Vive il giornalismo come una vocazione, una missione anche ora che ha abbandonato le telecamere per lo scranno di Bruxelles. Del resto, quello della giornalista è sempre stato il suo sogno di ragazzina. Da quando, appena quindicenne, comincia a lavorare in radio. Da allora non si è mai fermata. Prima giornalista televisiva per Telecolor, telegiornale del quale diventa direttore nel 2006, poi corrispondente per La Repubblica e altre collaborazioni per l’Espresso e Radio Capital.
Fino allo scorso Maggio, quando 93.000 preferenze nella lista del Partito Democratico la fanno volare dritta dritta a Bruxelles. Michela Giuffrida, esordisce in politica ma non dimentica di essere prima di tutto una giornalista. Con lo stesso spirito, la stessa metodologia, lo stesso approccio, porta la sua esperienza al parlamento europeo. E lo fa con determinazione e passione, girando in lungo e largo il Vecchio Continente senza dimenticare la sua Sicilia e la sua Catania, città alla quale è molto legata.
È membro della commissione per lo sviluppo regionale, dell’Assemblea parlamentare dell’Unione per il Mediterraneo oltre che della Delegazione per le relazioni con i paesi del Mashreq e il Mercosur.
In questi giorni è tornata nella sua terra per portare solidarietà ai migranti dopo la tragedia dello scorso 19 Aprile. Ha ascoltato le voci dei superstiti, raccolto testimonianze, parlato a lungo con chi vive nei centri di accoglienza.
A La VOCE di New York ha raccontato questo suo primo anno in Europa, della sua Sicilia e di come, secondo lei, va affrontato il problema dell’immigrazione.
Lei ha parlato di “stragi annunciate” in riferimento all’ultima strage di migranti nel Mediterraneo. Sarà l'ennesima tragedia di cui presto ci dimenticheremo?
Mi auguro che questa tragedia possa segnare un punto di snodo definitivo rispetto a quella che è diventata una dolorosa routine. Se l'Europa – e quando parlo d'Europa mi riferisco non al Parlamento ma al Consiglio – non prenderà decisioni nette e definitive varando una nuova politica comune dell'immigrazione, purtroppo avremo altre tragedie e questa sarà una delle tante.
Si accusa l’Europa di non fare abbastanza e sappiamo che l’operazione Triton (l'iniziativa europea che integra l'italiana Mare Nostrum, ndr) si è rivelata un fallimento.
Triton è nata con l’idea di volere un intervento europeo che sostituisse quello a carico dello stato italiano, ritenuto insufficiente per mezzi economici e strutturali. L’Italia, da sola, non si poteva fare carico di un problema europeo. È anche vero che l’Europa considera il problema come appartenente solo all’Italia. Sappiamo che in Europa, su 28 stati, soltanto 18 appoggiano l’operazione Triton. Il resto non condivide il problema immigrazione.
Personalmente, ho presentato una serie di interrogazioni ma mi sono scontrata anche con una burocrazia lentissima. Ad esempio, come quando ho chiesto tempestivamente ad ottobre una missione a Lampedusa che ho ottenuto per il prossimo maggio. Ora non è più differibile che si vari una “Marenostrum europea” che, forte di un apporto economico di gran lunga maggiore, si occupi non solo di controllo e pattugliamento delle nostre coste ma anche di salvataggio e soccorso spingendosi ben oltre il raggio d'azione dell'attuale Triton.
Giovedì 23 aprile ci sarà il Consiglio Europeo straordinario voluto fortemente dall’ Italia. Secondo lei, come bisogna affrontare il problema?
Bisogna fare in modo che tutti gli stati membri si facciano carico di una quota. Poi bisogna rivedere il trattato di Dublino, pensare alla ricollocazione e assistenza sia all’arrivo che successivamente, grazie anche a progetti di partenariato. Io sono personalmente favorevole al corridoio umanitario e alla concessione dello status di rifugiato per chi ne possiede i requisiti prima di imbarcarsi in questi viaggi della morte. L’Alto rappresentante, Federica Mogherini, ha ottenuto che sia la Commisione che il Consiglio si facciano carico di questo problema. A Maggio, durante la plenaria dell'Unione del Mediterraneo a Lisbona, si discuterà anche di questo.
Parliamo della sua terra, la Sicilia. Tra meno di un mese inizia l’Expo, dove la Sicilia sarà alla guida del cluster bio-mediterraneo. Un’occasione importante.
La Sicilia non si può lasciare scappare questo evento che potrebbe essere importante per la sua economia, turismo ed agricoltura. Il cluster bio-mediterraneo, riunisce tutti i paesi che condividono la cultura alimentare del Mediterraneo. Per questo, la sfida della Sicilia nel dopo Expo è quella di una nuova agricoltura in mano ai giovani. Ancora oggi prevale un approccio antico alla terra, superato, anche se le cose stanno cambiando lentamente. Pensiamo ad esempio alle start-up, numerose, che sono nate in Sicilia e che esprimono un concetto legato all’agricoltura 2.0. Bisogna incoraggiare l’agricoltura giovanile perché dalle risorse agricole dipende il 45% del PIL siciliano.
