia dell’assalto a Capitol Hill fino al giorno in cui Donald Trump ha lasciato la Casa Bianca. A eliminare le conservazioni sono stati tanto gli agenti del Secret Service, quanto alcuni funzionari del Pentagono. E ora il Dipartimento della Giustizia dovrà decidere se avviare un’altra inchiesta sulla precedente amministrazione GOP, dato che al ministro della Giustizia Merrick Garland è stato chiesto dall’American Oversight di indagare su queste “oscure coincidenze” (American Oversight è un gruppo di controllo apartitico che ha scoperto la cancellazione dei messaggi).
Secret Service, Pentagono ed Esercito hanno affermato che i messaggi sono stati cancellati “per manutenzione e aggiornamento” dei sistemi di comunicazione. Decisioni prese nonostante il buonsenso e, soprattutto, la legge – che vieta la cancellazione di telefonate, messaggi ed email mandate o ricevute sui telefoni di servizio dei dipendenti federali.

Al centro di questa nuova controversia c’è Joseph Cuffari, Ispettore Generale del Department of Homeland Security, un ex consigliere per le questioni militari del governatore repubblicano dell’Arizona Doug Ducey, scelto dall’ex presidente Trump nel 2019. E per la seconda volta in una settimana, i parlamentari della Commissione di Supervisione e Riforma della Camera e quella del Comitato per la Sicurezza Interna hanno chiesto a Cuffari di sospendere le indagini. In pratica, non si fidano del modo in cui il suo ufficio le sta conducendo.
Cuffari ha segnalato ai parlamentari il problema dei messaggi telefonici mancanti a luglio, sebbene fosse consapevole che erano andati perduti dal dicembre dello scorso anno – non rivelando inoltre che i messaggi di testo del 6 gennaio provenivano dai massimi funzionari del DHS dell’era Trump, incluso l’allora segretario Chad Wolf e del suo vice Ken Cuccinelli.
American Oversight ha chiesto la pubblicazione delle comunicazioni tra alti funzionari e Trump, il suo vicepresidente, Mike Pence, il suo capo di Stato maggiore, Mark Meadows, “o chiunque comunicasse per loro conto il 6 gennaio”. Tra i funzionari le cui comunicazioni sono in discussione ci sono l’ex segretario alla difesa ad interim Chris Miller; l’ex segretario dell’esercito Ryan McCarthy; Kash Patel, che era il capo dello staff di Miller; Paul Ney, ex consigliere generale del Pentagono; e James McPherson, ex consigliere generale dell’Esercito.
La lenta risposta del Pentagono all’attacco al Congresso rimane oggetto di speculazioni. Come ha scritto il New York Times il mese scorso, “la mobilitazione e il dispiegamento delle truppe della Guardia Nazionale da una caserma a sole due miglia di distanza dal Campidoglio sono stati bloccati da confusione, interruzioni delle comunicazioni e preoccupazione per la decisione di inviare soldati armati per sedare la rivolta”.

I messaggi scambiati tra alti funzionari del Dipartimento della Difesa e la Casa Bianca potrebbero far luce su quanto accaduto. Il colonnello Earl Matthews, un avvocato della Guardia Nazionale, ha individuato due generali – Charles A. Flynn e Walter E. Piatt – i quali si erano veementemente opposti a un dispiegamento dei soldati anche dopo che il capo della polizia del Campidoglio, Steven A. Sund aveva fatto una drammatica richiesta telefonica di aiuto chiedendo urgenti rinforzi. Il generale Flynn è il fratello di Michael T. Flynn, che è stato il primo consigliere per la sicurezza nazionale di Trump e in seguito ha svolto un ruolo attivo nel tentativo di ribaltare i risultati delle elezioni del 2020.
Il Dipartimento della Giustizia per ora non si pronuncia, ma non è detto che non stia indagando. Ieri sera, a sorpresa, è stato convocato dagli inquirenti federali Peter Navarro, l’ex consigliere di Donald Trump, chiedendo e-mail e messaggi telefonici del periodo in cui era alla Casa Bianca conservate in un account personale su ProtonMail, il servizio di posta elettronica criptata.
“Navarro sta conservando su un account personale documenti presidenziali che sono di proprietà degli Stati Uniti e che costituiscono parte della documentazione storica permanente della precedente amministrazione”, hanno scritto gli avvocati del dipartimento di Giustizia nella richiesta di convocazione.
La vicenda non è correlata al reato di oltraggio al Congresso, per il quale Peter Navarro è imputato in quanto rifiutatosi di fornire testimonianze o documenti alla commissione della Camera che indaga il 6 gennaio. Il processo pe questo reato è stato fissato per il 17 novembre.
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