Il conflitto tra il governo di Addis Abeba e il Tigray ha superato durante la notte di sabato 14 novembre i confini nazionali. Asmara, la capitale dell’Eritrea è stata colpita da razzi e i dei missili hanno colpito anche l’aeroporto ed un quartiere residenziale. Fonti diplomatiche e il leader Debretsion Gebremichael ha confermato l’attacco.
Il governo eritreo nega qualsiasi coinvolgimento nel conflitto tra governo centrale etiope e regione del Tigray, ma secondo fonti della BBC lungo il confine ci sarebbero stati combattimenti, ed alcuni soldati etiopi sarebbero ora in cura in ospedali dell’Eritrea.

Ricostruire i fatti è però ancora difficile, poiché la regione del Tigray risulta essere senza linee di comunicazione dallo scoppio della crisi. I violenti scontri all’interno del Paese sono iniziati il 4 novembre quando il leader etiope della maggioranza degli Oromo Abiy Ahmed ha ordinato un’azione militare contro il Fronte di liberazione popolare del Tigray. I tigrini, avendo governato l’Etiopia per 30 anni, non vedono in Abiy Ahmed un leader legittimo.
Come vi avevamo spiegato in un nostro precedente articolo sulle origini di questo scontro, l’Etiopia è uno stato federale con 110 milioni di abitanti, composto da diverse regioni e più etnie, che da sempre sono alle prese con spinte identitarie. L’idea di unificazione nazionale del nuovo leader Abiy Ahmed non è piaciuta ai tigrini che si sono ribellati. Di questa minoranza fa anche parte Tedros Adhanom Ghebreyesus, capo dell’Organizzazione mondiale della sanità (OMS).
Ora, l’episodio con l’Eritrea sembra riaccedendere il vecchio conflitto a cui proprio il premier etiope Abiy Ahmed aveva posto fine, ricevendo addirittura il Premio Nobel per la Pace lo scorso anno, all’età di soli 44 anni. I tigrini, quando erano al potere, avevano combattuto una guerra ventennale con l’Eritrea, e la capitale Asmara era infatti già stata precedentemente minacciata a causa del suo sostegno ad Addis Abeba e al nuovo leader etiope.

Missione delle Nazioni Unite in Eritrea ed Etiopia, UNMEE (UN Photo/Jorge Aramburu)
Intanto già dopo il “massacro spaventoso” riportato da Amnesty International tra la notte del 9 e del 10 novembre, l’Alto Commissario per i Diritti Umani dell’ONU si è espresso chiedendo un’indagine per presunti crimini di guerra. Michelle Bachelet, così come anche l’Unione africana ha espresso profonda preoccupazione per le uccisioni di massa e l’incitamento all’odio e alla violenza.
Circa 17 mila profughi sono fuggiti in Sudan, ma il conflitto rischia una vera e propria escalation se dovesse estendersi anche ad altri Paesi. L’Egitto, per esempio, da anni è in lite con l’Etiopia per la Grande diga della Renaissance, costruita sul Nilo Blu, essenziale alla vita in Sudan ed Egitto.
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