SETTEMBRE: tempo di primi bilanci della stagione estiva e dei suoi numerosi appuntamenti. Non è facile districarsi nella enorme kermesse di festival e “eventi” (brutto termine, questo, ma ormai entrato nel gergo degli uffici stampa e pubbliche relazioni) che hanno punteggiato i pomeriggi e le serate della Penisola. Diciamolo subito: per lo più grandi abbuffate e bevute, modello sagra paesana. Ma, ovviamente, ci sono state delle eccezioni e mi auguro che ci saranno sempre. Sono state pure parecchie, tanto che è impossibile citarne anche soltanto poche per non fare torto alle altre.
Se alcune, oramai, non hanno più bisogno di pubblicità per affermarsi come momenti di ottima cultura e di confronto intelligente – dal Festival della Mente di Sarzana a quello della Letteratura di Mantova fino al mio piccolo e amatissimo gioiellino delle abruzzesi Pietre che Cantano – altre vanno meritoriamente segnalate: per aiutarle a crescere, per convincere politici distratti e finanziatori dal portafoglio sempre più stretto che ad investire su di loro ci guadagnano tutti nel rispettivo territorio di competenza.
E’ il caso di Officine Mediterranee, alla sua prima edizione in quel di Valderice, splendida località in provincia di Trapani. Il termine mi aveva incuriosita. Così, quando è arrivato l’invito, anziché declinare come faccio quasi sempre, ho accettato, e ho fatto bene. Perché, sorprendendo me stessa, ho partecipato a tutte e quattro le giornate. Divertendomi, sentendomi stimolata dai discorsi e affascinata dalla musica di complessi diversi dal solito: dai greci Evi Evan (altro che sirtaki, quella era roba da Hollywood) a Nour Eddine e la vibrante e attualissima orchestra della Primavera Araba, e, in definitiva, imparando; cosa non facile di questi tempi. Il filo rosso – altra abusata espressione alla quale fare ormai l’abitudine – che ha tenuto insieme la manifestazione è stata quella dell’incontro tra Occidente e Oriente. Quale posto migliore di Valderice, la soprastante Erice e tutto il Trapanese, snodo secolare tra le due sponde del Mediterraneo? L’Africa da qui è a un passo. Anzi: complici il caldo e i colori accecanti del bianco e del pallido rosa delle saline, mescolati al nero brillante e guizzante degli ammalianti occhi siciliani questa è già Africa, con tutte le sue bellezze e i suoi profumi.
La contaminazione e il meticciato – di cui hanno parlato a vario titolo il cantante poeta ebreo-internazionale Moni Ovadia, monsignor Domenico Mogavero vescovo di Mazara del Vallo, il giornalista e “uomo di mondo” Giampiero Mughini, la scrittrice ceco-irachena con passaporto italiano Michelle Nouri e gli altri che si sono alternati sul palcoscenico all’interno di una bella e fresca pineta – qui sono la realtà quotidiana. Sono gli strumenti che hanno permesso il nascere, l’affermarsi e l’arricchirsi di uno tra i più ricchi patrimoni culturali d’Italia e del Mediterraneo. La monocultura oltre a non esistere se non nella mente di qualche politico pseudo padano e pseudo-nazionalista, è aridità.
E’ il convincimento che ha spinto l’organizzatore di Officine Mediterranee, Nicola Augugliaro, il quale ha trovato un sindaco, Camillo Iovino, che ha capito e gli ha dato corda. A proposito di meticciato: bella coppia, i due! Nicola, che ora è assessore alla cultura di Valderice, è in realtà un cantante
rock come tiene a sottolineare. Quando Iovino, bancario di professione e appena eletto sindaco, lo ha chiamato per proporgli l’incarico, lui è cascato dalle nuvole. Ha riflettuto e alla fine ha accettato. Il nome gli è venuto in mente quasi subito: Officine Mediterranee diventa, in sigla OM, che è al centro della parola “uomo”. Ma è anche il suono zen liberatorio. Poi, certo, c’è stata anche la parte gastronomica; e che parte! Cous-cous alla trapanese declinati dai vari chef; caponatine che avrebbero fatto svenire il commissario Montalbano; busiate, la pasta “a trivella” di qui, condite nei più diversi e stimolanti modi. Devo aver preso dei chili, non voglio controllare. Mi consolo perché sento che mi si è arricchito anche il cervello.