Secondo un noto proverbio cinese, “mangiare è uno dei quattro scopi della vita… Quali siano gli altri, però, nessuno lo ha mai saputo”. Tutto il mondo sta scoprendo l’importanza del mangiare bene, valorizzare la cultura del cibo, le materie prime e il processo di produzione. E l’Italia mostra la via.
Riassumere in poche parole la 63ª edizione del Summer Fancy Food Show, svoltasi al Javits Center di New York dal 25 al 27 giugno 2017, è difficile. Quasi impossibile. I numeri, però, possono aiutare: la fiera organizzata dalla Specialty Food Association ha ospitato più di 180.000 prodotti e oltre 2.400 espositori da 50 Paesi diversi; l’Italia è stata vera protagonista con più di 300 aziende raccolte nei 284 stand del padiglione italiano, il più grande tra le aree nazionali, più altre decine di aziende sparpagliate nel resto della fiera. Nel cuore del sito espositivo, l’area italiana quest’anno si è presentata in versione rinnovata: per l’edizione 2017 sono stati ripensati gli stand e realizzati degli spazi più accoglienti per distributori e produttori, con una rivisitazione complessiva del design. Come ogni anno, la presenza dell’Italia al Fancy Food è stata organizzata e coordinata dalla Universal Marketing.
Specialty Food Association e Universal Marketing hanno accolto il gruppo di aziende italiane in partnership con l’Italian Trade Agency (ITA) che ha partecipato al Fancy Food in collaborazione con Ministero dello Sviluppo Economico, Ministero delle Politiche Agricole e Forestali, Federalimentare, CIBUS, Tuttofood e Vinitaly. Il direttore ITA, Maurizio Forte ha commentato: “I dati export ci confermano l’ottimo lavoro delle aziende italiane. Da parte nostra stiamo dando tutto il supporto istituzionale, attraverso, ad esempio, il grande piano speciale di promozione negli Stati Uniti e i dodici accordi stretti finora con la grande distribuzione, grazie ai quali sono entrati 450 nuovi fornitori”. All’interno del Fancy Food, l’agenzia ITA ha fornito alle aziende espositrici servizi informativi e di assistenza e si è occupata di invitare gli operatori americani del settore a visitare il Padiglione Italia e a degustare i prodotti esposti, coordinando anche l’allestimento degli spazi per show cooking, meeting, area caffè e il wine bar curato da Vinitaly International.
Tra le novità di quest’anno, l’iniziativa in collaborazione con il Ministero delle Politiche Agricole e Forestali che ha visto protagonisti degli show cooking nella meeting area solo prodotti IGP e DOP (Indicazione Geografica Protetta e Denominazione d’Origine Protetta) delle varie regioni italiane: “Un modo in più per mettere in mostra le nostre eccellenze territoriali”, a commentato Maurizio Forte.
A dare il benvenuto alle aziende anche il dirigente del Ministero delle Politiche Agricole e Forestali, Luigi Polizzi e il console generale d’Italia a New York Francesco Genuardi.
La Calabria fa notizia
Occasioni come il Fancy Food consentono al made in Italy di mettere in vetrina le proprie migliori qualità. Ma quando si parla di alimentazione, gli occhi sull’Italia sono sempre puntati: un servizio del National Geographic del 2013, ad esempio, collega la dieta mediterranea alla longevità partendo da studi dell’Università della Calabria e della University of South California di Los Angeles sui centenari calabresi. Un riconoscimento con cui la Regione Calabria, anche sulla scia della recente menzione di The New York Times tra i posti da visitare nel 2017, si è presentata al pubblico del Fancy Food – unica regione d’Italia presente con un proprio stand – impegnata in una campagna di promozione del proprio territorio e dei suoi prodotti: “Questa dieta tradizionale, ricca di proteine vegetali ma povera di proteine animali, è stata valorizzata per la bontà dei suoi elementi e l’obiettivo delle due università e di cercare di recuperarla”, ci ha detto dallo stand calabrese Giuseppe Passarino, professore straordinario di Genetica del Dipartimento di Biologia a Reggio Calabria. Anche perché, come spiegatoci da Martina Bonofiglio, biologa nutrizionista, è in via di realizzazione oggi una nuova piramide alimentare dal nome PAST, “dove alla base, per una dieta sana e longeva, troviamo proprio i prodotti vegetali e la frutta, tipici del nostro territorio calabrese”.
