«Quanto a me, io, prima persona singolare, dopo aver avuto la mia parte in queste mirabili situazioni, o metamorfosi, così che non sento davvero la necessità di essere vendicato o riabilitato, ho compiuto il mio corso. Ho fatto molte citazioni nella mia vita parlando, e scrivendo, e si dice che alcune fossero inesatte. Ne farò ancora una, esatta. Come dice Amleto, dopo aver dato già in agonia a Orazio qualche spiegazione valevole ‘più o meno’ a chiarire tante tragiche cose, dirò anch’io: “Il resto è silenzio”. Sono da tempo pronto ad entrare in un grande silenzio.»
Da una delle ultime lettere di Benito Mussolini alla sorella Edvige.
Il 26 dicembre del 2003, un gruppo di giovani e giovanissimi romani del centro sociale Casa Montag occupano uno stabile, un ex palazzo governativo al civico 8 di via Napoleone III, alle spalle della stazione ferroviaria di Roma Termini. Il Cutty Sark ospita gli Zetazeroalfa, gruppo rock irriverente nato sei anni prima negli ambienti della destra romana. Qualcosa di inaspettato nasce, si muove, si evolve rapidamente. Il nuovo che avanza, ma con un piede saldamente ancorato al passato. Nei due anni seguenti il movimento, ormai sempre più nutrito e già agli albori ribattezzato CasaPound in memoria di Ezra – il leader Gianluca Iannone dirà in proposito che il loro non era altro che «un omaggio a un autore acuto, non conforme per eccellenza, che abbiamo amato e studiato e la cui battaglia contro l’usura è stata il primo simbolo della lotta per il diritto alla proprietà della casa sulla quale è nata CasaPound, una lotta che senz’altro il poeta avrebbe condiviso» – occupa edifici disabitati e li converte ad abitazioni per i meno abbienti.

Quasi quindici anni dopo il partito è in continua crescita, soprattutto tra le nuove generazioni, i nati molti decenni dopo il fascismo ma che curiosamente rimpiangono il Mussolini statista. Le ultime elezioni hanno registrato uno 0,8% di preferenze per CasaPound, trecentomila voti circa tra Camera e Senato, un’impennata rispetto allo 0,13% di partenza. I sedici punti del programma di CasaPound sono variegati, ma il cavallo di battaglia del movimento è il fermo no allo ius soli e all’immigrazione, comune agli altri partiti di destra: qualcosa che certamente il fascismo non poteva prevedere. I ragazzi di CasaPound Padova, con cui ho parlato a lungo per raccogliere più informazioni possibile, si soffermano però sull’impegno nel sociale. Mi hanno raccontato che aiutano a scavare tra le macerie dopo i terremoti, che portano la spesa alle famiglie in difficoltà, che assistono gli anziani invalidi. A prima vista non sembrano i picchiatori che descrive la stampa. Spesso, come riportano le cronache, vengono assaliti da bande di prepotenti di professione legati ai centri sociali di sinistra durante il volantinaggio. Reagiscono e il quotidiano locale titola violenza nelle piazze uguale fascisti cattivi, a morte i fascisti. Un’equazione-trappola. Ma sono scomodi e lo sanno, mine vaganti in una nazione che ha fatto dell’antifascismo un valore cardine.
Intervisto Simone Di Stefano un mercoledì mattina di maggio, il sedici, nella storica sede di Roma. È essenziale, di certo non è il Vittoriale. Manifesti e poster di incontri culturali passati adornano stanze per il resto spoglie. Forse tutti i quartier generali si assomigliano, ma qualcuno è più uguale degli altri. Arrivo in anticipo e un membro del partito mi accoglie all’ingresso. La chiacchierata è piacevole, Simone è cordiale e rilassato e sembra a suo agio. Quarantun anni, romano della Garbatella, consegue il diploma da chef prima di darsi alla comunicazione sul web e successivamente alla politica. Abbandona l’MSI dopo la Svolta di Fiuggi. Non mi chiede di tagliare l’intervista, anzi: improvviso due o tre domande che non si aspetta ma che sembrano fargli piacere. Ha le idee molto chiare e guarda l’obiettivo della mia videocamera senza sfuggire al confronto. La sua assenza nei talk show però non è casuale: l’Italia che conta non ama i nostalgici. Eppure la damnatio memoriae non è una soluzione. Si stava meglio quando si stava peggio? No, siamo nati liberi e non rivorremmo il regime, anche se l’idea di treni finalmente in orario potrebbe sedurci. Lo stesso Di Stefano dirà che l’idea di totalitarismo è superata. Rimane in CasaPound un senso della patria di fondo che potrà essere l’asso nella manica del partito. Princìpi e non ideologie, per riprendere le attualissime parole di Berto Ricci, pensatore toscano caduto sul fronte libico e caro amico di Indro Montanelli. Soltanto i princìpi restano, mentre le idee mutano a seconda di coloro cui vengono date in appalto. E i princìpi non dovrebbero avere colore.
