Giusy Sciacca, nata a Lentini, vive tra Roma e Siracusa. È controllora del traffico aereo (e ci tiene all’uso del femminile!), autrice di racconti, romanzi, testi teatrali e oggi si occupa di progetti di implementazione tecnologica. Ha fondato il blog Parola di Sikula, dedicato ai libri e alla cultura. È ideatrice e curatrice del Premio Nazionale di Poesia Sonetto d’Argento Jacopo da Lentini. Scrive di cultura in molti giornali, incluso il nostro. L’abbiamo raggiunta in Sicilia per farci raccontare del suo ultimo libro Virità, femminile singolare-plurale (Kalòs, 2021).

Come nasce l’idea del titolo?
“Ci ho pensato molto prima di arrivare a un titolo che racchiudesse tutto il senso del mio progetto. Che fosse evocativo e ben chiaro al tempo stesso. Ognuna delle mie protagoniste narrava una sua testimonianza, una sua verità che non sempre coincideva con quella giunta fino a noi. Di alcune la vicenda era così sedimentata da sembrare quasi impossibile da scavare, da scalfirne la crosta degli anni, perfino dei millenni e del mito in alcuni casi. Di altre, invece, non c’era nulla se non una leggenda, un nome come unico superstite dell’oblio. C’era dunque un’altra verità che bussava. Era la voce vera, o almeno ipotizzabile, di ognuna di loro libera di far fluire i propri pensieri senza filtri. Una verità singolare perché intima e plurale perché comune attraverso la distanza nel tempo e del contesto socioculturale”.
Attraverso i racconti delle protagoniste – Aretusa, Santa Lucia, Cleopatra di Sicilia, Damarete di Agrigento, Peppa la Cannoniera e molte altre – si narra la storia e il patrimonio culturale che appartiene all’Italia. Quale tra i vissuti di queste donne è quella che di più l’ha colpita ?
“Ha detto bene, un patrimonio culturale e una storia vastissima. Quella mediterranea, quella dell’Italia. E «l’Italia senza la Sicilia, non lascia nello spirito immagine alcuna. È in Sicilia che si trova la chiave di tutto», scriveva Goethe ed è inconfutabile che la Sicilia sia stata lo scenario di ogni pagina della cultura mediterranea ed europea. Le protagoniste di Virità vivono la loro storia, molte di esse combattendo in trincea forse, ma non nelle retrovie. La determinazione di Cleopatra, la statuaria Damarete, una donna dalla diplomazia titanica, l’urlo straziante di Peppa, la voglia di libertà di Aretusa e il desiderio di Lucia di dormire per sempre in Sicilia. Potrei continuare ancora. I venti profili di Virità sono quelli che ho sentito più vicini in questo momento. E già questi sono il frutto di una ricerca lunga e profonda, forse mai terminata. Mi è davvero difficile nominarne solo una, perché le amo tutte. Sono entrata e uscita da ognuna di loro e reciprocamente ne abbiamo tratto qualcosa di nuovo. Ho lasciato un po’ di me e loro mi hanno arricchita di consapevolezza”.
Nel suo libro c’è una stratificazione linguistica, da un racconto all’altro si parla in greco, latino, arabo, ebraico fino all’arbëreshe. E il siciliano è quello impregnato di suoni e parole di origine lontana. Come è riuscita attraverso diversi linguaggi a dare una voce unica a tutte queste donne nel rispetto del loro ceto di appartenenza?
“Mi sono laureata in lingue e letterature straniere a Catania e la mia passione per lo studio delle lingue non mi ha mai abbandonata. Mi ha sempre affascinato l’idea di appartenere a un’Isola che nel susseguirsi dei secoli è stata una grande Babele al centro del Mediterraneo. Le donne di Virità vivono in periodi diversi e dispongono di mezzi culturali ed espressivi spesso agli estremi. Dalla lingua di una colta regnante della Magna Grecia come Damarete alla lingua melodiosa della regina Costanza, influenzata dai sonetti di Jacopo da Lentini. Dall’uso quasi mistico della lingua di Santa Eustochia al dialetto catanese dell’analfabeta garibaldina Peppa o della popolana Giovanna Bonanno, l’avvelenatrice palermitana. È stato sfidante rendere la loro voce nel rispetto di chi erano veramente. Ma volevo che fossero il più autentiche possibile”.
Lei come le protagoniste del suo libro, è una donna forte e determinata, che svolge una professione delicata e stimolante, controlla il traffico aereo. In cosa consiste il suo lavoro?
“È un bellissimo mestiere e sono felice di poter portare avanti le mie passioni: da un lato gli aerei, il volo e il mondo degli aeroporti, dall’altro la scrittura. Ho lavorato per circa tredici anni in torre di controllo a Milano Linate indossando le cuffie davanti a un radar e guardando la pista affinché ogni decollo e ogni atterraggio si svolgesse nella massima sicurezza. Da due anni circa lavoro a Roma e mi occupo anche di progetti di implementazione tecnologica negli aeroporti italiani perché il mondo aeronautico è per sua natura sempre in continuo movimento”.

