“Sono inorridito dalle notizie e dai filmati che mostrano migranti africani in Libia, a quanto si dice, venduti come schiavi”. Non usa mezzi termini il segretario generale ONU Antonio Guterres, nel commentare gli sconvolgenti video pubblicati negli scorsi giorni dalla CNN, che hanno riacceso i riflettori internazionali sulle condizioni dei migranti in Libia. Argomento caldo, caldissimo, tanto in Italia – che, all’interno dell’UE, è stata la principale negoziatrice dell’ormai famoso accordo con Tripoli sul controllo dei flussi migratori –, quanto al Palazzo di Vetro, dove il dossier libico è stato protagonista della presidenza italiana del mese di novembre del Consiglio di Sicurezza ONU. E proprio dalle Nazioni Unite, è bene ricordarlo, negli scorsi giorni è giunto un severo monito da parte dell’Alto Commissario per i Diritti umani Zeid Ra’ad Al Hussein, che ha definito, anche lui senza mezzi termini, “inumana” la politica europea di contenimento dei flussi migratori dalla Libia.
Una dichiarazione, quest’ultima, giunta alla vigilia del viaggio del ministro degli Esteri italiano Angelino Alfano a New York, dove era atteso per presiedere il Consiglio di Sicurezza sul dossier libico. E proprio dalla sede della Missione italiana all’ONU, Alfano, su sollecitazione dei giornalisti, ha risposto una volta per tutte alle accuse rivolte all’Italia in particolare e all’Europa in generale in merito alla condizione dei migranti in Libia: “Io credo che bisogna passare dalle lezioni alle azioni”, ha detto Alfano. L’Italia, ha ricordato il Ministro, “ha salvato mezzo milione di vite umane”. “Quelli che fanno i professori diventino operatori di bene”, ha attaccato. E ha ribadito, ancora una volta, l’impegno di Roma in questo senso: “Noi lo stiamo già facendo: gestendo le nostre risorse nel finanziamento all’UNHCR, finanziando l’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni, e le nostre Ong per andare in Libia e garantire uno standard di diritti umani che sia accettabile”. L’impressione, dunque, è che, per bocca di Alfano, l’Italia abbia ufficialmente “passato la palla” alla comunità internazionale sull’annosa questione dei campi di detenzione libici, dichiarando ufficialmente di aver fatto già il possibile per mettere le agenzie ONU e l’OIM nelle condizioni di agire. D’altro canto, tuttavia, il Consiglio di Sicurezza, nel corso dell’ultimo mese, ha chiarito che la roadmap politica – di risoluzione della crisi attraverso la missione di Ghassan Salamé – è una irrinunciabile precondizione a quella umanitaria che riguarda i migranti – perché, è stato specificato, finché il nodo politico non sarà sciolto, non sussisteranno le condizioni di sicurezza necessarie ad intervenire a loro difesa –.
E proprio in tale rimpallo di responsabilità, dunque, è intervenuto con il suo statement il Segretario Generale. Il quale, dopo aver espresso “orrore” per i filmati visionati, ha fatto appello alle autorità competenti perché non esitino a condurre investigazioni in merito e ad assicurare i responsabili alla giustizia, ma ha anche chiesto alla comunità internazionale di prendere provvedimenti contro quello che a buon diritto potrebbe essere inserito tra “i crimini contro l’umanità”. “Esorto tutte le Nazioni ad adottare e applicare la Convenzione ONU contro il crimine transnazionale e il suo protocollo sul traffico di esseri umani”, ha poi rimarcato. “Questo ci riporta alla necessità di gestire i flussi migratori con un approccio comprensivo e umano”, ha poi sottolineato Guterres, operando una scelta di vocaboli tutt’altro che casuale: “humane”, ha detto, proprio quando il commissario al Hussein aveva definito l’accordo tra UE e Libia “inhuman”. Una convergenza terminologica che difficilmente può considerarsi una coincidenza, e che sembra mandare un messaggio chiaro, seppur necessariamante diplomatico, all’Europa e all’Italia.
Non solo. Perché il Segretario Generale ha scelto di chiudere il suo statement facendo riferimento a una questione spesso ingiustamente ignorata da politica e media internazionali, ma che, in ultima istanza, costituisce il “cuore” stesso della crisi migratoria. Guterres, infatti, ha spronato la comunità internazionale a dedicarsi a un “significativo potenziamento di tutte le vie legali di immigrazione”, oltre che a una efficace cooperazione per contrastare il traffico di esseri umani. E se quest’ultimo punto è spesso al centro dei dibattiti sul tema – e lo sarà anche domani nell’open debate in programma al Consiglio di Sicurezza –, la necessità di potenziare i canali legali di immigrazione è spesso totalmente ignorata dalla politica. Pur essendo, di fatto, il cardine intorno al quale ruota tutto il problema dell’immigrazione illegale.
Perché la verità è che, ad oggi, i canali sicuri e legali per raggiungere l’Europa (come corridoi umanitari o ricongiungimento familiare) sono opzioni difficilmente percorribili e comunque totalmente residuali. L’arma più potente in mano ai trafficanti è proprio il fatto che affidarsi a loro è purtroppo l’unico modo per scappare da fame, violenza, povertà. Un dibattito serio sulle modalità di contrasto dei mercanti di uomini, dunque, non può prescindere da una seria volontà di fornire alternative legali a migranti e rifugiati. Un dibattito che la comunità internazionale esita a intraprendere per la grande sfida che esso apre sotto diversi punti di vista: un po’ perché richiede un indefesso impegno a superare i tanti ostacoli logistici che tale opzione comporterebbe; un po’ perché aprire canali legali significherebbe legittimare il flusso migratorio verso l’Europa, idea su cui – lo si è visto in più occasioni – l’Unione europea (e non solo) è drammaticamente divisa.
Eppure – va da sé – l’apertura di vie legali e sicure di immigrazione salverebbe centinaia di migliaia di migranti dal naufragio, infliggerebbe un colpo mortale alle attività dei trafficanti, e renderebbe totalmente inutile la negoziazione di accordi “inumani” come quello con la Libia. E chissà se, grazie a Guterres, questo ambizioso e desiderabile obiettivo riuscirà finalmente a imporsi nell’agenda della comunità internazionale.
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