Appena pochi giorni dopo l’intervista un nutrito gruppo di femministe intonerà Bella ciao alle finestre di via Napoleone III. L’ennesimo atto di protesta verso un partito che divide e scalda gli animi. Non c’è mai pace. Qui non riposano.
Simone Di Stefano, grazie per l’intervista concessaci. Partiamo dalla storia, che ne dice? Il fascismo nasce e si sviluppa negli anni Venti, ormai cent’anni fa, e muore a ventun anni dalla marcia su Roma, prima con l’arrivo degli Alleati, definitivamente con la liberazione dell’Italia, l’esecuzione del Duce e la fine della guerra. Dica la verità: quanto del fascismo di allora è applicabile oggi? Quanto è ormai obsoleto? In un mondo dominato da social network, termini inglesi e piena libertà di parola, quanto del messaggio e del pensiero di Benito Mussolini è sopravvissuto ai tempi ed è rimasto moderno?
“Del fascismo innanzitutto guardiamo ciò che è rimasto in Italia ed è rimasto tanto, al di là delle opere infrastrutturali, delle strade, dei porti, delle scuole, degli ospedali, dei quartieri, delle città intere, delle bonifiche, di moltissime cose rimaste anche concretamente; le stazioni, le strade, eccetera. C’è anche una legislazione sociale ancora in vigore, istituti pubblici come l’INAIL, l’Istituto Nazionale per l’Assicurazione contro gli Infortuni sul Lavoro e le malattie professionali, o l’INPS di previdenza sociale, che sono stati costituiti dal fascismo e che ancora rimangono. Quella visione quindi sostanzialmente sociale della nazione in cui la nazione si prevede e si concepisce come organismo in cui tutti collaborano per un interesse e un fine comuni nei fatti ancora esiste: quello è lo spirito che noi vogliamo riportare in questo secolo, per cercare di dire all’Italia e agli italiani ritroviamo quel momento di unità, scordiamoci la guerra civile e quel che è successo e riconosciamoci all’interno di una nazione e di regole comuni per ritrovare quello spirito che può far tornare questo popolo a essere quello di un tempo.
Della dottrina del fascismo, quindi, questo è lo spirito; le soluzioni economiche che vogliamo riportare sono quelle di un intervento dello stato nell’economia, penso all’IRI e alle tante conquiste appunto che questa idea sociale della nazione ha portato, tante aziende pubbliche che erano di proprietà dello Stato e che funzionavano benissimo finché i mercati e la finanza internazionali non hanno preteso di smantellarle per venderle al capitale privato: quella è una delle politiche principali che vogliamo riportare oggi, in questo secolo, che fa parte della dottrina fascista e che può essere replicata anche oggi. Ma non lo dice solo CasaPound. Oggi ci sono innumerevoli movimenti politici che prevedono il ritorno dell’intervento pubblico, dello Stato nell’economia. E poi soprattutto l’idea di essere sovrani, cioè di essere liberi dalle congreghe e dai grandi gruppi d’affari internazionali, quindi poter mettere l’Italia nella giusta direzione tornando ad avere una banca centrale che finanzia l’economia della nazione e che si muove per il benessere e lo sviluppo della comunità; non facendo quindi gli interessi di chi i capitali li ha ed è già ricco. Questa insomma è la visione che vogliamo ripristinare, niente salti nei cerchi di fuoco, niente gente che va in giro col fez o adunate oceaniche, ma semplicemente un’Italia che funziona e che si riscopre intorno a un obiettivo comune. Certo, c’è anche una parte spirituale che vogliamo recuperare perché tutto ciò si crea soltanto attraverso uno spirito ben preciso, quello che il fascismo ha tentato di riportare in Italia: essere dinamici, rapidi, incisivi nel fare le cose senza troppi ghirigori come siamo abituati qui. Se c’è una cosa da fare va fatta nel più breve tempo possibile e con la massima organizzazione possibile. Questo si farà se insegneremo ai nostri bambini di nuovo a essere squadra, a essere coesi e uniti e magari a vivere esperienze comuni come ad esempio potrebbero essere i campi estivi in montagna. Cercare di dare un’educazione dunque a questo popolo per farlo tornare a essere quello che era un tempo. Possiamo farcela”.

