Traffico di esseri umani: quante volte, negli ultimi anni, abbiamo sentito questa espressione nei notiziari e nei discorsi dei politici, e abbiamo imparato ad associarla al fenomeno dell’immigrazione irregolare. Ed è proprio a tale argomento che il Consiglio di Sicurezza, presieduto dal sottosegretario agli Affari Esteri Vincenzo Amendola, ha dedicato una sua partecipatissima riunione, programmata durante la penultima settimana della leadership di Roma. Una sessione che segue le numerose altre direttamente o indirettamente dedicate, nel corso del mese di novembre, al tema della migrazione, in particolare dall’Africa e dalla Libia, dossier che per ovvi motivi sta particolarmente a cuore all’Italia.
La visita del ministro degli Esteri Angelino Alfano al Palazzo di Vetro della scorsa settimana ha rappresentato un primo momento cruciale per la presidenza italiana sull’argomento, un’occasione per tirare le fila della questione e provare a fare un po’ di chiarezza sulla roadmap della comunità internazionale sull’argomento. E proprio dal palazzo della Missione italiana all’ONU, Alfano ha una volta per tutte chiarito la posizione dell’Italia sull’annosa questione dell’accordo stretto con la Libia e delle inaccettabili condizioni dei migranti bloccati nei centri di detenzione del Paese. Argomento nuovamente assurto all’onore delle cronache dopo la “tirata d’orecchie” giunta dall’Alto Commissario Onu per il Diritti umani al-Hussein, che ha definito il patto sui migranti tra Ue e Libia, senza troppi giri di parole, “inumano”. Una critica – pur nella sua versione letterale diplomaticamente diretta a tutta l’UE – fermamente respinta, perlomeno per ciò che riguarda l’Italia, da Alfano, che ha consigliato ai “professori” di tenere “meno lezioni” e di dedicarsi più alle “buone azioni”, ricordando come il Belpaese, nel finanziare agenzie ONU e Ong, abbia fatto tutto quanto in suo potere perché gli organismi preposti intervengano direttamente a difesa dei diritti umani dei migranti. Qualche ora più tardi, lo stesso Guterres sceglieva però, nel suo statement di ferma condanna delle condizioni di schiavitù in cui versano i migranti in Libia attestate dall’ormai nota inchiesta della CNN, lo stesso range lessicale utilizzato da al Hussein (“humane”) per spronare la comunità internazionale a ristabilire condizioni di vita umane, appunto, tra i migranti e i rifugiati. E sottolineava la necessità di potenziare le vie legali di immigrazione e di incoraggiare ogni iniziativa di cooperazione per combattere il traffico di esseri umani.
In tale scenario dunque, non è difficile comprendere quanto il tema dibattuto dal Consiglio di Sicurezza non solo sia di estrema attualità, ma rappresenti una delle più grandi sfide globali a cui la comunità internazionale è chiamata a rispondere. Proprio in un momento in cui non è chiaro di chi sarà la responsabilità dei prossimi step per ristabilire condizioni, appunto, “umane” per i migranti che giungono in Libia, l’Italia ha voluto presentare una bozza di risoluzione, poi approvata all’unanimità, tesa ad affermare il fermo impegno a contrastare le reti di criminalità transnazionali che si arricchiscono trafficando in esseri umani, specialmente in contesti di guerra e in situazioni dove gruppi terroristici come Daesh o Boko Haram traggono forza e finanziamenti da attività di questo tipo. Attività che, come ha ampiamente spiegato Maria Grazia Giammarinaro, Special Rapporteur on trafficking in persons, hanno come prime vittime donne e bambini, spesso “carne umana” abusata sessualmente e venduta a persone senza scrupoli per ripagare un “debito” altrimenti insanabile. Abusi da cui – è facilmente immaginabile – molte delle vittime non si riprenderanno mai del tutto. Ed è proprio in tale contesto che, ancora una volta, è spiccato forte e chiaro l’impegno sull’argomento di Antonio Guterres, che prima che Segretario Generale fu, è il caso di ricordarlo, Alto Commissario ONU per i Rifugiati. “Commessi nell’ombra, questi atti sono seri abusi dei diritti umani, e possono essere considerati crimini di guerra contro l’umanità”, ha tuonato il Segretario dalla sala del Consiglio di Sicurezza. E ha aggiunto: “Negli ultimi giorni, siamo tutti inorriditi di fronte alle immagini di migranti africani venduti come “beni” in Libia. E’ nostra responsabilità collettiva fermare questi crimini”.
