Avrò avuto 6 anni quando papà mi portò a Zagabria, nella sua casa natale a trovare sua zia Ivana, la sorella di sua mamma. Lei era rimasta di là, oltre il confine, nella Jugoslavia comunista. Era rimasta con i genitori, Helena e Ignjat Fischer, che non ho conosciuto. Non capivo perché loro fossero rimasti in un paese senza libertà. Poi col tempo ho capito. Era prima che loro la libertà non l’avevano avuta, quando c’era lo Stato indipendente di Croazia, stato fantoccio nazifascista alle dipendenze di Hitler. La mia prozia era direttore d’orchestra, ma come donna non poteva suonare in pubblico, l’avvento del comunismo glielo ha permesso. E suo padre, il mio bisnonno, fino alla fine della guerra non era più uscito di casa per non dover girare per la città con la stella di David appuntata sulla giacca.
Un giorno gli ustascia erano venuti a prenderlo a casa per deportarlo. Suo genero, mio nonno Ivan de Dominis, si precipitò dal capo della polizia tedesca e gli disse che avevano arrestato uno tra i più insigni personaggi della città. Gli risposero: "E’ ebreo". Mio nonno ribattè: "Anche Gesù era ebreo". ll giorno dopo – raccontava mio padre – sentirono suonare alla porta: il nonno Ignjat era tornato. Spogliato di tutti i suoi averi e le sue proprietà. Ma salvo. Alla fine della guerra il regime comunista si è preso anche la sua casa, perché era troppo grande per lui, moglie e figlia, ci ha fatto 9 appartamenti, un museo e una facoltà universitaria. Il mio bisnonno è sopravvissuto ancora 5 anni: poteva uscire di casa ma non avrebbe mai più potuto vedere l’altra figlia e i nipoti, rifugiati in Italia, perché il genero, che l’aveva salvato, era stato dichiarato dai partigiani nemico del popolo e, se fosse rientrato, l’avrebbero arrestato e condannato a morte. La sua colpa era di essere italiano. All’inizio degli anni ’90 andai con mio padre dall’Avvocato di Stato della nuova Repubblica di Croazia e ci disse che avrebbe mandato le truppe paramilitari a svuotare l’immobile dei suoi inquilini, con il pretesto che avevano sangue serbo, ovviamente per il servizio voleva un appartamento. Mio padre scioccato rispose che lui non avrebbe buttato in strada nessuno. L’Avvocato ci augurò buona fortuna perché il cammino legale per riavere la casa, intentando una causa, sarebbe stato molto lungo e difficile. Aveva ragione. Nel 1997 prendemmo un avvocato, ma lo Stato si inventò una legge che impedisce di ereditare per via collaterale, dagli zii. Quindi la casa, che era anche di mia nonna, sembra che non possa esserci restituita. Ovviamente questo non vale per gli inquilini che avevano solo un diritto di abitazione durante il comunismo. Non appena ne morirono due, i parenti si precipitarono a fare delle false dichiarazioni di abitazione davanti a un notaio ed ereditarono la proprietà dei nostri appartamenti. Gli altri inquilini comprarono le nostre abitazioni dallo Stato, nonostante la proprietà di tutto l’immobile fosse ancora intestata alla famiglia Fischer. Giovedì sera sono andata a Zagabria, al Museo d’Arte ed Arti Decorative (www.muo.hr), all’inaugurazione della bella mostra sulle opere architettoniche del mio bisnonno Ignjat Fischer (1870-1948), il quale, durante le due guerre, progettò e costruì un centinaio di palazzi sontuosi, tra banche, ospedale, sanatorio, alberghi, ville, case. "Io abito nello studio del suo bisnonno Ignjat – mi ha detto tutta orgogliosa una signora, specificando – in mansarda". Le ho rivolto un sorrisino sarcastico. Ma quando mai il mio bisnonno con quel popò di casa che aveva (5 mila metri quadrati più parco) sarebbe andato a fare un ufficio in una soffitta? Perché questo era ancora negli anni ’60 quando la mia prozia mi aveva fatto salire a prendere i giochi di mio papà. Poi ho rivolto lo sguardo al suo orrido marito: ecco il sedicente architetto che un bel giorno di 25 anni fa occupò la soffitta di 220 metri quadri facendone un’abitazione propria. Ora l’America per prima insiste che la Croazia entri in Europa entro il 2012, così senza certezza del diritto?