L’apologia del fascismo, la legge voluta da Mario Scelba e nota con il suo nome, è in vigore dal ’52. CasaPound corre il rischio concreto di scioglimento? Sempre più popolare e con un numero crescente di tesserati, non passa più inosservata. Certo, candidarvi alle elezioni significa che la democrazia è per voi un valore, per cui la questione Scelba sembra risolta. Ma i vostri militanti si chiamano a vicenda camerati e fanno il saluto romano. La matrice fascista è palese. Non c’è contraddizione in questo?
“Allora, per quanto riguarda l’apologia di fascismo noi non rischiamo nulla perché l’apologia di fascismo è un reato che si configura quando l’organizzazione fatta oggetto appunto della legge Scelba e dei richiami costituzionali cerca di sovvertire l’ordine democratico e di imporre uno stato totalitario. Noi non vogliamo uno stato totalitario. Lo stesso fascismo, durante la Repubblica Sociale, pensò di fare un’analisi sui vent’anni di governo passati e pensò anche di superare l’idea di stato totalitario e quindi di indire elezioni per eleggere il presidente dell’RSI; prese dunque una deriva sostanzialmente in cui si cercava di far partecipare di più il popolo alle decisioni del paese. La democrazia va benissimo a patto che sia l’effettiva volontà popolare espressa in politica, perché oggi invece a me sembra che i media, i grandi capitali, la finanza internazionali, che possono comprare e manipolare l’informazione, non consentano spazi di democrazia e di decisione cercando di orientare l’opinione pubblica verso un’unica direzione: il liberismo spinto, il capitalismo senza regole. Non c’è una democrazia ma ci sono, qui in Italia poi nello specifico, sette canali televisivi che dicono tutti esattamente la stessa cosa, che hanno la stessa posizione nei confronti di liberismo, Unione Europea, sovrastrutture internazionali. Non credo ci sia poi tutta questa libertà in questa “democrazia”. Un popolo consapevole può vivere in democrazia a patto che questa sia organica e che il popolo appunto sia rappresentato due volte: quello che noi di CasaPound chiediamo, quello che cercò di fare il fascismo stesso, è che il cittadino debba essere rappresentato in quanto uno, se stesso, persona, e in quanto funzione, ruolo all’interno dello Stato. Una Camera dei Deputati sì, ma affiancata da una Camera delle funzioni, chiamiamola così, dei lavoratori, delle corporazioni – un termine che però in Italia ha un significato e negli Stati Uniti un altro, quindi non lo userò. Una Camera in cui gli italiani sono rappresentati come operai, pescatori, artisti, industriali, commercianti, artigiani serve. Serve che la nazione abbia questa doppia rappresentanza, quindi noi paradossalmente vorremmo anche più democrazia, ma uno specchio reale di ciò che la nazione è, perché soltanto se saremo organici potremo funzionare al meglio.
Si dice che la cultura è di sinistra. Penso a Indro Montanelli, forse l’ultimo giornalista italiano controcorrente scomparso ormai quasi vent’anni fa. Pochissimi intellettuali si schierano apertamente a destra. Qual è il suo pensiero?
“In Italia la cultura è di sinistra, ma non esiste più la sinistra, quello è il problema. Meglio, la cultura è globalista e il messaggio che arriva è esclusivamente rivolto in quella direzione: globalismo spinto, cessione della sovranità, organismi internazionali non eletti da nessuno e quindi non democratici e via cantando, quindi questa è oggi la cultura in Italia, che poi si appoggia diciamo su un’idea di sinistra libertaria, quella dell’arcobaleno e del vogliamoci bene. La stessa che ci propone Soros. La sinistra vera, secondo me, è qualcos’altro. Per quanto riguarda la cultura di destra, usando sempre questo termine, la cultura identitaria… c’è ampio spazio, è semplicemente nascosta. Proprio qui, in questa sala, noi abbiamo fatto oltre centoventi conferenze, trattando temi fra i più disparati ma dimostrando che comunque sia anche nel mondo identitario c’è una forte cultura e tanto da dire rispetto a tutti i temi che oggi possono essere trattati in Italia. Di certo li si vuole ignorare, e ripeto, sette canali televisivi hanno a disposizione la totalità dell’informazione anche dal punto di vista culturale. CasaPound è sicuramente esclusa dalla bagarre televisiva, quindi non siamo presenti, non siamo in prima serata, non partecipiamo ai programmi, non siamo su Ballarò eccetera nonostante partiti anche più piccoli del nostro siano stati presenti anche in campagna elettorale in prima serata dalla Gruber, ricordo Marco Rizzo dei Comunisti o tanti altri. CasaPound viene nascosta perché si vuole raccontare CasaPound esclusivamente come un gruppo di violenti, picchiatori, pazzi, assassini, criminali senza far conoscere qual è il nostro programma politico, quello che vogliamo e quello che non vogliamo, soprattutto la verità su tanti fatti di cronaca che ci vedono coinvolti ma sempre come aggrediti, anche se poi siamo in grado spesso e volentieri di rispondere a queste aggressioni dei violenti dei centri sociali. Di certo non ci facciamo intimidire e non porgiamo l’altra guancia, come magari farebbero gli altri partiti e questo crea sempre scandalo. Non ci si rende conto che in Italia c’è un’organizzazione che può essere definita quasi terroristica, anonima, che si muove esclusivamente con la violenza: i centri sociali organizzati, che sistematicamente assaltano fisicamente tutti i banchetti e le iniziative degli altri partiti, non solo di CasaPound ma anche della Lega, dei Fratelli d’Italia e chi più ne ha. Chi sta loro antipatico, insomma, diventa oggetto della loro violenza. CasaPound non si è mai tirata indietro e quindi è rimasta sempre invischiata in questi episodi. La possibilità di spiegare queste cose però non ci viene data e quindi i media preferiscono parlare di noi soltanto da questo punto di vista, tralasciando molte iniziative sociali e i tanti punti programmatici che sono invece la parte importante”.

