Che cos’hanno in comune un Papa argentino (Bergoglio), un sindaco americano (Bill De Blasio) e un pilota di Formula 1 australiano (Daniel Ricciardo)? Apparentemente nulla. In realtà fanno parte di una stessa famiglia che, sempre meno silenziosa e sempre più in crescita, sta consolidando il proprio ruolo nel mondo: gli italici. Ed è proprio su questo concetto e su questo valore che si fonda il libro Let’s Wake Up, italics! Manifesto for a Glocal Future, scritto da Piero Bassetti (imprenditore, politico e primo presidente di Regione Lombardia nel 1970) ed edito, nella sua versione tradotta in inglese, dal John D. Calandra Italian American Institute. Un libro che Bassetti non esita a definire “politico”, un manifesto che si rivolge alla

comunità degli italici e non solo e che riflette sul concetto d’identità, in un mondo che sta cambiando e continua a cambiare. Mercoledì, al Consolato Generale d’Italia, ha avuto luogo la presentazione del libro in inglese. Un incontro aperto dal Console Generale d’Italia Francesco Genuardi, che ha evidenziato l’importanza di “dibattiti come questo, coerenti con la missione del Consolato di coinvolgere i cittadini che vivono qui anche da un punto di vista culturale”, e di farlo specialmente a New York, “il cui popolo di italici è più nutrito che altrove”.
Già, ma chi sono gli italici? Il dibattito è aperto da più di vent’anni e a introdurlo era stato allora proprio l’autore del saggio, Piero Bassetti. Che nel suo libro, già a pagina 2, spiega come gli italici non siano “solo i cittadini italiani in Italia e all’estero. Sono, infatti, anche le persone del Canton Ticino, della Dalmazia e di San Marino, così come lo sono i loro discendenti; gli italo-americani, quelli delle due Americhe e dell’Australia”. Ed è in questo contesto che tre persone così diverse come il Papa argentino venuto dall’altra parte del mondo (ma con papà e mamma emigranti piemontesi), un primo cittadino come De Blasio (newyorkese nato a Manhattan, cresciuto a Brooklyn ma con origini che si affondano nelle province di Benevento e Matera) e un pilota australiano come il top-driver del team Red Bull (conosciuto nel paddock di Formula 1 per il suo sorriso sincero, ma anche per avere papà messinese e mamma di origini calabresi) rappresentino in realtà tre facce di una stessa medaglia. Tre volti che sono stati citati, insieme ad altri, nel corso del dibattito e da tenere bene a mente quando si parla di italici.
Una medaglia che però non fa distinzioni “di sangue”. Perché come ha spiegato nel libro e ribadito nel corso della presentazione, Bassetti considera italici anche “tutti quei popoli che non avrebbero nemmeno una goccia di sangue italiano nelle loro vene, ma nonostante ciò abbracciarono i valori e lo stile di vita del nostro Paese e condividono i nostri modelli di comportamento”. Coinvolgendoli, di fatto, in una comunità di oltre 250 milioni di persone in tutto il mondo, che non si sono perse di vista per corrispondenza, che hanno fatto network sfruttando l’opportunità offerte dalle nuove tecnologie (e, oggi più che mai, dal digital) e gettato le basi per iniziative imprenditoriali di ogni genere e in ogni settore: alimentazione e ristorazione, IT e TLC, editoria e trasporti, import ed export.