Parole chiare, inequivocabili, anche se applicate a un dossier indubbiamente di complessa risoluzione come quello libico. Parole che sembrano valicare il botta e risposta degli ultimi giorni tra ONU e Governo italiano, e inchiodano la comunità internazionale alla propria responsabilità. “Dobbiamo urgentemente proteggere i diritti umani e la dignità della popolazione migrante. Questo significa portare i colpevoli alla giustizia. Significa aumentare subito gli aiuti umanitari. E significa aiutare le autorità libiche a rafforzare la propria capacità di proteggere uomini, donne e bambini vulnerabili”.
Ma come già precedentemente rimarcato nella dichiarazione rilasciata da Guterres nelle scorse ore, a commento dei video pubblicati dalla CNN, il Segretario Generale ha soprattutto voluto rimarcare la necessità “di creare più opportunità per l’immigrazione regolare, di ristabilire l’integrità del regime di protezione dei rifugiati e di aumentare il numero di rifugiati reinsediati nel mondo sviluppato”. Parole che difficilmente possono essere considerate avulse dalla situazione libica e dalle critiche avanzate all’accordo tra UE e Tripoli e, in generale, dalle politiche migratorie messe in atto in molti Paesi europei – visto che si parla, appunto di “ristabilire l’integrità” del regime di protezione per i profughi –; parole, peraltro, decisamente poco usate da politica e informazione, che troppo poco parlano dell’opportunità di aprire canali legali di immigrazione e troppo spesso si limitano a ribadire la necessità di contrastare l’immigrazione illegale. Sono parole, concedetecelo, scomode: un po’ perché l’apertura di canali regolari e sicuri per migrare è certamente una sfida che pone grandi difficoltà logistiche, un po’ perché l’approccio di molti Paesi europei sarebbe ben più volentieri quello di bloccare ogni via di immigrazione, e spesso l’“illegalità’ di queste ultime rischia di diventare lo specchietto per le allodole per perseguire il ben più ambito fine di bloccare partenze e arrivi. Eppure, Guterres ha rimarcato come proprio qui risieda, in fin dei conti, il “cuore” della questione: perché ad oggi, i canali “legali” di immigrazione sono opportunità difficilmente accessibili e del tutto residuali, e affidarsi ai trafficanti di uomini è pressoché l’unica maniera per fuggire da fame, guerre e povertà.
Non solo: Guterres ha anche sottolineato la necessità di “fare di più per supportare le vittime e i superstiti della tratta. Inoltre, essi dovrebbero essere trattati come vittime del crimine e non detenuti, perseguiti o puniti per attività illegali a cui sono stati costretti ad affidarsi per sopravvivere”. Anche questa, una dichiarazione molto forte, che nuovamente lascia intendere come, in mancanza di canali sicuri e regolari per migrare, non può considerarsi un crimine la decisione dei migranti di negoziare con trafficanti senza scrupoli: perché in ballo c’è la loro stessa sopravvivenza.
Un monito, quello di Guterres, a cui si sono aggiunti i ragguardevoli interventi degli altri relatori: Mr. Yuri Fedotov, Executive Director dello United Nations Office on Drugs and Crime (UNODC), che ha, tra le altre cose, evidenziato il nesso tra traffico di esseri umani e terrorismo; la Special Rapporteur Maria Grazia Giammarinaro, che ha sottolineato come il traffico di esseri umani sia non soltanto una conseguenza dei conflitti ma anche una loro primaria causa, ricordando come la prevenzione e il contrasto del fenomeno non possa essere un obiettivo raggiunto da uno Stato singolo; e Smail Chergui, Commissioner for Peace and Security dell’Unione Africana, che ha parlato del ruolo e dell’impegno di quest’ultima nel contrasto del fenomeno, in un Continente con il più alto tasso di schiavitù in tutto il mondo, che riguarda 7.6 persone ogni 1000.