Che ne pensa dell’intesa Di Maio-Salvini? C’è spazio per voi?
“Lega e 5 Stelle hanno delle potenzialità enormi in questo governo, però devono trovare il coraggio di mettere in pratica ciò che hanno promesso agli italiani. C’è quindi oggi una grande possibilità per il Paese se veramente loro vorranno combattere contro l’Unione Europea per portare qui in Italia lo sviluppo economico e le iniziative necessarie per far ripartire il lavoro, l’industria, l’economia e quelle iniziative necessarie non sono altro che l’intervento pubblico nell’economia: far circolare il denaro, lasciare che gli imprenditori abbiano i soldi per poter creare posti di lavoro, aumentare i salari per dare la capacità di spesa alle famiglie e aumentare anche i consumi interni. Queste sono le ricette che noi proponiamo da sempre; per farle serve rimettersi non solo di traverso sull’Unione Europea, ma per quanto riguarda noi di CasaPound uscirne e tornare sovrani della nostra moneta. Sanno benissimo anche loro che se vogliono attuare questo tipo di programma devono litigare fortemente con l’UE quasi fino ad arrivare alla rottura e alla conseguente uscita dell’Italia. Per questo io mi auguro che trovino il coraggio di farlo e per questo oggi tanti media sono spaventati da questa possibilità. Ovviamente se 5 Stelle e Lega faranno un governo e andranno nella direzione che a noi piace non potremo non sostenerli, se invece lo faranno per poi prendere un’altra strada e dimostrare di aver raccontato fandonie agli italiani, quindi di non voler rompere con l’Unione Europea, di non voler rompere i vincoli, di non voler mettere in discussione l’euro noi li criticheremo aspramente e saremo pronti a raccogliere anche lo scontento dei loro elettori che proprio quel mandato han dato loro e che quel mandato vorrebbero vedere rispettato. Nonostante le chiacchiere di Mattarella e dei giornalisti televisivi che dalla mattina alla sera stanno facendo terrorismo nei confronti dell’ipotesi governo Lega-5 Stelle”.
Adesso Roma, la gestione Raggi. Che ci dice della capitale?
“Il problema della gestione di Roma è l’immobilismo, l’incapacità di fare quel salto per migliorare i servizi, per offrire per esempio una soluzione all’emergenza abitativa che affligge questa città, per tappare le buche, per… c’è tanto da fare e ci sono le potenzialità per farlo, ma non si fa. Non si fa sempre per la stessa logica. Non ci sono i soldi, non si possono fare interventi, dobbiamo sempre stare attenti a non spendere un euro di più. Dobbiamo, come dicono loro, anzi, come dicono alcuni, non credo neanche i 5 Stelle, privatizzare l’ATAC, privatizzare tutto, lasciare mano libera ai privati. Qui sostanzialmente in Italia, a Roma, gli ospedali, le scuole vengono lasciati degradare e poi arriva la stampa a convincere le persone che tutto sommato sia necessario l’intervento dei privati, che solo i privati potranno garantire il servizio pubblico. E invece no: il servizio pubblico deve continuare a essere pubblico e il Comune di Roma deve fare ciò che c’è da fare. Ma per farlo deve spendere. Ora, è vero che il Comune si è indebitato negli anni passati per malagestione, politici corrotti che hanno fatto spese pazze e messo amici degli amici a incassare stipendi faraonici e tante altre cose, ma tutto questo non è un buon motivo per smantellare tutto e arrendersi. Dobbiamo tornare a intervenire e il Comune non lo sta facendo perché cerca piuttosto di gestire la situazione senza migliorarla né peggiorarla. Roma non è peggiorata né migliorata. Una situazione comunque inaccettabile. La Raggi deve trovare il coraggio, sperando magari adesso che con un governo Lega-5 Stelle si trovino risorse nuove per intervenire su Roma e fare quello scatto, quel cambiamento necessario”.