Italia da premio
Il Padiglione Italia è stato anche la sede degli Italian Food Awards, una produzione della rivista Food, in collaborazione con Universal Marketing e Specialty Food Association. Tredici i premi, decretati da una giuria composta da giudici americani e consegnati a dodici realtà diverse, che sono emerse per l’eccellenza dei loro prodotti e per la capacità di innovare.
Vincitori o meno, il Fancy Food Show 2017 è stato una vetrina per il made in Italy di qualità. In un contesto in cui il consumer si fa prosumer, l’acquirente vuole sapere quali sono i processi dietro ciò che acquista e consuma e, in epoca di storytelling, raccontare la storia che c’è dietro al prodotto diventa imperativo. Con il loro radicamento sul territorio e le origini famigliari, le aziende italiane più di altre riescono ad arrivare al consumatore americano con una storia di autenticità ed eccellenza. Nei corridoi del Summer Fancy Food Show abbiamo incontrato tante di queste storie, assaggiando e spizzicando dall’antipasto al dolce, come in un enorme banchetto. Le tante aziende incontrate compongono l’ossatura classica di un “menù all’italiana”, tra tradizioni del passato e sfide per il futuro di un made in Italy che sa essere competitivo in un mercato in continuo cambiamento.
Antipasti – Sapore di mare
In un antipasto all’italiana, si sa, i colori sono fondamentali. La Vucciria, un’azienda siciliana appena affacciatasi sul mercato americano, ha scelto con i suoi prodotti di offrire l’estrema qualità all’interno di un packaging ricercato, che ricalca i colori e il calore della Sicilia. Antonio Di Dio, general manager dell’azienda che prende in prestito il nome dall‘iconico mercato di Palermo, ha spiegato: “Con i nostri prodotti, come la crema di pistacchio dalla Valle dell’Etna e il tonno in scatola, cerchiamo di portare l’eccellenza dei prodotti italiani fuori dai confini della nostra penisola”.
Ma antipasto, in Italia, può voler dire tante cose. E così in America. Lo sa bene Renna – Antipasti, fondata a Fasano (Brindisi) nel 1967 da una famiglia di pescatori e presente negli USA dal 1993 con antipasti di mare, melanzane, polpo e alici: “Siamo entrati sul mercato seguendo il flusso migratorio degli italiani, che ci ha permesso di capire dove fosse meglio investire e quando”, ci ha spiegato Francesco Renna, che ha preso le redini della terza generazione nell’azienda e ha visto da vicino le prerogative del mercato americano. “L’utilizzo dei nostri prodotti, qui, non è così diverso rispetto all’Italia. È sicuramente diversa però la tipologia di mercato in cui si inserisce”, ha concluso.
Primi – Pasta in tutte le salse
Il piatto forte del menù italiano è sempre il primo. E la varietà dei prodotti italiani permette a un consumatore di imboccare varie strade. Classico dei classici è la pasta. Quest’anno al Fancy Food tra gli show cooking organizzati dall’ITA nella meeting area e i vari stand delle aziende, si spadellavano a ciclo continuo spaghetti e tagliatelle, rigatoni e fusilli. E immancabile era la fila davanti allo stand de La Pasta di Camerino, dove ai fornelli c’era la cuoca abruzzese Rosanna Di Michele. Fondata a Camerino (Macerata) nel 2002, quest’azienda è presente sul mercato statunitense da due anni ed è stata premiata da Gambero Rosso per la sua qualità. “L’impasto segue alla lettera la tradizione marchigiana: otto uova per ogni chilo di semola, impastato tre volte per 30 minuti”, ci ha spiegato Federico Maccari. Tradizione, però, fa rima con innovazione: “Nel mercato americano di oggi è fondamentale far vedere cosa ci sia dietro al prodotto e noi abbiamo scelto di utilizzare Shazam per dimostrarlo”. Come? “Facendo una foto con il cellulare a un codice che si trova dietro i nostri prodotti, si può scoprire attraverso l’applicazione da dove vengono le materie prime, come vengono lavorate e in che modo utilizzarle”.
Non c’è pasta senza salsa e un buon sugo come quello di Italianavera, presente sul mercato USA dal 2015, non può che esaltare una buona pasta: se ne accorgono anche gli americani. Come ci ha spiegato Diana Attianese,“il mercato americano consuma molti sughi, ma molto standardizzati. Con prodotti come il nostro ‘Mammamia’, cerchiamo di rievocare i gusti autentici che riportano al vero valore del sugo italiano”.
