
Mi imbatto un po’ per caso, un po’ per curiosità nei lavori di Francesco Fiscardi, napoletano, classe 1974, appassionato di documentari, musica, pittura e viaggi. E i suoi viaggi Francesco li porta dentro di sé, soprattutto in tempo di Covid. Da sempre attento ai luoghi e alle culture diverse dalla sua, Francesco non smette di osservare, indagare, capire e soprattutto, sognare quei posti che può apprezzare attraverso lo studio e gli strumenti che la tecnologia mette disposizione. Tra il 2017 e il 2020, infatti, la sua produzione artistica si sviluppa nella realizzazione di luoghi – continenti, nazioni, isole, città – nel rispetto della visione che Francesco ha maturato, visitando di persona o immaginando quelle terre e quei luoghi. Dalle Metropoli del Mondo (2017) alle Evocazioni Sensoriali dei Distretti di New York (2018), fino alle sue Vedute Satellitari – New York City, Sydney, Venezia, Riyad e Tokyo – del 2020.
Tra i la vori che osservo, sono immediatamente incuriosita dalla collezione Evocazioni Sensoriali dei distretti di New York: il Bronx, Brooklyn, Manhattan, Queens, Staten Island sono rappresentati dai segni e i tratti tipici dell’espressionismo astratto. I colori definiti e il ritmo ben scandito, forse alla ricerca di una identità più decisa e, comunque, molto attinenti alla realtà – o a quella dell’autore – rendono le tele riconoscibili per la loro forza artistica e molto apprezzabili.

Bronx è una di quelle opere che terrei con me, un po’ perché ci ritrovo qualcosa che mi appartiene, un po’ perché ne riconosco una bellezza che prescinde da quello che si aspetterebbero altri: una intimità che va ricercata oltre l’immagine, tra le righe, le pennellate, le tonalità cupe ma vive, i graffi e una precisa melodia – certamente rap, perché del Bronx si tratta! – nell’alternanza che quei segni sanno dare e trasmettono. Prima dentro gli occhi, poi scendendo sottopelle, fino allo stomaco, sfiorando qualche chakra che a quella vista si smuove sprigionando qualche residuale energia assopita o incastrata in una troppo consolidata dinamica errata… Perché, ne sono certa, in quell’opera c’è l’energia di chi non si accontenta, di chi è alla continua ricerca di quel quid che completi perfettamente il puzzle cui manca l’ultimo tassello. Stesso dicasi per l’opera Manhattan, seppure la musica sia un’altra, con altro ritmo e altri colori, probabilmente un pezzo jazz amato da Woody Allen.

Passo al 2020, alle Vedute Satellitari – New York City, Sydney, Venezia, Riyad e Tokyo – nelle quali Fiscardi riproduce con attenzione e dedizione certosina le immagini della terra che i satelliti rimandano nella loro visione più reale. Sceglie luoghi conosciuti o in cui è vissuto – come Venezia – ma anche quelli che non ha ancora avuto occasione di visitare.
Come accade prima che inizi una piece teatrale e il sipario si apre, così lo scenario che si materializza davanti ai miei occhi è un’impressionante New York, estesa nei suoi settanta per sessanta centimetri di olio e acrilico su tela, dirompente nella tonalità di colori vivaci e brillanti che si alternano saltellanti in piccolissimi riquadri bianchi e neri, tra linee grigie e sottili, macchie di verde sparse qua e là, i suoi cinque distretti, i ponti di Brooklyn e Verrazzano. Ma tra tutte le varie forme, il ritmo e i colori, mi soffermo sull’azzurro scelto dall’autore per delimitare le acque del fiume Hudson e dell’Oceano Atlantico.

Si riconoscono Manhattan, gli altri distretti, il New Jersey e Staten Island, ma è quell’azzurro che, immancabilmente, mi fa respirare un’aria di libertà e, allo stesso tempo, di solitudine. Binomio difficile da scindere, se si pensa che le due sono spesso due lati della stessa medaglia, esattamente come fa NYC – bellissima e profumata di libertà – che immancabilmente ci ricorda come, in fondo in fondo, viviamo in un’epoca – tra social e immagine – che ci riduce a una condizione di grande solitudine e incertezza: nel nostro profondo più assoluto e nella nostra più intima identità, siamo noi, noi soli e basta. E New York questa consapevolezza sa comunicarla molto bene. Ma nonostante certe declinazioni, la sensazione che predomina osservando l’opera è positiva: quasi come se questa città la stessimo sorvolando per davvero, forse nel silenzio di una mattina di primavera – i colori sono nitidi e puliti – possiamo avvertire l’aria fresca che ci sveglia dal torpore – originato talvolta nell’abitudine o nella monotonia di una routine ormai troppo stretta – di cui spesso ci circondiamo, costruito inavvertitamente nella comodità e pericolosità di una confort zone in cui viviamo e che da tempo ci ha addormentato. Ma questa opera abbaglia, è la visione di una New York che dà le vertigini, una sensazione che la Grande Mela sa offrire benissimo, regalando l’ebrezza “dell’altitudine”, alla stregua di un dio greco dalle ali ai piedi – un rapido Hermes che la percorre sicuro in lungo e in largo – oppure di un giovane Icaro inebriato di libertà o rapito dal desiderio di carpirla.

A Francesco faccio una domanda: come ti è venuto in mente di riproporre delle immagini riprese dai satelliti?
“Viviamo nell’epoca dei droni: è stato naturale osservare una terra che vorrei visitare e poi riproporne una visione del tutto personale intrisa dal desiderio di viverla quanto prima. Inoltre, sorvolare una città da un aereo, osservare le sue linee e i luoghi in cui siamo stati o che riconosciamo, provoca sempre un senso onirico o di visione surreale, non solo perché “volare” non è una condizione normale per l’uomo, ma anche perché non è frequente scorgere “profili terrestri”, che altrimenti non avremmo modo di osservare. Visioni per lo più originate tramite l’utilizzo di droni che permettono, con molta più facilità rispetto al passato, di apprezzare certe prospettive e, soprattutto, il movimento che, in modo più o meno naturale, ci offrono le forme della terra e di determinati luoghi e latitudini…”
Francesco è un autore attento. Studioso e sensibile. Che trova gioia nella pittura e nel dare vita alle sue visioni e la sua memoria visiva e percettiva. Non a caso le sue opere sono molto apprezzate ed esposte in diversi stati nel mondo. Alcune sono presenti presso l’Istituto Italiano di Cultura di Los Angeles; altre presso il Calandra Italian American Institute della CUNY a Manhattan, e il Municipio di New York City; l’Istituto Italiano di Cultura di Sidney in Australia; il Museo delle Civiltà dell’Europa e del Mediterraneo, MuCEM di Marsiglia; il Consolato di Tunisia di Napoli; il Municipio di Capri (NA), il Centro Internazionale di Etnostoria di Palermo e la Società Dante Alighieri di Roma.
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