In quale motto fascista si rivede di più e quale si sposa alla filosofia di CPI?
“Non era un motto, ma una frase di Marinetti poi ripresa da Mussolini in cui si dice che l’unica felicità è nella lotta, e quindi sostanzialmente che solo l’uomo che ha uno scopo e che cerca di metterlo in pratica, di raggiungerlo – in questo caso lo scopo è la lotta politica, la rivoluzione, il cercare di ridare a questa nazione il posto che merita nel mondo – ecco, quella è l’unica felicità possibile, cioè non esiste una felicità al di fuori di questo. Una felicità effimera che oggi la televisione e le pubblicità ci propongono: da ragazzo sarai un giovane pazzo, che girerà il mondo e mangerà sushi nei bar di Caracas, poi magicamente a trent’anni ti compri il SUV e altrettanto magicamente a quaranta quando metti famiglia avrai una bella auto spaziosa e tanti bambini. Quello è il nulla. La felicità vera è nella lotta. Noi dobbiamo cercare di mettere in piedi una nazione in cui la base di partenza per tutti sia il lavoro, stabile, sicuro e ben pagato, una casa di proprietà e la possibilità di fare figli. Su quella base ogni uomo può costruire se stesso, ma solo se ha uno scopo. Se tu non hai uno scopo non esisti”.

Dio, Patria e Famiglia: cosa manca agli italiani in questo momento?
“Sicuramente tutti e tre. Anche se questo motto, che poi è mazziniano e non mussoliniano, oggi potrebbe essere modificato, modificare Dio con una generica spiritualità, cioè la capacità di avere interiormente quella domanda di sacralità e di sacrificio che manca oggi agli italiani, quella visione appunto comune e collettiva. A patria invece sostituirei nazione, perché nazione è più chiaro, organico, più definito, la patria è generica: non basta più, dobbiamo tornare a parlare di nazione. La famiglia soprattutto. Un valore che manca. Siamo tutti atomizzati, soli. Al di là della famiglia specifica uomo-donna e figli, che è la famiglia naturale, manca l’idea secondo me di clan, di appartenenza comunitaria. Nel senso buono, nel senso scozzese del termine, non nel senso mafioso, quindi l’idea che siamo comunque sia famiglie collegate e unite da un destino comune. Dunque tre valori ancora validissimi che mancano inesorabilmente tutti e che sono fondanti per ritrovare lo spirito dell’Italia che manca”.
Gianfranco Fini non è più sulle cronache da qualche tempo; dal suo ritiro dalla politica si è saputo poco di lui. Nel 1995, la celebre svolta di Fiuggi, Fini rinnegò il fascismo e Alleanza Nazionale prese le distanze dal Movimento Sociale Italiano dalle cui ceneri era sorta. Per qualcuno è un traditore, per i più è stato saggio. Che pensa del suo dietrofront?
“Quello di Fini fu un grande errore perché fu una mossa dettata dalla voglia di andare al governo, quindi messa a condizione affinché lui partecipasse. Quando tu pieghi la testa non fai un’analisi, semplicemente ti stai piegando a determinati poteri e a determinate volontà altrui per poter realizzare quello di cui hai parlato ai tuoi elettori: questo è sbagliatissimo, quello fu il grande errore. Non fu un’analisi fatta perché lui ci arrivò dopo… perché uno può fare tutte le analisi che vuole. Io non la farei mai, non la farò mai perché comunque sia si può essere fascisti anche oggi e si può essere fascisti anche senza concepire lo stato totalitario e quindi partecipare alla vita democratica e pubblica della nazione senza dover chinare il capo. Lui fece questa scelta per la sete di potere, una voglia di governare a prescindere, ma piegare la testa non porta mai fortuna. Se Di Maio e Salvini si faranno imporre un presidente del Consiglio da Mattarella sarà un piegare la testa e questo non porta fortuna, porta solo sfaceli. Bisogna essere determinati sulle proprie posizioni perché solo con la fermezza si può affrontare la battaglia che è necessaria per liberare questa nazione. Chi inizia a piegarsi dimostra di avere un interesse poi personale perché chi cambia idea, chi si fa spostare non lo fa in seguito a un ragionamento, ma per raggiungere una posizione precisa nello scacchiere del potere. Noi abbiamo fatto questa affermazione, siamo quello che siamo, ci consideriamo l’eredità diretta del fascismo, passati attraverso ottant’anni di storia, attraverso la Repubblica Sociale, l’MSI, tutto ciò che è stato la Destra negli anni Settanta e Ottanta: oggi c’è CasaPound, che raccoglie completamente tutto questo percorso ma lo vuole portare al futuro, ragionando quindi non solo come uomini del presente, ma addirittura proiettati in avanti, senza nostalgismi, senza mai guardare indietro, ma cercando una nuova sintesi per ciò che serve a questa nazione. Sintesi che va cercata anche con gli altri, perché questo è il punto differente che sta cercando di fare CasaPound. CasaPound non cerca di convertire tutta la nazione alla propria idea, cioè non dobbiamo diventare tutti fascisti per poter salvare l’Italia. Semplicemente dobbiamo metterci insieme tutti, tutti quelli che amano la nazione – comunisti, liberali –, perché l’importante è avere la nazione e lo stato come centro di gravità e tutti insieme possiamo riconoscerci in questo stato, nelle regole che questo stato si è voluto dare per far si che l’Italia torni grande. Ma chi è fuori dall’idea di nazione, i globalisti, quelli della finanza internazionale, gli antisovranisti che dicono che dobbiamo farci comandare dall’Europa, dall’ONU, da chiunque altro… quelli sono i nostri avversari. All’interno dello stato e della nazione possiamo stare tutti insieme, fuori per me ci sono solo avversari”.