E se non è pasta, può sempre essere riso. Un prodotto poco capito dagli americani, ma dal potenziale enorme: “Siamo un’azienda agricola che produce riso e che si pone sul mercato consumer nelle vesti di risotteria”, ci ha raccontato Gianmaria Melotti della Riso Melotti che qui a New York gestisce anche un ristorante specializzato in risotti, appunto. Giammaria Melotti ritiene che per riuscire a distinguersi su questo mercato si debba“smettere di prendere in giro gli americani con ingredienti di cattiva sostanza: sono curiosi e apprezzano i dettagli della storia che permette al prodotto di finire sulla loro tavola”.
Fare una pasta o un riso, però, richiede tempo. E allora c’è chi si è ingegnato per garantire a che a chi va di fretta un pasto all’italiana buono e sano, garantndo la qualità della pasta artigianale con un metodo di preparazione simile a quello dei noodles asiatici in scatola. “Per noi europei sembra impensabile, ma per un americano poter acquistare un prodotto di qualità in scatola, al dente e certificato, rappresenta una novità straordinaria”, ci ha raccontato Alvise di Canossa della Pasta di Canossa, presente a Ferrara da cent’anni e da poco in America. Nella sua semplicità, questa pasta è una novità assoluta: basta aggiungere pochi cucchiai d’acqua alla pasta precotta e poi essiccata per avere un primo all’italiana in pochi secondi.
Secondi – Un buon piatto freddo?
Siamo ormai nel pieno della stagione calda e nessuno ha voglia di mettersi ai fornelli. Il menù italiano è ricco di alternative per un buon piatto freddo. Gli ingredienti non mancano. I produttori al Summer Fancy Food 2017, nemmeno. È il caso di Mò Bufala, un caseificio di Andria aperto da circa un anno e con già all’attivo 300.000 euro di fatturato nel 2016, con previsioni di crescita enormi per il 2017: “Quest’anno puntiamo al milione”, ci hanno fatto sapere dall’azienda. I punti di forza sono chiari: la capacità di produrre una mozzarella di bufala dalla qualità estremamente elevata, coprendo le quote di un mercato di nicchia ed evitando i consorzi. “Le industrie americane sono state favorite dalla nostra incapacità di valorizzare i prodotti nostrani, ma crediamo si possa cambiare il trend”.
E si sa, una buona mozzarella si abbina bene con gli affettati: dal prosciutto cotto alla bresaola, dai salumi alla pancetta. Fino a un buon prosciutto crudo, per la cui importazione negli USA sono di recente cambiate le regole e l’unione fa la forza: “Esportiamo il nostro prodotto da quando hanno aperto il mercato e in questi vent’anni, coordinandoci con il consorzio, la difficoltà è stata quella di fronteggiare i tentativi di Italian sounding, difendendo le nostre denominazioni geografiche attraverso un’attività di educazione”, ci ha detto Mattia Zambroni, responsabile del San Nicola di Parma.
Piatto unico – La regina d’Italia
Se poi si vuole invece il piatto unico, a mettere tutti d’accordo c’è sempre lei: la regina della tavola italiana, la pizza. Al Fancy Food ce n’erano di tutti i tipi, da quella al forno a legna a quella confezionata e pronta da mangiare. E se è vero che gli americani hanno ormai interiorizzato questo piatta assecondandolo al proprio gusto tanto da dimenticarne le origini italiane, quel che può ancora fare la differenza è un buon impasto: a ritagliarsi un ruolo di primo piano è quindi la farina. “Non possiamo dire agli americani come condire la pizza, ma possiamo proporre al mercato una base su cui farla qualitativamente meglio”, ci ha detto Massimiliano Bertuzzi, sales manager della Molino Pasini.
Condimenti – Un pizzico di sale e un filo d’olio
Senza condimento, però, non c’è né primo né secondo che tenga. Ed è per questo che un buon olio o un buon sale possono fare la differenza. Lo sa bene l’azienda Filippo Berio, da 150 anni leader di settore nella produzione di olio d’oliva e che quest’anno festeggia ricominciando da “un anno zero”: “Filippo Berio era un pioniere e un innovatore – ci ha detto Marco de Ceglie, chief executive officer – Il nostro spirito quindi è quello di dirigerci verso i nuovi consumatori: di recente siamo entrati su Amazon e dal 29 giugno, all’interno delle iniziative per i nostri 150 anni, è partito un food truck on the road che andrà in giro per tutti gli Stati Uniti dimostrando 150 modi di usare l’olio Berio”.
