Questa ghiandola è molto sensibile all’azione degli ormoni, in particolare di quelli maschili, come il testosterone, che ne influenzano la crescita. È costituita da diversi tipi cellulari ed è proprio dalla crescita incontrollata di queste cellule che talvolta può avere origine il tumore prostatico. Non vi è dubbio che alla base di una anomala crescita cellulare ci sia un complesso insieme di fattori che interagiscono fra loro quali fattori genetici ed ambientali. I sintomi che possono manifestarsi sono eterogenei e, in prevalenza, disturbi di tipo urinario, disturbi associati alla sfera sessuale, o anche dolori di tipo osseo, nelle fasi avanzate della malattia.
Tuttavia, se il tumore viene diagnosticato in fase precoce, può risultare anche asintomatico. In Italia, il tumore prostatico rappresenta la neoplasia più frequente nei soggetti maschili (oltre il 20% di tutti i tumori maschili) di età superiore ai 50 anni. Negli ultimi decenni vi è stato un costante aumento dell’incidenza, registrata grazie alla maggiore diffusione di screening per la diagnosi precoce. Pur essendo al primo posto come incidenza, il tumore alla prostata occupa il terzo posto nella scala nella mortalità (in costante moderata diminuzione del 2,3% per anno). Nella quasi totalità dei casi, il tumore riguarda maschi al di sopra dei 70 anni ed il numero di persone ancora vive dopo cinque anni dalla diagnosi è in media del 91%.
Ad oggi, sono disponibili molti tipi di trattamento per il tumore della prostata, ciascuno dei quali presenta benefici ed effetti collaterali specifici. Solo un’attenta analisi delle caratteristiche del paziente e della malattia permetterà al medico specialista di consigliare la strategia più adatta e personalizzata e di concordare la terapia anche in base alle preferenze del paziente.
In alcuni casi, soprattutto per pazienti anziani o con importanti malattie concomitanti, si può scegliere di non attuare alcun tipo di terapia e di valutare una “vigile attesa” sino alla eventuale comparsa di sintomi. Quando si parla di terapia attiva, invece, bisogna distinguere lo stadio della malattia: se il tumore viene identificato in uno stadio iniziale la scelta spesso ricade sulla chirurgia ovvero la prostatectomia radicale che corrisponde alla rimozione dell’intera ghiandola prostatica e dei linfonodi della regione vicina al tumore. Una valida alternativa alla chirurgia, nei tumori di basso rischio, potrebbe essere l`impiego della radioterapia a fasci esterni o della brachiterapia. Attualmente sono in sperimentazione alcuni trattamenti locali quali crioterapia (utilizzo del freddo) e l`HIFU (utilizzo di ultrasuoni). Laddove non è più possibile intervenire chirurgicamente o con l`impiego della radioterapia, si eseguono trattamenti sistemici come l`ormonoterapia (androgeno-soppressiva) che ha lo scopo di ridurre i livelli di testosterone che però comporta effetti collaterali quali il calo o perdita della libido, disfunzione erettile, vampate di calore, incremento del volume della ghiandola mammaria nota come ginecomastia. Se la diffusione di malattia è prevalentemente viscerale (metastasi al fegato, linfonodi, etc.), la scelta terapeutica ricade sulla chemioterapia. Invece, se la malattia è localizzata prevalentemente alle ossa, si può ricorrere alla terapia radiometabolica che emette un radioisotopo alfa, Radium-223, bersagliando direttamente la malattia.
In corso vi sono studi clinici, di cui non si dispongono ancora risultati conclusivi, che prevedono l`utilizzo di terapie che stimolano il sistema immunitario contro il tumore o immunoterapia (Nivolumab, Ipilimumab). Per il tumore alla prostata la prevenzione resta, teoricamente, lo strumento più adeguato per impattare sulla storia naturale della malattia e ridurre la mortalità. La diagnosi precoce è uno dei capisaldi dell’oncologia moderna. Fare diagnosi precoce significa individuare un tumore in fase iniziale, consentendo di intervenire tempestivamente prima che il tumore divenga avanzato. Identificare un tumore in fase precoce, infatti, aumenta notevolmente la probabilità di guarigione e di poter utilizzare approcci meno invasivi. Il metodo di prevenzione più diffuso e’ rappresentato dallo screening ed in particolare dal dosaggio periodico del PSA. Tale test attualmente viene utilizzato ai fini diagnostici, ma è ancora dibattuto il suo reale valore. Spesso può risultare elevato anche in presenza di una iperplasia benigna della prostata o di infezioni per cui si associa ad un elevato rischio di sovradiagnosi e di overtreatment in circa il 50% dei casi. Pertanto, l’utilizzo di tale test va valutato attentamente in base all’età del paziente, alla familiarità, all’esposizione ad eventuali fattori di rischio ed alla sua storia clinica. Recentemente la comunità scientifica si è esposta, in maniera chiara , circa l’uso improprio di questo test, suggerendolo solo in casi selezionati e dopo adeguata informazione da parte del medico.
Quando si sospetta un tumore alla prostata può essere importante ricorrere ad un ulteriore approccio diagnostico ovvero all`esplorazione digito-rettale della prostata (DRE) da parte di un medico che valuta l’eventuale presenza di noduli sospetti nell’area periferica della prostata. Si ricorda che tale esame clinico non permette di fare diagnosi certa di tumore alla prostata, ma va integrato con il cosiddetto “mapping prostatico” ovvero biopsie di tessuto prostatico eseguite per via transrettale o transperineale, previa esecuzione di ecografia. Tali biopsie, oltre a fornire informazioni sul grado del tumore e, quindi, sull’aggressività, possono indicare anche la sua probabile estensione. Nell’ottica di migliorare l’accuratezza diagnostica nel riconoscimento del tumore alla prostata e di valutare la risposta ai trattamenti specifici per questa patologia, attualmente sono in corso diversi studi clinici che mirano alla validazione dell’impiego di nuovi possibili biomarcatori come il PCA3 (Prostate Cancer gene 3) presente nell’urina, o le CTC (Circulating Tumor Cell) presenti nel sangue.