Quale fu l’errore più grande di Benito Mussolini, quello che portò gli italiani a perdere la fiducia nel regime? Il tentativo di colonizzare l’Africa abortito dopo un inutile spargimento di sangue? Le leggi razziali? La decisione di entrare in guerra?
“L’errore di Mussolini per me principale, al di là di quei tre che poi analizzeremo a uno a uno, fu non avere i suoi uomini nei posti-chiave del potere. Noi arriviamo al venticinque luglio (‘43, ndr) in cui c’è ancora Badoglio, in cui ci sono ancora ambienti legati alla monarchia italiana che comandano effettivamente e che possono mettere i bastoni fra le ruote all’operato di Mussolini. Mussolini non ha mai fatto una vera e propria dittatura, nei fatti è stato il presidente del Consiglio e il venticinque luglio si è andato a dimettere dal Re, e quindi forse abbandonare anche questa tendenzialità repubblicana nei confronti… abbassare quindi il capo nei confronti della monarchia è stato uno degli errori principali che lo ha portato poi a dover sempre essere strattonato una volta da tizio e una da caio, una volta dalla Chiesa e una dalla monarchia o dagli industriali. Questa sua voglia giusta, anche sana, di pace, di accordare tutti, di fare una nazione organica forse lo ha portato poi ad avere troppi traditori in casa. Le leggi razziali furono sicuramente una frattura orribile perché andarono proprio a cambiare ciò che il fascismo aveva detto fino a quel momento, ovvero che la nazione unita, tutti i corpi della nazione – immaginate il fascio repubblicano, il suo simbolo è proprio questo, lo conoscete bene, Abraham Lincoln siede tenendo due fasci tra le mani nella statua di Washington –… ogni verga rappresenta un’identità, una singolarità del paese. La comunità ebraica, volente o nolente, da duemila anni era presente a Roma e in Italia come corpo vivo di questa nazione. Tanti ebrei avevano partecipato alla rivoluzione fascista marciando su Roma, dando finanziamenti, partecipando quindi attivamente all’avventura mussoliniana. A un certo punto interrompere questo rapporto, fare le leggi razziali, discriminare quella comunità e gettarla in un angolo sicuramente ha rappresentato un errore anche dal punto di vista dottrinario del fascismo. Lì si è incominciato a incrinare qualcosa. Poi le sorti della guerra, e quindi sono quelle che fanno perdere il consenso al fascismo: l’incapacità di vincere la Seconda Guerra Mondiale. Le colonie no, tutti gli italiani erano entusiasti di averle. Tornando alla guerra, tutti quei fattori portati dalla cricca di monarchici, badogliani venduta ad altri interessi sovranazionali hanno messo i bastoni fra le ruote all’avventura militare italiana tradendo sostanzialmente la nazione e facendo perdere la guerra a Benito Mussolini. Se avessimo vinto noi oggi avremmo ancora il fascismo. Con i se e con i ma però non si fa la storia. Sono passati ottant’anni, possiamo fare appunto un’analisi storica di quello che è successo, ma dal punto di vista politico non cambia una virgola sui fatti di oggi”.

Il primo Benito Mussolini era socialista. Era anche un anarchico? Si attivò per salvare Sacco e Vanzetti; Armando Borghi disse che il giovane Mussolini nutriva una certa simpatia per gli anarchici prima di entrare nell’Avanti. Mussolini è morto fascista, socialista, anarchico o tutte e tre le cose insieme?