Ci sono altre occasioni che in Europa la Sicilia non deve lasciarsi sfuggire?
Quella di saper gestire fondi comunitari che rappresentano il volano della nostra economia. Se pensiamo che il Mediterraneo è la prima meta turistica mondiale ma in Sicilia abbiamo perso il 50 per cento del nostro turismo, possiamo dire di essere una regione perdente. Sui fondi europei, la Sicilia spende male per questo ha subìto la mannaia dei tagli anche se devo dire nell’ultimo anno c’è stata un’inversione di tendenza. Siamo arrivati al 58 per cento della spesa certificata ma non siamo ancora al 100 per cento. La soluzione sta nella semplificazione, nell’accesso più facile e nell’iter burocratico più snello. Bisogna intervenire sulla formazione e informazione. Mi chiedo: quanti sono i comuni che ospitano uno sportello Europa? Quanti sono quelli che sanno individuare i giusti canali di finanziamento?
Sui fondi europei pesa anche l’ombra della corruzione…
Ho partecipato alla votazione sulle frodi europee ed il dato interessante è stato quello relativo all’aumento delle frodi per irregolarità ma non di quelle fraudolente. Questo significa che chi sbaglia lo fa ingenuamente. Ecco perché la soluzione sta nell’informazione e trasparenza nell’accesso.
Europa e Stati Uniti d’America stanno negoziando dal 2013 uno dei trattati piú importanti, il TTIP, il trattato transatlantico sul commercio e gli investimenti. A che punto siamo?
Siamo all’ottavo round finale e la fase di studio è stata completata. Il presidente della commissione Agricoltura, Paolo De Castro, relatore permanente del Parlamento europeo per gli aspetti agroalimentari del TTIP, è stato di recente negli Stati Uniti per il negoziato. La Commissione Agricoltura, sta preparando una Risoluzione in cui si precisa che in nessun modo un accordo commerciale può modificare i regolamenti comunitari. Per questo il TTIP non intacca gli standard di qualità del nostro settore agroalimentare, in nessun campo: OGM, etichettatura eccetera. Non appena la Commissione Agricoltura vota il testo, siamo pronti a trasmetterlo sperando che prima della fine dell’anno il Parlamento si possa pronunciare sull’Accordo.
Perché il TTIP rimane controverso e spesso contestato dagli europei?
Intorno a questo accordo si è sviluppato un certo anti-americanismo. Bisogna ricordarsi che il TTIP mira a facilitare gli scambi commerciali tra Italia e Stati Uniti, ne regolarizza i rapporti agevolando molte imprese che vogliono esportare negli Stati Uniti. Capisco la sensibilità intorno a tematiche come gli OGM ma l’Europa chiederà precise garanzie per tutelare la nostra qualità.
Un’altra delle sue battaglie è stata quella a difesa dei pescatori siciliani di Mazara del Vallo
Ho sposato le loro ragioni perché chiedono che venga loro garantita sicurezza ed incolumità visto che pescano nel golfo della Sirte. Sono solo trenta i pescherecci siciliani, gli unici, che possono pescare gambero rosso e bianco in delle acque ora ritenute a rischio. Situazione già in precedenza penalizzata da una decisione unilaterale dell’allora dittatore Gheddafi che ha ridotto lo spazio autorizzato alla pesca. A breve farò un’interrogazione dove chiedo che venga tutelata la loro sicurezza e incolumità in una zona che è una frontiera tra Africa ed Europa.
Il bilancio di questo primo anno. Che idea si è fatta di questa Europa?
È stato un anno intenso che ho vissuto e continuo ancora a vivere con molto entusiasmo. Porto e continuo a portare avanti alcune tematiche che mi stanno a cuore, come l’agricoltura. Non lavoro solo per la mia terra ma per tutta l’Europa. Da cittadina, capisco come l’Europa possa sembrare distante perché ignoriamo quanto invece interviene nella nostra vita quotidiana con regolamenti e altre misure che disciplinano molti settori. Se si parla di Europa a due velocità è perché il principio di sussidiarietà rimane uno dei capisaldi del diritto europeo che lascia la sovranità ultima agli stati membri. Questo Parlamento di cui faccio parte è il primo che lavora con un forte potere codecisonale insieme alla commissione. Un grande cambiamento verso un’Europa più forte in cui credo molto.
Dopo questa prima esperienza da europarlamentare ci sarà una carriera politica o un ritorno al giornalismo?
In realtà non ho mai abbandonato il giornalismo. Il modo in cui opero nella mia azione politica si avvale di tutti gli strumenti, metodi che attingono direttamente al mio background ed esperienza di oltre 20 anni di giornalismo. Nella mia professione ho sempre avuto come obiettivo quello di portare alla luce irregolarità e disservizi. Oggi faccio la stessa cosa con strumenti, quelli politici, più incisivi.