Piero Bassetti è conosciuto, tra le altre cose, per una frase che gli viene spesso attribuita: “Fatte le regioni, ora va fatto il regionalismo”, disse anni fa. Come a dire, trovato il contenitore istituzionale della regione, era necessario riempirlo di valori per darne davvero un significato. Il dibattito sulle regioni oggi è ancora aperto, seppur per motivi diversi. Ma il tema dei valori ritorna anche quando si parla di italici. E lo si ritrova, non a caso, anche tra le righe del titolo del libro. Cinque parole, una virgola, un punto esclamativo: “Let’s Wake Up, italics!”. Come a dire, trovato il contenitore (i milioni di italici, le 70 little Italy nel mondo, le società spontaneamente “made by italics”, più che “made in Italy”) e compresa la teoria, ora cerchiamo di capire davvero chi siamo e di passare ai fatti. E la domanda, a questo punto, sorge spontanea: come farlo? Che succede, dopo?
La chiave, parole di Bassetti, si trova in tre fasi: Wake Up, Education e Internet. “Svegliarsi è difficile ed è il primo passo, ma il secondo è quello di rinsaldare e ricostruire un approccio politico che vada oltre il punto di vista geografico – ha detto durante la presentazione. Credo che se riuscissimo a muoverci in questo scenario, riusciremmo ad andare oltre i concetti tradizionali di oggi o di ieri: il termine italici si rivolge a una democrazia mondiale dove il glocale supera sia il locale che il globale”. Una democrazia che secondo Bassetti, presidente anche di una fondazione, Globus et Locus, nata proprio con questa mission, funziona se i popoli si ritagliano il ruolo che si meritano e se le élite “vengono allenate, educate e preparate a questa nuova categoria ‘mentale’ che vede come protagonista una scolastica italica e non una semplice scuola italiana nel mondo e l’utilizzo cosciente delle tecnologie”. Perché “anche se è difficile parlare di élite oggi, lo si deve continuare a fare: una democrazia funziona, anche se non soprattutto, se la classe dirigente è preparata e rispetta i cittadini da cui viene scelta”. Il tutto legato a una lingua che non deve necessariamente essere quella italiana, anzi: a una domanda dal pubblico su quale fosse il punto di incontro, Bassetti ha sottolineato come “dipenda dal Paese in cui ci si trova: ora siamo qui e stiamo parlando di questi temi in inglese, ma fossimo stati in Spagna lo avremmo fatto in spagnolo. La condivisione di valori vale più della lingua da usare”. Mentre alla domanda, sempre dal pubblico, se la sua teoria non fosse troppo teorica e poco pratica, Bassetti ha risposto evidenziando che i grandi processi nascono dai valori, visti come base di partenza per ogni azione pratica. E ha portato un esempio d’eccellenza: gli Stati Uniti d’America, fondati proprio tramite i valori espressi da coloro che fuggirono dall’Europa alla ricerca della libertà. Nulla, insomma, si crea dal nulla.

Il dibattito è stato coordinato da Rodrigo Rodriquez, chairman di Material Connexion Italia e impegnato con Bassetti nella promozione della Schola Italica di recente inaugurata a Monza. Nel corso del dibattito è intervenuto anche Fred Gardaphe (professore di Italian American Studies presso il Queens College), autore della prefazione del libro: “Sono cresciuto a Melrose Park, una periferia italo-americana di Chicago e ho imparato a conoscere i valori italiani più dalla little italy di Chicago che altrove” ha detto nel suo intervento, evidenziando: “Viviamo in un mondo fatto di culture e nazionalità diverse, che creano un ponte culturale e linguistico naturale, un ponte che unisce le little italy alle città, le città agli stati americani, gli USA al resto del mondo: in questo contesto, il libro di Bassetti va oltre i confini conosciuti tradizionalmente e rende umano il concetto di italici”.
Presente anche il Prof. Anthony Julian Tamburri (Dean del John D. Calandra Italian American Institute che ha edito il libro e columnist per La Voce di New York), che ha sottolineato l’importanza di annullare “le distanze tra gli Stati tradizionalmente riconosciuti, ma anche quelle tra italici e italiani”, due termini che se male utilizzati creano distinzioni che non esistono nella realtà. Ed è proprio sul concetto di reale che è intervenuta invece Jhumpa Lahiri, scrittrice newyorkese, premio Pulitzer per la narrativa nel 2000 e autrice di un libro in italiano (“In altre parole”), grazie al quale nel 2015 ha vinto

il Premio Internazionale Viareggio-Versilia: “Quanto Bassetti scrive nel libro non è utopia, ma una realtà che si vive quotidianamente: ho rivisto molto di ciò di cui parla nella mia storia personale e credo sia coerente coi tempi che stiamo vivendo oggi, nonostante i tentativi di chiusura che si stanno registrando in ogni parte del mondo”. Del resto, Jhumpa Lahiri è l’esempio lampante di cosa possa significare il termine italica: nata in Inghilterra ma di origini indiane, cresciuta negli Stati Uniti e innamoratasi dell’Italia, ha vissuto a Roma tre anni diventando, proprio lo scorso 2 giugno, Cavaliere OMRI della Repubblica Italiana. Oggi, come ha ricordato, ha “tre passaporti e una nazionalità che non posso ben definire”.
I tentativi di chiusura di cui ha parlato Jhumpa Lahiri, però, a conti fatti non sembrano poter arrestare alla fine il processo in corso, che permette di accomunare un Papa Francesco a un Bill De Blasio e un Bill De Blasio a un Daniel Ricciardo. Un processo dove locale e globale si intrecciano e si evolvono nel glocale, in cui le lingue sono considerate come strumento aggregativo e non come ostacolo identitario e dove il concetto di “Make the World Great Together” battezzato anche dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, può ancora prevalere sul “Let’s Make America Great Again” di trumpiana memoria.