“Certamente Mussolini ha sempre inteso il fascismo come un socialismo nazionale, un’anarchia organizzata, estremamente organizzata. È morto come lo ha inteso lui, per lui il fascismo era il socialismo nazionale e la possibilità appunto di coniugare le istanze socialiste con quelle identitarie. Questo è il percorso che ha fatto coerentemente per tutta la vita. Ha iniziato nei socialisti, poi ha cambiato direzione. Nei primi anni del suo governo ha dato addirittura un’impronta liberista, ha cercato quota 90, cioè di rafforzare la moneta, che è quello che si cerca di fare con l’euro, il contrario di ciò che farebbe un socialista. Quando lo ha fatto lui, questo non lo hanno capito chi lo critica per quota 90, era per trasformare l’Italia da un paese prevalentemente agricolo a una nazione industriale perché la tua libertà, la tua sovranità monetaria le puoi avere soltanto se hai un paese industriale che è in grado di produrre le macchine, l’acciaio, quei beni che sono fondamentali per la sovranità monetaria. Era un passaggio. Dopo aver raggiunto quota 90 c’è stato il grande cambio, anche dopo la crisi del ’29, quindi l’Italia è diventata pienamente socialista: lo Stato interveniva su tutto, è nata l’IRI, sono stati creati una marea di enti previdenziali che gestivano la vita di questa nazione e che indirizzavano l’economia in tal senso. Quell’ossatura è addirittura rimasta dopo il fascismo; il boom economico degli anni Cinquanta e Sessanta è stato il frutto di un’ossatura economica fascista, quindi scoppiato da quell’idea di intervento pubblico nell’economia e tutela delle piccole e medie imprese. Io vedo un percorso estremamente coerente. C’è sempre chi dice primo fascismo, secondo fascismo, il terzo fascismo, la RSI… ma erano sempre lo stesso fascismo. Credo sia morto esattamente pensando di aver messo in campo tutto ciò che poteva e con l’unico rammarico di non aver eliminato prima tutti i traditori prima che questi appunto tradissero prima di lui l’Italia”.
Una nonnina novantenne nostalgica del regime è stata multata in Germania per aver affermato che l’olocausto non è mai avvenuto, l’Illinois repubblicano ha candidato un neonazista, Arthur Jones, fortemente antisemita e noto per le sue simpatie verso Adolf Hitler. Eppure il campo di sterminio di Auschwitz-Birkenau, così come gli altri lager, è ancora lì, quasi intatto. Impossibile non vederlo, non vedere quei capelli ammassati in una stanza, le docce, i forni. Come si pone nei confronti dei negazionisti?
“Noi siamo sempre stati per la libertà di chiunque di dire ciò che pensa. Anzi, è chiaro che se una verità cerca di essere imposta per legge perde di valore, no? Quindi è ovvio che se c’è una legge che impedisce di ragionare o di dire qualsiasi altra cosa rispetto alla verità, tu non saprai mai come la pensa realmente una persona su un determinato argomento. Questo non facilita la verità, ma semplicemente dà più forza ai negazionisti. È come se io obbligassi quelli che dicono che la Terra è piatta a dire che la Terra è tonda, gli darei forza. La gente inizierebbe a pensare perché c’è una legge che vieta alle persone di dire che la Terra è piatta, allora forse c’è qualcosa…? Insinui il dubbio. Lasciagli dire che la Terra è piatta. È la più grande cazz…ta, passami il termine, della storia, lasciamogliela dire. Ripeto, questa visione per cui certe cose non si possono dire è una cosa che dà forza ai negazionisti più di ogni altra. Dobbiamo lasciare la libertà di espressione”.
I sedici punti del programma di CasaPound sono interessanti: l’uscita dall’Unione Europea, l’euro, il fermo no allo ius soli. Pochi li conoscono realmente. Quale in particolare vorrebbe far conoscere ai lettori in America?
“Senza dubbio la sovranità bancaria e la sovranità monetaria. Gli americani sono abituati ad avere una banca centrale, ad avere la propria moneta e la banca centrale che stampa la moneta che viene utilizzata negli Stati Uniti. Ecco, immaginate che arrivasse un organismo terzo che vi scippasse della vostra banca centrale, che stampasse un’altra moneta e vi dicesse voi adesso dovete usare quella moneta per i vostri scambi e decido io quanta ne devo stampare o quanta ne deve circolare all’interno degli Stati Uniti. Voi direste sei pazzo, non lo accetteremo mai; è quindi esattamente quello che diciamo noi di CasaPound. L’Italia deve avere la possibilità di avere la sua banca centrale, di emettere la sua moneta e che la sua banca centrale compri i titoli di debito pubblico italiani che non vengono collocati nel mercato nazionale, esattamente come negli Stati Uniti, in Giappone e in molti altri stati. Questa è la prima libertà che vogliamo avere perché quando l’Italia ha questa libertà l’Italia è in grado di diventare ciò che era negli anni Ottanta, ovvero la quarta, la quinta economia del mondo. Chi ricorda quegli anni sa che con le risorse giuste e la libertà monetaria l’Italia può ottenere grandi risultati. Da quando siamo entrati nell’euro siamo diventati l’ottava o la nona potenza, facendoci superare da tutti. Non è più l’Italia di un tempo”.