Ma se Filippo Berio è una grande e consolidata realtà negli USA, c’è chi su questo mercato ha voluto presentarsi con un’etichetta specifica, quella del biologico: il calabrese Oleificio Gabro, di Sibari. Presente in Calabria da tre generazioni, è stato il primo a ottenere la certificazione bio nel 1988: “Curiamo tutta la filiera e siamo molto forti, da anni, all’estero, dove la cultura del bio ha trainato il nostro mercato”, ci ha detto Giovanna Brogna.
Non solo olio però. Molti non lo considerano e in troppi lo sottovalutano, ma non bisogna dimenticarsi del sale. Specialmente del sale grosso, così sconosciuto per gli americani: “Il nostro sale, all’interno dei bacini, viene prodotto tutto l’anno – ci ha detto Giulio Piazzolla, della SAI Sali Alimentari e Industriali – Ma la raccolta avviene a cinque anni, così da ottenere cristalli molto rigidi e molto bianchi, di piena qualità”.
Dessert – L’Italia in un panettone
Dopo un pasto abbondante, un po’ di dolcezza. Per il dessert la scelta è ampia e anche se il panettone non è tipicamente un dolce estivo, la qualità dei prodotti Fiasconaro non conosce stagioni: “Siamo pasticceri nell’anima: copriamo un segmento di mercato gourmet, di alta qualità e continuiamo ad evitare la grande distribuzione”, ci ha raccontato lo chef di casa Nicola Fiasconaro. Le ricette sono sue e sua è stata l’idea di mettersi a fare panettone: “All’inizio è stato difficile far accettare l’idea di un panettone che arriva dalla Sicilia e non dal Nord Italia, ma il consumatore va abituato senza forzarlo”.
Per chi volesse conservare il panettone per Natale, al Fancy Food non mancano le alternative. È il caso dei dolci di Forno d’Asolo – La Donatella, entrati nel mercato americano insieme nel 2016: “Ci vuole tanta pazienza e impegno – ci ha confidato Alberico Marotta, regional sales manager – ma il mercato c’è e la richiesta sta iniziando: tra i dolci più amati dagli americani ci sono la torta di ricotta e pera e il babbà al limoncello. Senza dimenticare un grande classico: il tiramisù”.
Caffè & Ammazzacaffè – Concludere in bellezza
E un caffè per concludere in bellezza? Sulla famosa bevanda il dibattito è ancora aperto e fa sorridere pensare come negli Stati Uniti il caffè espresso diventi sempre più popolare proprio quando in Italia c’è chi è pronto ad abbracciare Starbucks e i suoi “beveroni”. In questo contesto posizionarsi sul mercato non è facile e per questo, come ci spiegano da Caffè Trombetta, da vent’anni sul mercato americano, “bisognerà puntare sulle comunità locali attraverso un processo di educazione e provare a far conoscere il caffè nostrano alle generazioni giovani in continuo movimento nel mondo”.
Cena finita? No, non proprio. Perché nel tipico menù all’italiana non ci si alza da tavola fino a quando non è stato servito l’ammazzacaffè. In Italia è un must, ma in America? “Non ancora, anche se si sono sviluppate nuove mode emergenti soprattutto negli ultimi tre anni”, ci ha spiegato Alessio Pane, vice presidente della Distilleria F.lli Caffo per gli Stati Uniti, che ha portato oltreoceano l’Amaro del Capo. “Il concetto di ammazzacaffè a tavola non può esistere negli Stati Uniti, ma sono sempre di più i bartender che utilizzano il nostro prodotti per cocktail di alta qualità”.
Perché, spiegato il prodotto e garantiti gli standard, il mercato americano può potenzialmente accogliere, a braccia aperte, qualsiasi novità dall’Italia. Purché sia di qualità, of course.
Guarda il nostro video del Summer Fancy Food Show.
Allegra De Lorenzo ha contribuito alla stesura di questo articolo.
* errata corridge: in una prima stesura dell’articolo avevamo erroneamente inserito il nome di Agostino Iacobucci, come produttore della Pasta di Canossa. In realtà si trattava di Alvise di Canossa, con cui abbiamo conversato in fiera del prodotto “Pasta di Canossa”.