Lo stesso Rappresentante Permanente USA Nikki Halley ha salutato con soddisfazione l’adozione all’unanimità della risoluzione proposta dall’Italia, ricordando come gli Stati Uniti “sono stato il primo Paese a portare il tema del traffico di esseri umani in contesti di guerra nell’agenda del Consiglio come una questione di pace e sicurezza internazionale nel 2015”. E lo stesso sottosegretario Amendola ha definito il testo approvato all’unanimità un “passo concreto verso la prevenzione e il contrasto di questa piaga”.
Certo: si tratta solo di un primo passo. E’ lo stesso discorso di Guterres, che sprona senza giri di parole la comunità internazionale a fare di più, a dimostrarlo. Un discorso che non fa sconti, soprattutto nel suo rimarcare la necessità di aprire canali legali di immigrazione e nel riportare sul tavolo del Consiglio di Sicurezza la questione dei diritti umani. Proprio a questo proposito, durante lo stake out conclusivo, noi della Voce abbiamo chiesto al sottosegretario Amendola cosa sta facendo l’Italia e la comunità internazionale per rispondere all’appello di Guterres. “E’ un punto su cui stiamo discutendo a livello nazionale e continentale, specialmente a livello europeo”, ha spiegato. “Sappiamo di dover portare avanti, come stiamo facendo con questa risoluzione, azioni per proteggere e difendere gli esseri umani vittime di tratta – anche grazie al coinvolgimento delle agenzie ONU –”, ha aggiunto, rilevando come “la nostra posizione come Italia è sempre quella di supportare l’intervento delle agenzie ONU in tutti gli aspetti – protezione, rimpatri e difesa dei diritti –”. “Allo stesso tempo, questo significa aprire nuove opportunità di immigrazione legale, perché sappiamo che la relazione tra gli Stati e il Continente – parlo dal punto di vista europeo – è basata non solo sull’obiettivo di contrastare il traffico di esseri umani, la schiavitù e i trafficanti, ma anche su quello di aprire canali di immigrazione legali, che per tutti i Governi, e anche quello italiano, è parte di un’azione più comprensiva”.
Abbiamo quindi chiesto conto al sottosegretario Amendola delle parole del ministro degli Esteri Angelino Alfano (“meno lezioni, più azioni”), in risposta alle critiche dell’Alto Commissario ONU per i Diritti Umani al Hussein. “La posizione del nostro Governo, espressa sempre da Alfano ma anche dal premier Gentiloni, è che tutte le azioni che noi, insieme alla presidenza estera, abbiamo portato avanti sulla tratta degli esseri umani devono essere articolate per prima cosa sull’obiettivo di sconfiggere i trafficanti”, artefici, ha detto il Sottosegretario, di una moderna schiavitù che va distrutta, “e nell’affrontare le cause alla radice delle migrazioni”. “Allo stesso tempo”, ha aggiunto, “noi come Italia con molti Paesi africani abbiamo anche dei compact di sviluppo”, ma, nel caso specifico della Libia, “c’è un problema di stabilità politica, e questo fa sì che serva una presenza internazionale” che affronti gli effetti del traffico di esseri umani. E proprio a questo proposito, ha rimarcato il Sottosegretario, “l’Italia ha sempre dato la propria disponibilità, con mezzi nazionali, anche finanziari, e con un sostegno economico ai progetti delle nostre Ong, ma è evidente”, ha sottolineato, “che adesso è necessario che le organizzazioni internazionali come l’OIM e l’UNHCR rafforzino la loro presenza sul campo”. E ha chiosato: “Noi lavoriamo con le autorità libiche per combattere questa piaga”, fermo restando che “l’unica garanzia di diritto internazionale ce l’hanno le Nazioni Unite”. In tutto questo, una cosa è certa: il tempo non gioca dalla nostra parte. Tantomeno, come ha ricordato Guterres, da quella dei tanti migranti vittime di tratta e abusi.
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