Potere al Popolo e CasaPound, pure agli estremi, si toccano?
“C’è una grande differenza: ad esempio Potere al Popolo è internazionalista e globalista, non concepisce l’idea che possa esistere un italiano e quindi forse mi trovo molto di più con Rizzo, quindi i Comunisti Italiani, con gente che concepisce lo Stato, la nazione e la patria e che si riconosce all’interno delle regole della Costituzione. Con loro ci può essere un dialogo, con i farfalloni arcobaleno di Potere al Popolo sicuramente no, non c’è possibilità, anche perché oggi i globalisti, quelli che impongono la cancellazione delle frontiere e dell’identità, della spiritualità sono quelli che fanno quel che chiede la finanza internazionale, che chiede Soros. Un tipo di mondo che pretende appunto di cancellare tutto per i propri interessi materiali, non c’è nessuna visione… sai, spesso si dice la massoneria… anche se si danno un’aura religiosa contano i soldi, capito? Avere tanto denaro ed evitare come la peste che la collettività, cioè lo Stato, possa determinare il valore del loro capitale. Rapidamente, cos’è la moneta? La moneta è il valore che determina quanto tu possiedi. Io posso andare da Soros e dirgli, tu sei proprietario di tot miliari di dollari, di tot proprietà per un valore di che ne so, millemila miliardi di dollari. Ecco, non sopporta che il dollaro sia espressione del popolo americano e che questo possa in qualche modo esprimersi. Il grande dramma del capitale. Non vogliono essere determinati dai popoli, vogliono sganciarsi, addirittura io ho sentito parlare di grandi capitalisti, di persone molto ricche che vorrebbero crearsi delle isole al largo degli Stati Uniti, in mezzo all’oceano, per poter stare lì con le loro cose. Però ecco, se c’è una cosa che gli italiani possono insegnare con Verga a tutti quanti (tutti ricorderanno Mazzarò e il suo celebre grido Roba mia, vientene con me!, ndr) è che quelle cose non possono essere portate nella tomba. Non conviene legarsi alle cose materiali, fossero anche miliardi e miliardi di dollari. L’importante è altro nell’esistenza”.

Di Benito Mussolini, “il Duce”, è stato detto e scritto molto, ma l’uomo, il marito e il padre è ancora sconosciuto ai più. L’ultimogenito, Romano, padre di Alessandra, a distanza di decenni lo ricordava ancora con affetto. Lei che idea si è fatto del Mussolini privato?
“Sicuramente Mussolini in famiglia era un padre amorevole, che poi ha fatto le sue scelte nelle relazioni – non c’era il divorzio, non poteva lasciare la moglie Rachele – e che si è innamorato di un’altra donna (Claretta Petacci, la storica amante del Duce che lo seguì nella fuga, che morì con Mussolini e il cui corpo straziato poi venne esposto dai partigiani a Piazzale Loreto, ndr). Mi sono sempre rifiutato di giudicarlo dal punto di vista umano, anche perché la sfera privata ci viene consegnata dai figli. Certo, fu costretto a decisioni drastiche, come quella di far fucilare il genero Ciano, marito di Edda. Come uomo di Stato era capace di anteporre l’interesse dell’Italia a quello personale. Farsi odiare dalla figlia per tutta la vita dev’essere stata una scelta sofferta, anche se Mussolini l’ha ritenuta doverosa in quel momento e l’ha eseguita. Un uomo certamente più interessato alla nazione, alla dimensione pubblica che a quella familiare (mentre Di Stefano parlava pensavo ai Kim nordcoreani e all’attuale leader, Kim Jong-un, che ha decimato i familiari per preservare il regime). Dal punto di vista dell’onestà nulla da dire: ogni minuto, ogni secondo della sua vita è stato sviscerato dagli storici e non c’è mai stato un momento di esitazione nel dare la priorità alla nazione e non alla famiglia. È morto povero e i suoi eredi non sono certo una dinastia come invece vediamo succedere oggi tra i tanti politici democratici europei o statunitensi. È stato onesto”.