Dopo anni di instabilità politica, conflitti, oppressione e miseria la Libia sta compiendo progressi sostanziali verso la via della pace, trovando finalmente l’opportunità di preservare l’unità del Paese e riaffermare la sua sovranità.
Giovedì, 19 novembre, al Consiglio di Sicurezza dell’ONU, Stephanie Williams, capo ad interim della missione delle Nazioni Unite in Libia, UNSMIL, ha delineato i recenti sviluppi.

Il primo grande passo è stato compiuto a Ginevra, il 23 ottobre scorso, dalla Commissione Militare Congiunta 5+5 (composta dai rappresentanti del Governo di Accordo Nazionale e dell’Esercito Nazionale Libico) in cui è stato concordato l’accordo di cessate il fuoco a livello nazionale, che prevede il ritiro di tutti i gruppi armati e la partenza di mercenari e combattenti stranieri entro 90 giorni.
Nel frattempo, la Libia è tornata a produrre petrolio dopo la revoca di un blocco durato mesi, ed è in corso una discussione di nuovi accordi di sicurezza negli impianti petroliferi.
Incoraggiante è stato anche l’avvio del dialogo politico, iniziato il 9 novembre a Tunisi, e che ha infine fissato le elezioni presidenziali e parlamentari per il 24 dicembre 2021, in occasione del 70° anniversario dell’indipendenza della Libia, una data importante e simbolica per i cittadini del Paese. Il nuovo esecutivo comporterà una separazione dei poteri, con un nuovo Consiglio di presidenza e un governo di unità nazionale guidato da un Primo Ministro.

La comunità internazionale è vicina ad una soluzione politica. E’ un momento storico per la Libia, che vive nel caos dal 2011. La caduta del leader Muammar Gheddafi culminò in una guerra civile e nell’assedio della capitale libica Tripoli, iniziata nell’aprile dello scorso anno.
Nonostante i progressi, la situazione rimane però ancora instabile, poiché le parti non hanno ancora ritirato le loro forze armate e le disposizioni per la distribuzione delle entrate petrolifere dipenderanno dai progressi sulla pista politica. Inoltre, “dieci anni di guerra non possono essere risolti in una settimana di colloqui” ha affermato Stephanie Williams, capo di UNSMIL.
Nel suo discorso al Consiglio di Sicurezza dell’ONU, l’ambasciatore libico delle Nazioni Unite, Taher Al-Sunni, si è anche espresso contro l’intervento straniero nel suo Paese: “Chiediamo al Consiglio di Sicurezza e alla comunità internazionale di cogliere questa opportunità e di mostrare buona volontà sostenendo la volontà del popolo libico e il suo diritto all’autodeterminazione; e non usare la Libia come un modo per regolare i conti”.

A destare ancora grande preoccupazione è il continuo deterioramento dei diritti umani, che si aggiunge alla crisi sanitaria di Covid-19. L’ambasciatore del Regno Unito all’ONU, Jonathan Allen, ha anche denunciato la scioccante uccisione dell’avvocato e attivista per i diritti umani, Hanan al-Barassi, avvenuta a Bengasi il 10 novembre scorso, e ricordando la scomparsa del parlamentare Seham Sergiwa nel luglio 2019 ha chiesto che questi due casi vengano indagati “adeguatamente, rapidamente e in modo trasparente”.
Altrettanto preoccupante è l’aumento delle morti di migranti nel Mediterraneo, così come lo sono le condizioni nei centri di detenzione. La scorsa settimana 94 persone sono morte in un naufragio, tra cui anche un neonato. L’Organizzazione internazionale per i migranti (OIM) ha fatto sapere che nel 2020, 900 migranti sono morti in mare cercando di raggiungere le coste europee, mentre 11.000 sono stati rimpatriati in Libia, e messi a rischio di subire violazioni dei diritti umani, detenzioni, abusi, tratta e sfruttamento.
Come ha sottolineato Stephanie Williams, capo di UNSMIL resta ancora molto da fare.

Ma in Libia restano ancora prigionieri del generale Khalifa Haftar i 18 pescatori partiti da Mazara del Vallo il 1° settembre scorso. Da settimane, le famiglie delle vittime presiedono Montecitorio supplicando il governo di riportarli a casa. Il Ministro degli Esteri Luigi di Maio ha promesso che ciò accadrà, ma finora l’unico suo successo concreto è stato quello di riuscire a fargli fare una telefonata a casa. Detenuti in una caserma di Bengasi, i 18 ostaggi, accusati di aver sconfinato nelle acque libiche, non ne possono più.
E così, oggi, durante l’ordinario press briefing con le Nazioni Unite, ancora una volta, La Voce di New York ha chiesto se il Segretario Generale Antonio Guterres avesse esaminato la questione per trovare una possibile soluzione. Per esempio, anche una sua breve dichiarazione, come quella già fatta da Papa Francesco, potrebbe essere d’aiuto in casi come questi (video al minuto 22.00).

Il portavoce Stéphane Dujarric ha risposto che “le Nazioni Unite sono in contatto con le autorità locali”, e che “ci sono molti strumenti a disposizione del Segretariato, che verranno utilizzati secondo necessità. Questa questione è gestita al meglio dalla missione delle Nazioni Unite” ha assicurato il portavoce, aggiungendo “ovviamente, speriamo che anche altri facciano le giuste pressioni per vedere queste persone detenute tornare libere”.
Intanto, a Palermo il sindaco Leoluca Orlando, a nome della Giunta, ha comunicato di aver aderito all’iniziativa promossa dai comitati “Partecipazione Libera” ed “Esistono i diritti”, per chiedere la liberazione dei 18 pescatori di Mazara. Il presidente del Consiglio comunale, Salvatore Orlando ha dichiarato: “Vicinanza ai pescatori ed alle loro famiglie. Auspichiamo che il governo metta in campo un intervento risolutivo per fare tornare questi pescatori a casa”.
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