La sua è stata la più classica delle fiabe, ma il finale non è ancora stato scritto perché il racconto è ancora molto lungo e "lieto". Il sogno di Salvatore Licitra si è avverato quattro anni fa, quando all’improvviso viene chiamato a sostituire al Metropolitan Opera Theatre di New York un Pavarotti febbricitante nel ruolo di Cavaradossi nella "Tosca" di Giacomo Puccini. Non si trattava di un semplice concerto perché quello del 2002 era stato annunciato come l’addio di "Big Luciano" al Met, ed era tutto esaurito, con biglietti pagati a peso d’oro. Salvatore, di origini siciliane, ma nato in Svizzera, non si lascia intimorire e a bordo del Concorde arriva a New York da Milano in poche ore. All’epoca aveva 34 anni ed in ballo c’era la sua carriera. Sale su uno dei palcoscenici più famosi del mondo senza neanche provare e il risultato è stupefacente, un successo strepitoso. La critica lo ha definito "il nuovo tenore del 21mo secolo, il successore di Pavarotti", mentre della sua voce, leggermente baritonale, è stato detto che "scorre come il piombo fuso". Il suo debutto di successo al Met non è stato una semplice casualità perché Salvatore è ritornato la scorsa primavera con il ruolo di Don Alvaro in un revival de "La forza del destino" di Verdi, mentre dal prossimo 20 ottobre, con quattro date, sarà Canio, ne "I Pagliacci", appuntamenti da non perdere perché il tenore italiano sarà in tournée fino al 2012". Inizia così il racconto-intervista a Salvatore Licitra, pubblicato nell’ultimo numero di Oggi7, il magazine domenicale del quotidiano edito a New York America Oggi.
"Diventato praticamente newyorkese, Licitra è stato ospite dell’Istituto Italiano di Cultura per presentare il suo nuovo cd "Forbidden love". Solo due parole di introduzione da parte del direttore, Claudio Angelini, e poi Salvatore è stato un fiume in piena, parlando per quasi un’ora e mezza di sé, delle sue esperienze, del mondo dell’opera. Un personaggio straordinario, o meglio una persona, visto che indossa male gli abiti del divo, Licitra ha mostrato una simpatia e una disponibilità che raramente si trova in certi ambienti.
Con la battuta sempre pronta, in un inglese "divertente" per lui poco prodigo di espressioni adatte a contenere la mole di parole che gli passava per la testa, Salvatore ha letteralmente deliziato il pubblico. "Mi piace cantare a teatro – ha detto – senza alcun ausilio tecnico, solo così un cantante può rendersi conto di dove può arrivare con la voce. I microfoni la rendono artificiale, magari la sistemano dove c’è bisogno, ma non è giusto nei confronti del pubblico. Si viene all’opera per assistere a qualcosa di magico, per ascoltare una voce "naturale", e quindi preferisco cantare secondo le mie possibilità".
D. Il suo secondo cd "Forbidden love", è una raccolta di arie italiane, perché ha scelto questo titolo?
R. "Perché l’amore in generale, e a volte quello proibito, è l’argomento di cui più spesso si parla nell’opera. C’è sempre un amore, o un amore proibito".
D. Quando ha scoperto di avere una voce da tenore?
R. "Per caso, a 19 anni e all’epoca lavoravo come grafico. Un giorno mia madre mi ha detto: "La tua voce è molto alta, devi fare qualcosa!", e così ho iniziato a studiare canto. Devo dire che gli inizi non sono stati facili, soprattutto perché non ho avuto una buona insegnante. Lei non si era resa conto delle potenzialità della mia voce, ed io essendo giovane e inesperto ho iniziato ad imitare altri cantanti. Sbagliavo ovviamente perché non avevo la possibilità di esprimere la mia interpretazione personale. Mi ci sono voluti otto anni per cambiare strada, finché non ho incontrato Carlo Bergonzi che mi ha detto: "Segui la tua voce, ti indicherà la strada". E così è stato. Devo anche dire che sono stato fortunato perché se non avessi incontrato lui forse a quest’ora avrei cambiato mestiere. Per chi si accorge di avere una voce, l’inizio può essere pericoloso perché molti insegnanti tendono ad "ammazzare" la voce, e anche una volta iniziata una carriera non è facile andare avanti, ogni giorno bisogna lottare con l’entourage teatrale".
D. Si spieghi meglio.
R. "Non faccio nomi, ma in questo ambiente ci sono troppe persone incompetenti che prendono decisioni sbagliate e affidano ruoli senza avere, come si suol dire, cognizione di causa. Io stesso ho avuto a che fare con manager o maestri che avrebbero potuto compromettere la mia carriera".
D. Attualmente in Italia, per l’opera non è un bel periodo, molti cantanti sono andati via e come lei, lavorano negli Stati Uniti, lei cosa pensa di questa situazione?
R. "Purtroppo in Italia non c’è interesse per l’opera, ecco perché non abbiamo più cantanti. Le nuove generazioni, inoltre, crescono senza avere idea di cosa sia un’opera, non vanno a teatro, e gli stessi teatri sono vittime della eccessiva burocrazia. Faccio un esempio. Se qui in America una persona prende decisioni sbagliate, viene licenziato, in Italia, viene solo spostato e quindi continuerà a fare danni da un’altra parte. Dulcis in fundo, il Governo continua a tagliare fondi…".
D. Ma visto che lo Stato non riesce a finanziare gli allestimenti teatrali, perché non possono pensarci i privati come avviene negli Stati Uniti?
R. "Semplicemente perché non è nella nostra cultura quello di investire privatamente".
D. E lei perché ha lasciato l’Italia?
R. "Non è che ho lasciato l’Italia, semplicemente vado dove ci sono teatri che mi vogliono e soprattutto dove c’è una gestione intelligente e una programmazione non improvvisata".
D. Lei ha debuttato al Teatro Regio di Parma del 1998 e l’anno successivo ha cantato anche a La Scala di Milano con Riccardo Muti, e ha continuato poi sempre con un repertorio italiano. In futuro pensa di cimentarsi anche con compositori stranieri?
R. "Penso che la lingua italiana sia la migliore per l’opera, tra l’altro l’Italia è la patria dell’opera. E penso anche che per cantare in un’altra lingua bisogna essere preparati. Non canto in tedesco o in francese perché non conosco a sufficienza quelle lingue e quando canto devo sempre sapere quello che sto dicendo, non mi piace imparare a memoria senza sapere il significato di quello che sto cantando".
D. Quale Canio ci regalerà alla sua prossima esibizione al Met?
R. "La storia è ambientata a Montalto, in Calabria, ed i calabresi, come i siciliani, sono tipi molto gelosi, io non posso essere da meno e quindi posso anticipare che sarà un Canio, molto, ma molto geloso".