“Abbiamo bisogno di alimentare e incoraggiare un processo di rieducazione della società, della collettività, con l’obiettivo di pensare più profondamente alla nozione di italics. Anche se certo, lo dobbiamo fare in questo momento storico che, per i motivi che conosciamo, è più duro di altri”. Il professor Anthony Julian Tamburri, Dean del John D. Calandra Italian American Institute, ha introdotto il simposio “Cultural Heritage Memory – Negotiating the Past in Order to Build on the Future” così. Con un monito e un auspicio: “Mi piace l’idea di cosmopolitanism che si trova alla base del concetto di italics e penso che lo si debba continuare a incoraggiare e a proteggere”.

L’iniziativa, organizzata martedì 14 novembre al John Calandra Institute, è stata un’occasione per riflettere sul significato di identità nel mondo oggi. Com’è cambiato il suo significato negli ultimi decenni, che ruolo si sta ritagliando nella società globalizzata ma al tempo stesso ancorata alle proprie tradizioni di oggi, e cosa potrà rappresentare in futuro. Grande ospite della serata, alla quale sono intervenuti anche Donna Chirico (Professor of Psychology and Dean for the School of Arts and Sciences at York College, CUNY), Fred Gardaphé (John D. Calandra Italian American Institute, Queens College) e Maddalena Tirabassi (Centro AltreItalie) con tre presentazioni diverse, è stato Piero Bassetti, che ha discusso con loro e con il pubblico del suo libro Let’s Wake Up, Italics!.
Il saggio di Bassetti, primo presidente di Regione Lombardia e presidente di Globus et Locus, Associazione di Istituzioni che si prefigge di analizzare il rapporto tra “globale” e “locale”, si pone un obiettivo chiaro: legare la globalizzazione al concetto di local, in nome di una società glocale che sappia valorizzare coloro i quali si sentono italici prima ancora che italiani. Perché, come precisato e spiegato in numerose occasioni anche a New York, il manifesto di Bassetti è nato proprio per questo: chiarire un concetto e una definizione di cui si parla e si discorre da circa vent’anni. Gli Italici, riprendendo le parole del libro e anche le riflessioni fatte nel corso dell’incontro, “sono, infatti, anche le persone del Canton Ticino, della Dalmazia e di San Marino, così come lo sono i loro discendenti; gli italo-americani, quelli delle due Americhe e dell’Australia. Lo sono tutti quei popoli che non avrebbero nemmeno una goccia di sangue italiano nelle loro vene, ma nonostante ciò abbracciarono i valori e lo stile di vita del nostro Paese e condividono i nostri modelli di comportamento”. Una comunità enorme, di circa 250 milioni in tutto il mondo, che va alimentata e resa consapevole.

“Oggi c’è un altro rapporto tra passato e presente, rispetto a un tempo. Non possiamo pensare al passato comprendendolo o descrivendolo seguendo ii parametri di oggi, perché anche il presente si sta muovendo e non è statico. Bisogna mettere a sistema il contesto di oggi con il tempo che passa e si deve considerare l’idea che le persone, oltre che i tempi, si muovono più velocemente rispetto a ieri”, ha precisato Bassetti. Che ha parlato anche della necessità di intraprendere una “negoziazione culturale” per precisare il ruolo degli italici nel mondo. Un processo di cui però si deve specificare la sostanza: che sia mentale, che sia legato al modificarsi delle società o che sia connesso alla struttura delle comunità. “Il concetto di italo-americani e di italofoni non è connesso al passato, ma al presente, e si deve capire chi possa essere capace di mediare questo dibattito, chi possa tenere le redini di questa negoziazione culturale con il mondo di oggi” ha proseguito Piero Bassetti. Che ha visto proprio nella mobilità, però, un punto di partenza: “La connessione tra locale e globale è la mobilità, e la mobilità tiene vivo il glocale. Bisogna dimenticarsi di che cosa significassero, in passato, i concetti di locale e di globale. Le accezioni di ieri non sono quelle di oggi”. E un riferimento costante è sempre quello dell’heritage, dell’eredità culturale che non si deve mai dimenticare e che deve essere messa a sistema con la sfida della globalizzazione: “Se vogliamo salvaguardare e tenere vivi i nostri valori, dobbiamo capire la necessità di combattere questa sfida. È questa la raccomandazione che il libro fa a tutti nel mondo”.
Due degli argomenti che più volte sono emersi nel corso dell’incontro, poi, sono stati quelli della figura di Cristoforo Colombo e della nozione di italici dal punto di vista geopolitico. Un tema quest’ultimo su cui ha detto la sua, in un suo intervento, anche l’ex ambasciatore italiano alle Nazioni Unite, Sergio Vento: “Il concetto di italici offre un soffice atterraggio alle tante contraddizioni italiane, perché l’Italia che quando si è unita ha iniziato paradossalmente a produrre emigrazione come mai prima, ha tutt’oggi una società debolissima ma una comunità molto forte”. Mentre su Cristoforo Colombo, una volta per tutte, ha provato a fare chiarezza proprio Piero Bassetti: “Trovo tutto il dibattito che si è creato davvero senza senso, inutile, e da entrambe le parti. Non ha mai toccato gli Stati Uniti, era un marinaio e non era un politico” ha riflettuto il presidente di Globus et Locus. Precisando: “Se fatti spiacevoli di violenza sono successi quando lui era nelle Americhe, sono successi non perché lui fosse un ‘italiano’ o uno ‘spagnolo’, ma per altri motivi legati al contesto storico”. Il concetto di identità, insomma, per Bassetti qui c’entra poco: “È insensato, sia da parte di chi vuole tirarlo giù, sia da parte di chi invece diventa matto per ritirarlo su”.