Un lavoro che nasce tutto al maschile, in Italia la prima donna controllore si è avuta nel 1990. Da allora la percentuale di donne sembra essere sempre più in cresciuta. Ha dovuto guerreggiare come le donne dei suoi racconti per inserirsi nel mondo dei piloti ?
“Sì, le prime donne italiane hanno iniziato a prestare servizio nel controllo del traffico aereo civile dal 1990 in poi e da allora il mondo dell’aviazione ha continuato ad attrarre un numero sempre maggiore di donne che intraprendono questo avvincente percorso professionale. Per rispondere alla sua domanda, credo che per entrambi i sessi sia la professionalità e la capacità di credere in se stessi a contare, a prescindere dai contesti. Spesso, come donne, dobbiamo guerreggiare innanzi tutto con noi stesse per convincerci che nulla è impossibile. E se ci crediamo noi, saremo capaci di convincere chiunque”.
Un passeggero che prende un aereo non sa che c’è una sorta di sala regia che lavora dietro per portarlo in sicurezza a destinazione. Rischi e le responsabilità, che richiedono rigore, lo stesso che ha utilizzato per selezionare le donne dei suoi racconti? Come è avvenuta la scelta?
“Non mi era mai capitato di pensare all’architettura di un libro come al risultato di un lavoro di regia simile a quello delle sale operative. Bizarro, ma in qualche modo lo è! Tutta la parte della ricerca storiografica che ho condotto e la scelta delle protagoniste corrisponde a una fase che potremmo definire di “pianificazione strategica” in termini aeronautici. La parte della narrazione creativa invece a una “gestione tattica”, perché spesso sono i personaggi stessi a deviare in fase di stesura dal percorso che avevi calcolato in principio. E in quel momento, con attenzione, è l’autrice, pur ascoltando le loro richieste, a far sì che i personaggi siano efficaci e coerenti con il resto del contesto. Delle venti donne, fin troppo poche rispetto a quelle che ho approfondito, alcune mi stavano a cuore da sempre, di altre mi sono innamorata strada facendo. Ma sono quelle che, come detto poc’anzi, ho sentito sicuramente più vicine in questo momento”.

(Wikipedia)
La Sicilia, la meravigliosa terra della fecondità e della floridità, nel suo libro ce la racconta come una madre accogliente ma è anche un ‘isola sopravvissuta, a guerre, conquiste, violenze, un’ isola che non si scoraggia. Insomma la Sicilia è donna?
“Sì, assolutamente. Madre accogliente e figlia scapestrata, ammaliatrice e tentatrice, devota e meretrice, santa e pagana. Singolare e plurale nella sua smagliante multiformità genetica”.
Dalla sua torre di controllo qual’è la parola o la frase delle sue protagoniste che più desidera che arrivi ai cuori dei suoi lettori?
“…e io qui, ispirata ancora, muoio e rinasco, libera di volare sulle ali della poesia senza catene” Sono le parole finali dell’ultimo racconto che, nella mia versione di Mariannina Coffa, la poetessa di Noto pronuncia. Il messaggio di una donna che oltre le dimensioni può volare sulle ali dell’arte senza alcuna costrizione, in libertà. Era l’obiettivo del mio progetto”.